In questo spazio abbiamo di proposito sempre evitato di recensire i libri editi dal “Cinabro Edizioni”, per non cadere in un flagrante conflitto d’interesse, per quanto i preziosi titoli editi da questa “nuova ma antica” casa editrice meritassero tutti un’attenzione particolare. Siamo però costretti a derogare da questa linea in occasione dell’uscita del volume di cui vogliamo qui parlare, offrendoci esso la possibilità di fare un precisazione dalle implicazioni generali che travalicano questo singolo titolo, per abbracciare tutta quanta l’editoria e la produzione culturale che opera in una prospettiva tradizionale.
Per spiegarci meglio, diremo subito che l’opera in questione ci ha fatto pensare ad un vecchio pamphlet di Massimo Fini dal titolo La Ragione aveva Torto? — col punto interrogativo iniziale, fatto poi cadere nelle successive edizioni, trasformando la domanda in affermazione — dove il coraggioso scrittore controcorrente che tutti conosciamo criticava aspramente la rivoluzione illuminista, la rivoluzione scientifica e la rivoluzione tecnologica che, a conti fatti, non hanno accresciuto più di tanto — a dispetto della “buona stampa” che le idealizza — il benessere degli uomini e migliorato la qualità della loro vita.
Anche quest’opera di Lord Northbourne (traduttore in Inghilterra delle opere di Guénon) mette in discussione l’idea di progresso che senza una reale giustificazione si è venuta ad affermare acriticamente negli ultimi due secoli. E così come Fini passava in esame nella sua opera temi sociali quali la felicità, l’uguaglianza, la democrazia, la libertà, il rapporto con l’ambiente, la malattia e la vecchiaia, parimenti qui si analizzano i frutti di una società che, a furia di progresso, è sfociata nell’attuale sempre più evidente inferno in terra realizzato.
Il cosiddetto progresso, in quanto «soddisfacimento delle necessità terrestri, dei desideri e delle fantasie — non dà alcun contributo alla libertà interiore; di contro, quando viene perseguito al di là di quel ch’è necessario, tende sempre più a soppiantare e a sopprimere la ricerca della libertà interiore, distruggendo così le proprie reali finalità». Questo trionfo e sublimazione delle esigenze dell’ego rappresenta il vero motore e l’unico motivo d’esistere della società contemporanea, sacrificando, di conseguenza, ogni altro valore ed ogni altra direzione nell’esistenza dell’essere umano ridotto a mero consumatore di cose materiali. Già, ci suggerisce l’Autore, la praticamente totale mancanza di santi nel mondo moderno, sostituiti dalla parodia dei cosiddetti “santi ed eroi laici”, indica chiaramente la direzione e i modelli a cui questo si ispira e la destinazione verso cui esso si muove: rappresenta infatti il santo (coi suoi miracoli e la sua ascesi interiore) la scandalosa negazione di ogni legge fisica e morale su cui si fonda e si basa — come lo ha definito Antonio Medrano — l’immondo moderno.
