Demofagia
La suggestione su cui poggia il mondo moderno si basa fondamentalmente sull’uso distorto e strumentale di determinate parole, “caricate” di un potere fascinatorio che rimanda direttamente alla negromanzia, e alle quali tutti quanti tributano acriticamente il loro culto e assicurano la loro devozione. Per quanti vogliono contrastare ed opporsi al predominio di questo mondo è quindi essenziale sottrarsi a questa stessa fascinazione, riconducendo le parole che hanno subito una tale distorsione al loro significato autentico. Una di queste è il termine democrazia: fra i più abusati e i più deleteri venutisi ad affermare negli ultimi due secoli, opponendosi ad aristocrazia e di conseguenza all’idea stessa di élite, con tutto ciò che questo comporta dal punto di vista tradizionale. Fino ad arrivare al paradosso che gli stessi oppositori del sistema democratico cadono talvolta nella trappola linguistica, finendo per blaterare di “vera democrazia”, “democrazia nazionale”, “democrazia fascista” (!), e sciocchezze simili. Con questo suo nuovo libro, Renzo Giorgetti ci fornisce uno strumento indispensabile proprio per smascherare l’inganno legato al termine “democrazia” e alle sue molteplici implicazioni, non solo di tipo politico.
La demolizione del “mito” inizia già dal titolo del libro, dando efficacemente un nome nuovo all’oggetto analizzato. E per rendersi conto dell’efficacia del metodo, si pensi solo all’appellativo teosofismo attribuito altrettanto efficacemente a suo tempo dallo stesso Guénon al fenomeno neospiritualista da lui studiato. Il primo scritto in cui è stato utilizzato il termine demofagia («il sistema di potere che si nutre di esseri umani»), ci informa l’Autore, è un articolo del professore cileno Fernando González Celis apparso sulla Revista de Sociología nel 1989, dove il sistema democratico viene definito «un ordine politico utopico in teoria, caotico in pratica e sempre conflittuale», anche perché «il termine democrazia inteso come governo del popolo è un assurdo, in quanto governare e essere governati sono due cose differenti», che vanno contro ogni logica. In realtà l’ideologia democratica è lo strumento di un regime totalitario costituto da un partito unico, solo strumentalmente diviso, in apparenza, in diverse formazioni e schieramenti, tutti però fedeli al medesimo progetto, che non è quello di servire il popolo ma di divorarlo in maniera parassitaria, «mantenendolo in uno stato di decrepitezza e debolezza, morale, spirituale, intellettuale, politica».
C’è uno slogan, attribuito a Winston Churchill, ripetuto fino alla nausea tutte le volte che diventa impossibile nascondere i disastri della democrazia, il quale recita: «la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre». Una falsità che quasi per magia (nera!) ha acquistato un’autorevolezza basata sul nulla. In realtà, come evidenzia Giorgetti, citando il filosofo Hoppe, è «la monarchia l’istituzione più efficiente sotto tutti i punti di vista, mentre la democrazia la più carente. La monarchia agisce secondo determinati principi che tradotti in pratica portano a risultati buoni, meno buoni o pessimi. La democrazia invece fallisce sempre, non riuscendo mai ad attuare i suoi principi fondativi». Se si volesse ridurre il governo alla sola sfera utilitaristica e al tornaconto economico, va detto che, posto che il popolo e i sudditi non saranno mai altro che un gregge, la differenza fra i diversi sistemi è la stessa che passa fra il pastore che, negli anni e lungo le generazioni, accudisce e protegge con amorevolezza la propria fonte di sostentamento, e il bracconiere, che deve trarre subito il massimo beneficio per sé e la propria “famiglia”, arraffando e scannando quanti più esemplari possibile.
Se l’assurdità insita nella pretesa di rappresentare il governo del popolo-gregge è palese e non necessita di particolari dimostrazioni, ciò non vuol dire che la democrazia non risulti utile per quelle entità in grado di manipolarla e presentarla sotto mentite spoglie. L’Autore, a un certo punto, si chiede se la democrazia ha fallito, subito rispondendo: «Assolutamente no, è stata anzi un grande successo. La sua funzione era quella di nascondere il vero potere che si cela dietro ad essa, compito riuscito quasi alla perfezione per più di duecento anni e, sia pure fra innumerevoli difficoltà e tentennamenti, ancora oggi dignitosamente portato avanti».
