In occasione della recente pubblicazione del testo La Via dell’Azione di Antonio Medrano, appena stampato da “CinabroEdizioni”, riteniamo utile proporre ai nostri lettori il presente “profilo” dell’Autore, che originariamente avrebbe dovuto far parte della Presentazione da noi approntata, e poi espunta per ragioni di spazio e per non appesantire eccessivamente l’economia del testo. Le notizie biografiche qui contenute sono in gran parte frutto di una lunga frequentazione e di una vasta corrispondenza che nel corso degli anni abbiamo condiviso con l’Autore.
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Antonio Medrano è nato il 6 marzo del 1946 a Badajoz, l’antica Pax Augusta dei romani, a 6 km dal confine portoghese, principale città dell’Estremadura, regione eminentemente contadina, dedita all’agricoltura e all’allevamento, detta “terra dei conquistatori” (perché in essa sono nati la maggior parte dei conquistatori delle Americhe: Hernán Cortés, Pizarro, Valdivia, Orellana, Alvarado, Núñez Cabeza de Vaca, Núñez de Balboa, Hernando de Soto, García de Paredes, ecc.). Terra dura ed estrema, che fu confine con le zone ancora sotto il controllo musulmano; “la terra dove nascevano gli dei”, come l’ha definita uno scrittore spagnolo in un libro che porta questo titolo. Mentre un altro autore ha sintetizzato l’essenza dell’Estremadura con le parole “fantasia eroica”.
Lo scrittore americano James Albert Michener, Premio Pulizer nel 1948, ha dedicato un magnifico canto alla terra e alla città natale di Medrano (Iberia. Spanich travels and reflections, London, 1983, in 2 Volumi), compiendo un viaggio in senso inverso sulle tracce dei conquistatori spagnoli del Messico e dei futuri Stati Uniti. Michener iniziò il suo viaggio in Spagna visitando proprio Badajoz, apparentemente priva di particolari attrattive turistiche e artistiche, spiegando questa sua strana decisione col fatto che a lui interessava «la Spagna eroica» (the eroic Spain), la cui più pura rappresentazione ai suoi occhi era l’Estremadura. «Quando pensavo alla Spagna, pensavo innanzitutto all’Estremadura, la brutale regione nell’Ovest, la cui principale città era Badajoz» (when I thought of Spain, I thought primarily of Extremadura, the brutal region in the west, of which Badajoz was the principal city). Egli spiega che scoprì la Spagna e la sua influenza nel Nuovo Messico, in Arizona, nel Texas e in California: «La Spagna che conobbi nell’Ovest degli Stati Uniti era una spagna eroica». E giunse alla conclusione che «la più diretta approssimazione a questa Spagna nella patria d’origine era l’Estremadura».
Esaltando la grande prodezza di quegli agguerriti uomini giunti da una delle zone più povere della Penisola iberica, Michener afferma che la merce più preziosa che portarono nel Nuovo Mondo i galeoni spagnoli fu «il loro coraggio estremadurano» (their Extremaduran courage). «L’Estremadura era la mia Spagna». Stando nell’antica Pax Augusta, vedendo intorno a me «gli austeri, ostinati e diffidenti estremadurani, i cui antenati conquistarono non città ma nazioni e continenti interi, sentii di essere giunto nella mia vera patria». Sostenendo egli inoltre che il miglior modo per conoscere il mistero dell’essere spagnolo (o ispanico) è conoscere la capitale dell’Estremadura, «questa città goffa e trasandata»; «se si comprende Badajoz, si comprende la Spagna» (if one understands Badajoz he will understand Spain).
L’attuale Estremadura occupa la parte orientale di quella che anticamente fu la Lusitania, una delle regioni della Penisola Iberica che più costò ai romani conquistare e pacificare (e che comprendeva anche la maggior parte dell’attuale Portogallo, così come successivamente, nel Medio Evo, le terre portoghesi formeranno parte del regno arabo di Badajoz, uno dei più vasti ed importanti della Spagna musulmana, i cui confini si estendevano fino a Lisbona e alla costa Atlantica). I lusitani, popolo guerriero ed amante della propria terra, opposero una ferma e tenace resistenza alle legioni di Roma, soprattutto sotto la guida del loro celebre capo Viriato, chiamato Terror romanorum. Furono tali le sconfitte che Viriato inflisse ai romani, che il console Quinto Servilio Cepione, temendo un fallimento definitivo delle sue campagne militari, decise di assassinarlo a tradimento, coinvolgendo i tre emissari che i lusitani inviarono per trattare la pace. Ritornati all’accampamento del condottiero lusitano, i traditori lo uccisero nel sonno. Alla richiesta della ricompensa promessa per il loro proditorio tradimento, ricevettero in risposta le parole diventate famose: «Roma non paga i traditori».
