di Angelo Iacovella
in Un libro al giorno da Secolo d’Italia del 30/03/00
GUIDO DE GIORGIO, “Prospettive della Tradizione”, Catania, Il Cinabro 1999, pp. 176, £ 22.000
Non sembri al lettore segno di petulante irriverenza il fatto che noi si ritorni, su queste colonne, a distanza di pochi giorni dalla comparsa di un precedente articolo su Guido De Giorgio (cfr. il Secolo d’Italia di giovedì 9 marzo), a parlare – sia pur per sommi capi, come la sede impone – di questo personaggio «semi-dimenticato» del primo ‘900; personaggio che una certa cultura che si dice di Destra farebbe bene a riscoprire e – perché no? – a rivendicare come suo. De Giorgio, certo, non abbiamo alcuna difficoltà nell’ammetterlo, è autore non facile, né – almeno all’apparenza – eccessivamente «invitante». Ogni sua pagina, più che letta, va – ci si passi la metafora alpinistica – «scalata». Ogni sua opera, a cominciare da La tradizione romana (I ed. postuma: 1973), opportunamente «ruminata». Il suo pensiero – espressione di un cattolicesimo adamantino non privo di sfumature ermetiche e metafisicheggianti – colto nell’atto del suo dipanarsi e culminare in folgoranti illuminazioni. Un autore tutt’altro che facile, abbiamo detto, nonché – tra parentesi –tutt’altro che facilmente reperibile sul mercato; circostanza quest’ultima che ha ovviamente fatto sì che, per quanto cospicuo, il contributo dottrinale di De Giorgio non abbia mai ricevuto l’attenzione che pure meritava. Prospettive della Tradizione contribuisce, in parte, a colmare questa deprecabile lacuna.
Il volume in questione raccoglie i testi originali di tutti gli articoli pubblicati dal De Giorgio tra il 1939 e il 1942 su «Diorama Filosofico», l’inserto quindicinale curato da Evola per il quotidiano di Farinacci Il Regime Fascista. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare a un primo impatto, si tratta di scritti che (a parte gli scontati e tutto sommati secondari riferimenti al Fascismo), poco o per nulla risentono delle contingenze politico-esteriori di quegli anni. Si direbbe quasi, leggendolo, che De Giorgio si sia compiaciuto, piuttosto, di affrontare questo o quell’argomento da una angolazione volutamente anacronistica o, per meglio dire, «metastorica», come è proprio di chi sappia elevarsi, sono parole sue, «a sfere sempre più alte di vita trasfigurante». La disumanità del mondo moderno; l’idolatria della macchina, «l’ascesi guerriera», il binomio «scienza-saggezza», la missione universale di Roma: sono, questi, solo alcuni dei temi che De Giorgio esamina qui nel nome di quella Verità trascendente che è «essenzialmente una» e che «si riflette, nel complesso cosmico-umano, cioè nel mondo, su vari piani gerarchicamente disposti e unitariamente convergenti».
Il libro è un fulgido ed efficace esempio di come una critica all’odierna Zivilisation, e alle molteplici degenerazioni che questa porta seco, se rettamente formulata, non possa fare a meno di richiamarsi alla Tradizione intesa come «patrimonio vivo perennemente fecondo, ricco di possibilità infinite in tutti i tempi e tutte le circostanze, come una sorgente le cui acque alimentano piani e valli irriguamente e in ogni senso».
Da non perdere.