Gli dei vagabondi
In cammino dal Vulcano alle Stelle
Questo scritto di Massimo Presti — dato alle stampe grazie al coraggio dell’editore, indifferente al facile guadagno e alle clamorose tirature — è presentato sotto forma di diario intimo ed esistenziale, e lo si potrebbe tranquillamente definire la cronaca di un tentativo di redenzione celata dietro il mascheramento letterario. Un doloroso percorso alla ricerca del riscatto e della liberazione (fosse pure solo salvezza o scampo!), sicuramente tentato, ma il cui esito finale non si può comunque dare per scontato. Ne vogliamo qui parlare, anche perché esso ci offre la possibilità di passare dal particolare al generale, rientrando a pieno titolo questo testo fra le innumerevoli testimonianze di tentativi, più o meno riusciti, di evasione dalla oramai generalizzata condizione di totale indifferenza e chiusura verso tutto ciò che ha a che fare con il sacro.
La vicenda è ambientata e si svolge, principalmente, nella città natale dell’autore: una Catania che si presta naturalmente alla rappresentazione squallida, sporca e desolata — dentro e fuori — in cui il protagonista Germano “è agito” dall’infanzia all’adolescenza, fino alla maturità di uomo e padre di famiglia. La città siciliana, infatti, nel suo lato oscuro e tenebroso — ricettacolo di insopportabili miserie e dei peggiori vizi — è il luogo ideale nei cui meandri avviene la discesa agli inferi del nostro personaggio; sprovvisto tuttavia dell’indispensabile guida di un Virgilio, che garantisca la giusta direzione. E il fatto che l’altra faccia di Catania, quella solare e luminosa, ricca di cultura e umanità, popolata da gente “sperta” anche a fin di bene, non emerga mai dalle pagine del racconto, anche quando si vogliono descrivere momenti buoni e positivi, ci dice quale soffocante cappa opprima l’intera narrazione e i singoli personaggi in essa descritti.
Da bambino con la testa fra le nuvole, preda dei suoi incubi notturni e delle ristrettezze economiche diurne della famiglia, crescendo, Germano finisce per subire passivamente gli agguati della droga, che gli fa perdere il quid e ne amplifica l’autocommiserazione, come se un destino inesorabile gli indicasse quell’unica direzione. Attraversare la giungla del lavoro — popolata da iene e sciacalli della peggiore specie — per garantire a sé e alla famiglia l’indispensabile sostentamento, non è sicuramente impresa agevole per chi ha permesso al nemico di penetrare all’interno della sua coscienza, usando come “cavallo di Troia” costose dosi quotidiane di erba e sostanze tossiche varie.
Poi, quasi per caso, come succede spesso nelle manifestazioni dello Spirito, un incontro, all’inizio solo letterario, con un percorso di crescita interiore (che, dalle allusioni fatte nel libro, si evince essere quello descritto da Carlos Castaneda sul suo apprendistato presso alcuni sciamani ricollegati all’esoterismo tolteca), imprime una svolta alla sua esistenza, fornendogli appigli e orientamenti nuovi per affrontare con una rinnovata consapevolezza e con un ritrovato scopo la vita di prima; illuminata però adesso da un flebile raggio di luce, foriero di positivi sviluppi futuri. La paura che in diversi momenti era andato a visitarlo nel corso della sua vita, si mostra nella sua fittizia consistenza di fantasma che gli annebbiava la vista e ne comprometteva la lucidità: «La società moderna tende a renderci codardi, vili e paurosi e per conseguenza malvagi… il pacifista è tale non perché intimamente sente che la violenza è ingiusta, ma perché ha paura… che qualcuno possa fargli del male… che lo si possa uccidere…».
Per rimanere ai luoghi dell’ambientazione di questo racconto, evocati già nel titolo, vogliamo di passaggio ricordare che l’Etna e il suo territorio nascondono e custodiscono delle condizioni, non solo fisiche, particolarmente dure e pericolose; legate anche alle sue stratificazioni mitiche e in grado di mettere duramente alla prova chi vi si avventura senza la necessaria preparazione, mettendo il piccolo io egoistico di ognuno di fronte a prove e verifiche, il superamento delle quali può, già di per sé, costituire un segno di qualificazione. Costringendo altrimenti alla fuga, prima di tutto da se stesso, il malcapitato.
Come accennavamo all’inizio, questo racconto può quindi risultare esemplare e trascendere il singolo caso in esso descritto, nel momento in cui può fungere da stimolo a utili riflessioni sulla condizione esistenziali di buona parte delle persone che, oggi, non si accontentano della cosiddetta vita ordinaria, per aprirsi a più alte aspirazioni. Da questo punto di vista va detto senza esitazione che il rischio maggiore che sta in agguato dietro l’angolo, per chiunque tenti oggi l’arduo cammino della ricostruzione interiore, è quello dell’illusione, dell’inganno e dell’abbaglio chimerico; essendo, paradossalmente, diventata esageratamente ampia l’offerta di vie e percorsi realizzativi (e quindi anche di trappole e contraffazioni!), assecondando l’impulso all’evasione di un soggetto annoiato e sazio d’ogni bene materiale; proprio nel momento in cui l’essere umano si trova nel punto di massima distanza da simili mete ed obiettivi. Tecnicamente: non si può “diventare Don Juan” (per rimanere alla strada seguita da Germano) senza Don Juan, così come non si può tendere a Dio senza Dio; senza cioè poter disporre e utilizzare i percorsi e i metodi che, nel nome di Dio, sono stati approntati e messi a disposizione dei rari vocati alla “cerca”.
La difesa della personalità umana è, di fatto, la base di partenza e il fondamento di ogni tentativo di ascesi. Difesa fino a tempi recentissimi ancora assicurata dalla religione, prima che questa subisse lo svuotamento che oggi ne mette a rischio, se non l’esistenza, almeno la sua stessa “ragione sociale”. Come ci ricorda Evola nel suo Maschera e volto: «Qui ci si deve riferire alla personalità in senso proprio. Il contatto con lo “spirituale” e l’affioramento di esso possono rappresentare un rischio fondamentale per l’uomo, nel senso che possono avere per effetto una menomazione della sua unità interiore, di quell’appartenere a sé, di quel suo potere di presenza chiara a sé e di chiara visione e di azione autonoma che definiscono appunto l’essenza della personalità. (…) Le personalità più deboli, ove tale istinto manca o è attenuato, sono quelle disposte ad accogliere e a coltivare imprudentemente idee, tendenze e evocazioni, del cui pericolo non si rendono conto».
Se questo libro, al di là della sua indubbia qualità narrativa, susciterà e farà sorgere domande e interrogativi sugli eventuali probabili sbocchi di vie intraprese senza le indispensabili qualificazioni e senza la guida sicura di un Virgilio personale, esso non sarà stato scritto invano, e potrà diventare un segnale di attenzione ed un richiamo allo stato di allerta, che non deve mai mancare in chiunque voglia inoltrarsi lungo il sentiero più pericoloso ma più affascinante che l’essere umano possa imboccare.
Massimo Presti, Gli dei vagabondi – In cammino dal vulcano alle stelle, il Cerchio, Rimini, 2020.