Dice Medrano: «Per me, come spagnolo e come estremadurano, Viriato è sempre stato – insieme a El Cid – una figura ammirata, studiata con simpatia e venerazione, degna d’emulazione e della massima stima. Fin dalla mia più tenera età, Viriato ha personificato le più alte virtù della razza, in lui s’incarnavano la grandezza e la dignità dei nostri antenati lusitani. Ai miei occhi infantili e giovanili appariva come suprema incarnazione dell’eroismo, come il grande eroe difensore dell’indipendenza nazionale, come il prototipo del capo politico e militare che offre la vita per il suo popolo. L’eroico “caudillo” lusitano era il mio ideale, il modello al quale avrei voluto somigliare, a costo di subirne la stessa sorte finale (a parte l’episodio del tradimento, triste, deplorevole ed infamante per la stirpe). Nella lotta di Viriato ho sempre visto uno dei capitoli più importanti e significativi della storia di Spagna. Molte volte, percorrendo le campagne della mia terra, sedendomi all’ombra delle sue secolari querce (che furono le mie prime maestre e inseparabili compagne), immaginavo che forse proprio lì, nel posto in cui mi trovavo, cavalcava un tempo il cavallo di Viriato, e sentivo con orgoglio che nelle mie vene scorreva lo stesso sangue, palpitando lungo i secoli con la stessa forza, con lo stesso impulso eroico. Dicevo a me stesso: “ho sangue lusitano, sono della stirpe di Viriato; debbo vivere in conformità con questa nobile e alta eredità”».
Antonio Medrano nasce in una famiglia dalle ferme convinzioni religiose, al cui interno ricevette i primi fondamenti di quella che oggi è la sua visione del mondo e il suo atteggiamento di fronte alla vita. Sua madre, di una stirpe estremadurana d’allevatori ed agricoltori, fortemente legata alla terra, visse l’esperienza della Falange come infermiera volontaria durante la guerra civile. Suo padre, Luis Medrano, fu uno degli assi dell’aviazione militare spagnola. Combatté eroicamente durante la Crociata di liberazione del 1936, come membro della leggendaria squadriglia di García Morato, il più celebre pilota della Spagna nazionale, e lottò in seguito in Russia, con la “Squadriglia Azzurra”, dove compì imprese memorabili combattendo contro gli aerei sovietici. Era stato insignito di numerose decorazioni, sia spagnole, sia italiane (“Merito di Guerra”) e tedesche (“Croce di Ferro”). Altro elemento militare di spicco della famiglia è il fratello minore del padre, noto ammiraglio dell’Armata spagnola, la marina da guerra.
Gli fu messo il nome di Antonio in memoria dello zio, Antonio Espárrago, giovane idealista, fratello minore della madre, il quale, arruolato come volontario nelle milizie della Falange, cadde nei primi combattimenti della guerra civile, pochi giorni dopo la liberazione di Badajoz, in un villaggio vicino a questa città, quando aveva appena 17 anni. Per l’idealismo che lo guidò fin dalla primissima gioventù, alcuni membri della sua famiglia hanno visto in quest’Antonio (Medrano) una copia di quell’altro Antonio che offrì la vita per la patria, come se in lui rivivesse il suo spirito. Antonio Medrano è fermamente convinto di aver vissuto sotto l’influenza, la guida e la protezione di questo suo zio, giovane ingenuo e generoso, che non arrivò a conoscere e la cui fotografia, con viso raggiante e con l’uniforme falangista, vedeva tutti i giorni in casa dei suoi nonni materni.
Medrano racconta che, essendo nato nella terra dei conquistatori, quando era piccolo, nel collegio i suoi professori gli chiedevano a volte “cosa vuoi conquistare?”. «Suppongo che la mia risposta li lasciasse alquanto sorpresi. Fin da piccolo avevo chiara l’idea che nella vita bisognasse conquistare qualcosa: la mia patria, una parte grande o piccola del mondo, le anime degli uomini. E sentivo che, come estremadurano, quest’imperativo di conquista mi riguardasse in modo particolare. Una vita nella quale non ci fosse nulla da conquistare mi sembrava assurda, meschina e insopportabile».