Per dare un giudizio definitivo sulla civiltà moderna progressista e avanzare qualche plausibile ipotesi sulla sua effettiva durata e permanenza, considerata la sua persistente instabilità e i suoi crescenti squilibri, sarà sufficiente valutare «quel che in realtà [essa nel tempo] ha prodotto in termini d’appagamento, pace, bellezza e libertà, e poi quel che in realtà ha prodotto in termini di ansia, guerra e rivalità, brutture (nel depauperamento della Natura e delle arti) e dipendenza dai propri insaziabili desideri e dalla sempre maggiore esigenza della macchina». Diversamente dalle società tradizionali, dove una religione rivelata e una Conoscenza realmente posseduta, imprimevano la direzione ed esercitavano un’influenza orientatrice sull’esistenza di ognuno: col rispettivo centro sacro di ognuna delle comunità e il cuore nel singolo individuo a riprodurre il centro universale. Quelle religioni che oggi sembrano essere diventate — per le comunità e per gli individui — delle semplici convenzioni sociali, degenerate «in vaga fiducia in Dio, o in mera ideologia, in competizione con altre ideologie che si trovano sullo stesso piano». Del resto, già nel momento in cui si contrappone alla pari la religione alla scienza, vuol dire che si è scesi a combattere sul terreno dell’avversario («La subordinazione della prospettiva religiosa a quella scientifica ha oggi raggiunto un punto in cui la maggior parte delle persone abitualmente presumono che la loro libertà di scelta sia limitata soltanto dalla loro capacità individuale o collettiva di scavalcare gli ostacoli naturali che incontrano sulla loro ‘marcia in avanti’»); dimenticando, fra l’altro, l’esistenza delle antiche scienze tradizionali, le quali si ponevano correttamente in una posizione di dipendenza e sottomissione rispetto al potere e alla conoscenza spirituale.
Forte di tale consapevolezza, l’Autore passa in rassegna tutta una serie di temi e argomenti, utili a lasciarsi veramente alle spalle l’ideologia progressista. Come per esempio la diversa “immagine dell’universo” propria dello scientista, fondata sull’evoluzionismo e sull’idea di progresso continuo e irreversibile, contro quella dell’uomo religioso, in cui la metafisica presiede e dirige le interpretazioni simboliche degli stessi fenomeni naturali. Lord Northbourne, da autorevole agronomo e appassionato giardiniere, non può, del resto, trascurare la “bellezza dei fiori”, cui dedica un formidabile capitolo della sua opera. Come fa con un altrettanto prezioso capitolo sull’agricoltura. Dall’esortazione ad “essere se stesso”, all’esame della “predestinazione e il libero arbitrio”; passando per l’ossessione moderna per la “programmazione del futuro” (palese dimostrazione dell’estrema mancanza di fede in Dio), per giungere, infine, alla “vecchiaia” e alla morte; egli dimostra che tutte le cose provengono da Dio e tornano a Dio, in un percorso ciclico continuo: «Tutti i cicli celesti, terrestri e biologici a noi così familiari, esemplificano il principio ritmico che sta alla base della nostra esistenza e la governa: i movimenti dei corpi celesti e i loro periodici cambiamenti; l’alternarsi delle stagioni, dei mesi, del giorno e della notte, della nascita e della morte, l’apparire e lo scomparire delle specie, l’ascesa e la caduta degli imperi, l’infinita ripetizione del germoglio, del fiore, del frutto e del seme, delle onde del mare; i battiti del cuore e il nostro respiro; tutto ciò ed altre innumerevoli cose familiari sono reali simboli di questo principio ritmico».
Come si vede, un’opera originale (per gli spunti e gli argomenti trattati) pur nella sua saldezza dottrinaria: originale proprio in quanto tradizionale. Tanto che è gioco facile per noi chiudere e completare l’iniziale promessa di quella precisazione fondamentale per la nostra cultura, nel momento in cui si è accostato questo libro a quello di Massimo Fini. Infatti, mentre Fini si muoveva (pur con una minuziosa ricerca documentale e una notevole capacità interpretativa) sul piano della sola ed esclusiva orizzontalità, limitandosi alla semplice polemica e contrapposizione dialettica così simile allo sbattere inconcludente e autodistruttivo della falena contro la fonte di luce; l’Autore di questo libro, anche in ragione della sua conoscenza dell’opera di René Guénon, fonda la sua indagine su una prospettiva verticale e metafisica: la sola in grado di fornire una visione d’insieme veritiera e profonda, che consente di sottrarsi al vuoto vagare nell’insensato labirinto della quotidianità materiale. Punto di vista fondamentale per qualunque tipo di intervento si voglia compiere: sia sul piano culturale sia sul piano pratico-esistenziale, e anche — perché no? — politico e sociale.