
In questa foto di metà anni ’50, scattata ad un campeggio del Circolo “Ferrini” di Breo, qualche nostro lettore riconoscerà il prof. Guido De Giorgio insieme col figlio Renato (al centro). Un personaggio singolare di grande cultura filologica e filosofica, quel professore. Sguardo miope, ma sprizzante intelligenza, figura asciutta, capigliatura fiammeggiante, impennate e invettive colorite, concezioni e stile di vita fuori degli schemi, ebbe alterne attenzioni per le religioni orientali e per il misticismo cristiano, da Buddha a Maometto a padre Pio, cui dedicò il libro “Quel che mormora il vento del Gargàno”. Per essersi tenuto lontano da posti di ruolo nella scuola, nei suoi ultimi anni campava di qualche lezione privata nella sua casa di Deviglia assediata dai libri e dalla neve; e di là se ne scendeva a piedi fino al Santuario di Vico per servire con esemplare concentrazione la Messa quotidiana.
Ora la “Rivista di studi tradizionali. Heliodromos” annuncia un numero speciale a lui interamente dedicato, a cura di Enzo Jurato. Sarà presentato venerdì 6 marzo a Torino presso il Centro Studi L’Araldo (ore 21, via Spanzotti 7/a). Lo leggeremo con interesse, anche se è prevedibile un taglio volto a evidenziare soprattutto certe propensioni all’esoterismo e certe posizioni ultraconservatrici suggerite da incontri con Julius Evola e René Guenon, ma poi dal professore superate da altri slanci e convincimenti.
Nato il 3 ottobre 1890 a San Lupo di Benevento, Guido De Giorgio si laureò in filosofia a Napoli, poi andò insegnante in un Liceo di Tunisi. Lì entrò in contatto con l’ambiente “sufi” e con la mistica islamica che lo spinse ad un tradizionalismo senza compromessi, nemico del modernismo e del prometeismo tecnologico. Dopo la Grande Guerra collaborò a riviste ispirate da Evola (“Ur”, “Krur”, “La torre”; e dopo il ’45, criticò la democrazia che si andava instaurando in un aspro pamphlet (“La repubblica dei cialtroni”). Altre sue opere, “La tradizione Romana”; “Dio e il poeta”; “Prospettive della Tradizione”, “L’Instant et l’Eternité”, con frequenti ritorni sulla Divina Commedia.
Ora Enzo Iurato ne dà in sintesi questo giudizio, da verificare e discutere: “Avversato dal filone ‘pagano’ della cultura di Destra per l’accondiscendenza verso il misticismo cristiano (che si fece via via più strada in lui: n.d.r.), ma guardato con sospetto anche dal milieu filocattolico che non gradisce sbandate antroposofiche ed esoteriche, De Giorgio è stato uno degli uomini di cultura più misconosciuti dall’ambiente degli intellettuali ‘organici’ del dopoguerra… Asceta e introspettivo, amava vivere isolato e lontano da ogni strumento o ingranaggio che tradisse un pur minimo accenno di rudimentale tecnologia”. Morì il 27 dicembre 1957 nella solitudine di Deviglia, a due passi da Montaldo.
Intanto ci risulta che altri stiano studiando la vita e il pensiero di uno dei figli del prof. De Giorgio, Havis, alpinista e volontario in Africa: intellettuale inquieto pure lui, morto alla testa di una pattuglia di ascari nell’aprile 1937 in un combattimento a Goibo, e decorato di Medaglia d’oro.
TRATTO DA: http://www.unionemonregalese.it/index.php?id_articolo=3193