Laureato in Scienze Imprenditoriali presso l’ICADE (Instituto Católico de Dirección de Empresas), ha lavorato nell’industria (con ruoli tecnici e direttivi), occupandosi soprattutto di controllo di gestione, pianificazione strategica, consulenza, motivazione del personale, assistenza e cooperazione col personale direttivo; e in associazioni pubbliche e private, per oltre 20 anni. Ha alle spalle una lunga militanza politica e culturale che lo ha portato a vivere da protagonista diverse esperienze della realtà spagnola, essendo stato promotore di iniziative (gruppi, pubblicazioni, case editrici: il Centro Librario Aztlán, il Circolo Culturale Imperium, la rivista Traditio, la Casa Editrice YATAY) che hanno fornito un contributo decisivo alla diffusione del pensiero tradizionale nella penisola iberica. Ha al suo attivo anche un’ampia esperienza di traduttore di libri, articoli e documenti ufficiali, conoscendo diverse lingue. Ha avuto contatti e relazioni con eminenti personalità internazionali: politici e uomini di cultura, artisti e uomini di sport, militari e imprenditori, autorità religiose e maestri spirituali.
Nel 1970 conosce la moglie Maria Antonia, che diventerà la sua preziosa collaboratrice nei suoi lavori, attività e iniziative. Una moglie-segretaria che compone i suoi libri e i suoi articoli, che gli organizza i viaggi, gestisce le sue finanze, i suoi strumenti tecnici (macchine da scrivere, computer e Internet); intervenendo nelle sue iniziative sociali e culturali: conferenze, concerti, corrispondenza, sport, corsi, contatti, relazioni diplomatiche e visite in Europa, ricevendo i giovani che vanno a fargli visita perfino dalla Russia.
Un esempio dello spirito, misto di incoscienza e coraggio, che animava il giovane Medrano è possibile ricavarlo da un episodio narrato dalla moglie. Il 23 febbraio del 1981, mentre era in corso il tentativo di Golpe capeggiato dal colonnello Tejero — che aveva occupato coi suoi uomini il Parlamento spagnolo, trattenendo il Governo e i parlamentari sotto la minaccia delle armi — Medrano e Maria Antonia cercavano di recarsi al lavoro, attraversando il centro di Madrid completamente isolato dalle forze di polizia. Impossibile passare, con una guardia civile armata fino ai denti che gli impediva l’accesso al luogo di lavoro. Antonio lo affrontò dicendogli che loro dovevano entrare a qualunque costo, anche se dovevano passare sopra il suo cadavere, e se lui doveva compiere il suo dovere anche loro ne avevano uno da compiere, non essendo affatto disposti a tornarsene a casa come degli idioti dopo aver fatto una levataccia ed aver percorso diversi chilometri per recarsi al lavoro. Con grande sorpresa della moglie, la guardia li lasciò passare, senza battere ciglio.
Convinto dell’importanza della formazione integrale dell’essere umano, ha praticato in prima persona alcuni sport (sollevamento pesi, rugby, nuoto, lotta grecoromana), insieme con arti marziali, yoga e tecniche realizzative orientali. Amante dell’arte, appassionato della bellezza, ha sempre saputo valorizzare il potere formativo delle grandi creazioni artistiche dell’umanità. L’impronta che l’arte ha lasciato nella sua vita è indubitabile, svolgendo un ruolo decisivo, soprattutto, la musica e la poesia. La sua mentalità e sensibilità si sono forgiate al fuoco dell’architettura medioevale (romanica e gotica), del canto gregoriano, delle poesie di Victor Hugo o Fra’ Luis de León, i versi di Dante, gli haiku giapponesi, la pittura zen, l’ideogramma cinese, i quadri di Zurbarán e Dürer (fra i ricordi più belli della nostra frequentazione con Antonio Medrano, spicca una visita in sua compagnia all’interno del Museo del Prado di Madrid), i disegni e i poemi di William Blake, i colori vivi dei Preraffaelliti inglesi, la scultura indù e buddhista, gli intagli degli scultori d’immagini sacre castigliani (Hernández, Berruguete, Siloé), la musica di Mozart e Beethoven, le cantate e passioni di Bach, gli oratori di Händel, le tragedie di Shakespeare e Calderón, i drammi musicali di Wagner, la musica del Barocco francese e italiano, ecc.