La demofagia è un sistema di potere che instaura un legame parassitario coi suoi sudditi, volontariamente e non per degenerazione, dietro la maschera del comune interesse garantito dal processo elettorale, non tutelando la natura dei singoli ma utilizzandoli per la propria sopravvivenza. E se si è voluto dare dignità all’istituzione cercandone le tracce nell’antica Grecia, dove comunque era molto forte un’impronta aristocratica, «contraddistinta da ben precise caratteristiche che la rendevano più simile a un circolo elitario, un’assemblea di autentici uomini preparati e qualificati per l’esercizio del potere»; va comunque detto che questo tipo di governo subentra in una fase di decadenza e degenerazione, «nata come esperienza crepuscolare, che segna la fine di un’epoca», anche se «invece di abbassare e democratizzare la nobiltà si cercò di elevare e nobilitare il demos». E anche il ricorrere al sorteggio, metodo talvolta ventilato oggi come rimedio ai mali del sistema democratico, risultava molto meno incerto di quanto si possa pensare, trattandosi più di una manifestazione della volontà divina che di una casualità e di un azzardo; anche perché si andava a scegliere fra cittadini che garantivano «un minimo di standard qualitativo», oggi impensabile. Le riforme costituzionali di Solone cercavano di rimediare ai danni derivanti dalla fine del mondo arcaico, fra i quali bisogna annoverare la centralità che si comincia ad attribuire alla moneta, col legame sempre più stretto che si viene a determinare fra il valore della moneta circolante ed il prestigio e l’autorità dei sovrani. «La ricchezza spinge gli animi a prevaricare, ad andare oltre la giusta misura: prevale la hybris, che è eccesso e violazione dell’ordine. L’aumento di ricchezza porta all’accecamento, alla violenza, all’abbandono della propria nobiltà. La nuova economia basata sulla moneta è astratta e non tiene più conto degli uomini: di fatto porta alla rottura dell’equilibrio.»
È lo stesso cancro che colpirà l’Impero Romano nella sua fase crepuscolare, così come l’Ecumene Medioevale, e che sfocerà nell’affermazione definitiva del mondo moderno, nella rovinosa corsa dall’Umanesimo e la Riforma, all’Illuminismo e alla Rivoluzione, sempre più prossima alla fase finale attuale, in cui la moneta, paradossalmente (ma solo in apparenza), torna ad essere una convenzione ideale e simbolica, dietro la quale però non sussistono più i rapporti basati su onore e fedeltà, nonché sul rispetto della parola data, che erano le basi su cui poggiava il mondo antico.
In un riuscitissimo capitolo intitolato ALBUM, Giorgetti introduce tutta una serie di immagini commentate, che gli permettono di sintetizzare determinati temi «in maniera diretta, intuitiva, senza quegli eccessivi giri di parole e spiegazioni che fanno sempre smarrire nei labirinti della dialettica e della noiosa erudizione fine a se stessa». Un vero e proprio “reportage fotografico” che ci restituisce, attraverso una «rappresentazione diretta del simbolo», l’essenza della decadenza che ha interessato gli ultimi secoli, dove il processo sovversivo si è affermato con tutta la sua virulenza e distruttività. Dagli affreschi del Palazzo Pubblico di Siena, riproducenti l’allegoria del Buon Governo (dove la Sapienza Divina e le virtù teologali dominano nel punto più alto, al di sopra della Giustizia e della Concordia: «un ordinamento divino e naturale, basato su doti e talenti personali, che concilia vocazione e gerarchia, in cui i mestieri esercitati coincidono con una componente etico-religiosa, una sorta di investitura che Dio dà all’individuo»), attraverso la presentazione e il commento di ben 26 illustrazioni, si giunge alle stampe che rappresentano la rivoluzione industriale con il disegno di un tritacarne che macina uomini per trasformarli in banconote e sacchi di denaro.
Le devastanti novità apportate dalla Rivoluzione francese, un’enorme opera di distruzione di libertà, metterà la parola fine al precedente regime, fatto di certezze e garanzie perdute per sempre, senza lasciare alcuna alternativa all’ultima e definitiva tirannia: «Si mobilita la popolazione, con il lavoro e la coscrizione, ci si impossessa delle sue ricchezze con un apparato fiscale e inquisitorio senza precedente, si addomesticano gli animi con l’istruzione obbligatoria, si eliminano tutte le antiche e variopinte libertà in cambio di uno stupido egualitarismo, si crea un apparato burocratico e amministrativo centralizzato, efficiente e impersonale». Un Potere apparentemente tanto assoluto quanto insensato, per le manifestazioni di odio e violenza generate, è “un potere che ha perso la testa” (e quale migliore rappresentazione dell’autentica essenza di tale Potere dello strumento di morte scelto per troncare le teste di chi non rientra nei nuovi canoni democratici?), impegnato in un consumo continuo di ricchezze e di vite. E l’Autore ci ricorda, richiamando il pensiero di Georges Bataille, che «Il trionfo della rivoluzione è il trionfo della dissipazione e della sovranità acefalica».
Questa mobilitazione totale coincidente con lo sfruttamento assoluto dell’uomo libero determina un’interruzione brutale del precedente modo di vivere, a partire dalla stessa concezione del tempo: l’orologio meccanico si sostituisce al moto del sole, gli spostamenti diventano sempre più lunghi e veloci, dall’economia basata sull’autosufficienza si passa ad una sempre maggiore dipendenza dall’esterno e dagli altri, l’imposizione fiscale è in continua ascesa, in «parallelo con l’aumento degli strumenti indagatori e con la limitazione delle libertà personali». L’economia dell’Antico Regime, pur se assolutamente insufficiente dal punto di vista utilitaristico moderno, garantiva comunque la «ricompensa migliore della conquista della propria identità, mentre qualsiasi altra occupazione anche se coronata da successo e guadagno sarà sempre incongrua, una sistemazione vana, senza significato». Per cui l’“onorificenza” che si vuole assegnare al nuovo sistema industriale e democratico consistente nella tanto decantata abolizione della schiavitù, lungi dall’essere sostenuta da intenti umanitari è molto più prosaicamente dovuta al fatto che lo schiavo costa di più e non rende come un lavoratore libero. A sigillo di tutto ciò è particolarmente significativa quest’affermazione dell’Autore: «Oggi, credendo solo in ciò che si vede, non si riesce a vedere ciò a cui bisognerebbe credere».