Nel suo pensiero e nella sua opera confluiscono due correnti fondamentali: la tradizione occidentale, sia nella sua versione cristiana sia pre-cristiana (greca, romana, celtica e germanica), e le tradizioni orientali (Induismo, Buddhismo, Taoismo, Shintoismo), a cui vanno aggiunte altre dottrine e filoni tradizionali come lo Zoroastrismo, la spiritualità dei Pellerossa, il Sufismo islamico o la Cabala e l’Assidismo (la mistica e l’esoterismo ebraici). Buon conoscitore dei tre rami del Cristianesimo (cattolico, protestante e ortodosso), nei suoi scritti affiorano sentenze dei mistici, santi, teologi, pensatori e poeti cristiani di tutte le epoche e nazionalità. In essi s’incontrano allo stesso tempo gli insegnamenti dei maestri dell’India, della Cina, del Giappone, del Tibet, della Birmania, della Thailandia, dello Sri Lanka, della Corea e del Vietnam. Questa fusione d’Oriente ed Occidente, soprattutto di Cristianesimo e Buddhismo-Induismo, molto simile a quella che si trova nell’opera di Coomaraswamy, ha fatto sì che alcuni lo abbiano chiamato “il Coomaraswamy spagnolo”. E a Coomaraswamy lo legano altri punti in comune: l’importanza data alla bellezza e all’arte; l’attenzione prestata ai simboli e ai miti; il citare autori che non sono strettamente tradizionali (o non lo sono in assoluto); l’abbondanza di citazioni; l’impatto di certi autori anglosassoni che hanno influenzato entrambi (come William Blake o Eric Gill).
Ha cercato fin dalla gioventù di seguire il consiglio di Platone, quando raccomanda che l’élite o casta dirigente della città ideale si formi e si educhi ricorrendo a due pilastri fondamentali: la ginnastica e la musica. E quando Platone parla di “musica”, in questo concetto va inclusa la poesia, perché nella cultura greca, la musiké, che è l’attività ispirata dalle muse, comprende sia la composizione musicale sia quella poetica, entrambe unite nel canto, nel ritmo e nell’armonia. Per la mentalità ellenica, musica e poesia si confondono, come ha messo bene in evidenza Walter Otto. Non bisogna, d’altronde, perdere di vista che nel pensiero platonico ginnastica e musica corrispondono ad azione e contemplazione. Le due facce dell’uomo integrale: da un lato, l’atleta, il guerriero, il lottatore, l’uomo d’azione; dall’altro il poeta (in grado di captare la musica del cosmo), il monaco, il sacerdote, il contemplativo, il veggente o saggio (aperto alla Verità, fuso con la Verità).
Ed ecco cosa lo stesso Medrano sostiene riguardo al ruolo della bellezza: «Per quanto riguarda la bellezza, mi convinco ogni giorno di più quanto sia importante la bellezza per la vita umana, ogni giorno scopro nuovi aspetti della bellezza del reale, riflesso e manifestazione della Bellezza suprema. Mi affascina, mi sbalordisce e mi meraviglia la bellezza in tutte le sue forme: la bellezza della Creazione, la bellezza della natura, la bellezza degli animali e delle piante, la bellezza di ogni alba, la bellezza della luce, la bellezza della donna, la bellezza delle diverse lingue e di quello che con esse si dice, la bellezza morale delle persone buone e nobili che mi circondano, la bellezza delle grandi opere d’arte, la bellezza dei simboli e dei riti sacri, la bellezza delle idee bene esposte e di quelle con cui ci viene trasmessa la verità, la bellezza di tante pagine ben scritte che ci istruiscono e illuminano la nostra vita, la bellezza dei buoni gesti, la bellezza dell’amicizia, la bellezza dello sport, la bellezza dello spirito atletico e olimpico. Di fronte a tanta bellezza non si può fare a meno di adorare, riverire e sottomettersi rispettosamente a Colui che l’ha ideata e creata».
Da diverso tempo, Medrano ha preso la decisione di lasciare il lavoro, per dedicarsi interamente agli studi ed alla compilazione delle numerose opere in programma. Ecco come lui stesso descriveva questa scelta, in una lettera del gennaio 1996: «Fino a qualche anno fa, esercitavo la mia professione – come dipendente nel mondo dell’imprenditoria – con la quale potevo mantenermi, oltre a finanziare la mia vocazione, il mio lavoro intellettuale e la mia lotta al servizio della Tradizione. Col denaro guadagnato col mio lavoro di dipendente potevo pagarmi le spese dei miei studi e delle mie ricerche: libri, viaggi, corrispondenza, attrezzatura, computer, ecc. Vivevo di un lavoro che non mi interessava molto, ma che mi permetteva di vivere per un altro tipo d’attività che era ed è la ragione della mia vita, la mia missione e il mio destino. Ma a un certo punto ho pensato che era mio dovere consacrarmi in pieno a ciò per cui vivo, perché così il risultato sarebbe stato migliore da tutti i punti di vista. Questo presupponeva il cercare di vivere di quello per cui si vive. Si trattava di seguire il consiglio di Platone: “che l’artigiano viva del suo lavoro”. Ho abbandonato il mio impiego, vale a dire la mia fonte di sostentamento, e ho cominciato ad occuparmi esclusivamente del lavoro intellettuale: libri, articoli, conferenze. Il cammino non è stato facile, né lo è tutt’ora né lo sarà con buona probabilità in futuro, tanto più che non posso scrivere su qualunque cosa che mi si chiede né posso fare molte concessioni, perché devo adeguarmi sempre alle esigenze della mia funzione. A ciò si aggiunge la mancanza di serietà di persone e iniziative su cui all’inizio uno faceva affidamento, ma che al momento della verità lo lasciano nei guai. Tuttavia, adesso sembra schiarirsi un poco l’orizzonte e presentarsi alcune possibilità. (…) Ma il fatto che debba vivere del mio lavoro non vuol dire che dimentico il suo senso fondamentale. Ho le idee chiare: l’importante è l’opera che si fa, che sia ben fatta e serva al fine che è la sua ragion d’essere, ai principi a cui è subordinata e che la ispirano; la questione dei benefici, delle vendite, dei guadagni, è secondaria, che bisogna tener presente perché non se ne può fare a meno, ma che di per sé è priva d’interesse. Se viene quest’ultima, tanto necessaria, che ben venga, ma l’altro è quel che conta».
Il risultato di questa coraggiosa scelta (che egli considera “inevitabile”: «Il Destino mi aveva chiuso tutte le altre porte. Mi sono limitato ad accettare l’unico cammino che mi veniva offerto e che sembrava essere quello che dovevo seguire, quello che “la società” si aspettava da me.») di dedicarsi totalmente ed esclusivamente alla propria “vocazione” è rappresentato dalle opere già terminate e da quelle in preparazione. Oltre a La Via dell’Azione, ora finalmente disponibile nella sua traduzione italiana, Medrano ha già pubblicato in Spagna: Sabiduría Activa (secondo volume dedicato all’Azione); La Lucha con el Dragón (il simbolismo del drago visto, soprattutto, come rappresentazione dell’io che ci domina ed opprime); Magia y Misterio del Liderazgo – El arte de vivir en un mundo en crisis (la figura del leader come essere umano integro e completo, come ideale di nobiltà e come meta a cui tutti dobbiamo aspirare); La Luz del Tao (il Tao-Te-King di Lao-Tse tradotto e commentato in un’ampia e approfondita esposizione); La Senda del Honor ( “Il Sentiero dell’Onore”, presentazione di uno dei valori fondamentali di ogni società tradizionali).
Ma oltre a queste già disponibili, tantissime altre sono le opere a cui Medrano sta lavorando nel suo “buen retiro”: Shinto y Zen. Raíces metafísicas de la cultura japonesa; El valor de la persona; Vivir con inteligencia; Mente, espíritu y libertad; El sendero de la felicidad; La revolucíon poética; La accíon heroica; El camino de la vida noble; El Grial en Oriente y Occidente; El mito de Hércules y el destino del hombre occidental; Kali-Yuga. La crisis de Occidente y el fin del milenio; La Tradición como Sabiduría Universal; El Simbolismo del Sol; La revolución de la Cruz Gamada (analisi critica dell’ideologia nazionalsocialista); Wakan-Tanka; El Imperio, forma suprema de la unidad de Europa; El arte de leer; Orden y desorden. Los fundamentos de la vida humana; El Deber, fuerza liberadora y forjadora de la persona.
Nell’ultimo periodo egli è particolarmente impegnato nel progetto di costituzione della “Fundación Antonio Medrano”, un’istituzione che mira al riconoscimento ufficiale ed alla valorizzazione e gestione della sua enorme biblioteca e degli sterminati volumi su ogni materia dello scibile umano in essa contenuti, orientata alla formazione della gioventù, alla difesa e alla promozione della cultura, della spiritualità, degli ideali e dei valori che rendono la vita veramente degna di essere vissuta. Esiste, inoltre, un sito web in lingua spagnola a lui dedicato (https://antoniomedrano.net/), dove è possibile trovare una selezione aggiornata dei suoi scritti e notizie utili, costantemente aggiornate, per seguire in tempo reale le sue innumerevoli attività.
E. I.