Viene allora spontaneo chiedersi come sia possibile che un uomo destinato ad essere divorato e annientato da un simile Potere possa supinamente accettare tale destino (quasi sempre entusiasticamente!), cancellando financo il più naturale e istintivo spirito di conservazione per consegnarsi anima e corpo nelle mani del “carnefice”? La spiegazione si trova nella parte finale del libro, dove viene delineata una “teoria magica del potere” che indaga «la serie di accorgimenti e tecniche volti alla manipolazione degli elementi di ordine sottile dell’individualità umana», in cui la persuasione e la propaganda svolgono un ruolo tutto sommato parziale e alquanto superficiale, essendo in questo caso gli strumenti forniti dalle scienze moderne di gran lunga sopravanzati dalla cultura magica, ufficialmente relegata in un oscuro passato oramai superato.
È in queste pagine che, a nostro giudizio, Giorgetti tocca il vertice del suo studio, fornendoci un contributo originale e prezioso al fine di smascherare i procedimenti e i meccanismi che presiedono alla costruzione della cosiddetta opinione pubblica, descrivendo l’arte manipolatoria che individui “qualificati” mettono al servizio di quella vera e propria parodia delle vecchie aristocrazie rappresentata dalle moderne tecnocrazie. Un potere suggestivo e fascinatorio «analogo all’innamoramento, il cui esito è di fatto un vincolo, non a caso il più potente e importante» che, introducendosi attraverso le porte della sensibilità umana (sguardo, udito, fantasia), depositano nell’intimo di ogni essere umano i germi di sentimenti prefabbricati, siano essi di attrazione o repulsione.
Per difendersi da un simile attacco ci sarebbe bisogno di una condizione di pace serenità e silenzio, da cui solamente può sorgere un pensiero autonomo e libero. Ma in un mondo dove anche le notti sono «rumorose e accecanti», dove l’uomo vive immerso in un continuo bagno di rumore, a quali energie e risorse potrà egli attingere per sottrarsi al vortice distruttivo? E non saranno certamente le nuove condizioni determinatesi con l’irruzione tecnologica dei social nella vita di OGNUNO, a facilitare tali attimi di silenzio: «Domina la relazionalità, l’interconnessione, l’informazione, la chiacchiera, il commento, il commento del commento, il commento del commento del commento. Sembra quasi un dovere quello di discutere su tutto, così come quello di essere sempre aggiornati sull’ultima novità».
L’Autore parla di un’epoca «dominata dall’archetipo del pifferaio magico» (a cui il recentissimo tragico fenomeno della “balena blu” diffuso fra i giovanissimi spinti fino al suicidio, e forse anche quello dei migranti adolescenti che si riversano in massa nel cimitero d’acqua che separa l’Africa dall’Europa, rimanda fra l’altro in maniera sorprendete!), in cui si esercita un potere di influenza a distanza senza contatto, quella “fascinazione” di cui tratta Bacone nel suo Opus Magnum, «riallacciandosi inoltre al pensiero magico-naturalistico con l’accettare l’influenza di parole e suoni nel processo di incantamento». E citando Gustave Le Bon, ci viene ricordato che «Conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle, vuol dire conoscere l’arte di governare». È qui che risulta decisivo l’uso della parola piegata agli interessi e agli scopi dell’oligarchia dominante, e di conseguenza del controllo del vocabolario da parte del Potere.
René Guénon, trattando di temi affini, stigmatizzava il fatto che «tante persone, benché animate di una buona volontà incontestabile, sono incapaci di comprendere che occorre necessariamente cominciare dai principi e si ostinano a dissipare le loro energie in questo o quel dominio relativo, sociale o simile, in cui in tali condizioni nulla di durevole e di reale può esser compiuto». Nelle sue conclusioni di questo prezioso volume Giorgetti, pur negando ogni determinismo, è costretto ad affermare che «La tripartizione che guida gli eventi umani — Provvidenza, Volontà, Destino — sembra ormai sbilanciata a favore di quest’ultimo»; tuttavia ci ricorda che ogni «persona ha il suo ruolo nel grande dramma, e il fatto di ricercarlo e poi occuparlo costituisce già un elemento di realizzazione», dove comunque la «lotta interiore è fondamentale ed estremamente difficile — già il famoso “conosci te stesso” potrebbe costituire l’impegno di una vita intera — ma può portare se condotta con successo alla formazione di un tipo umano differente», in grado di scoprire le finzioni che reggono in piedi questo fantasma chiamato mondo moderno, essendo ogni smascheramento un atto rivoluzionario.
Renzo Giorgetti, Demofagia, Solfanelli, Chieti 2017.
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