“Re” Giorgio fu nominato il 2 dicembre 2011 dal New York Times, per aver giocato «…un ruolo importantissimo, seppur dietro le quinte, nella transizione dal governo di celluloide di Silvio Berlusconi a quello tecnico di Mario Monti…», riportava Il Fatto Quotidiano il 4 dicembre 2011.
Al suo funerale laico per volontà espressa in vita, il ristretto numero di delegati e politici, alcuni semplici comparse in cerca di visibilità, hanno recitato la pantomima del presidente vicino al popolo, del suo alto senso civico e del rispetto delle istituzioni democratiche, sorvolando sulla sua genealogia politica, ossia che fosse l’allievo più brillante di Amendola (M. Blondet) e del suo programma che, oltre a perseguire una forma di bipartitismo anglosassone, puntava sul liberismo a scapito del nazionalismo, elementi che lo rendevano ben visto nei salotti anglo-americani, oltre a godere dell’influente amicizia di Kissinger.
Ha sotterrato con la complicità dei media la sua appartenenza giovanile al GUF (Giovani Universitari Fascisti), iscrivendosi al PCI nel 1945 e ha condannato la rivolta del popolo ungherese, elogiando il pugno di ferro sovietico: «Costoro, ordinando la fucilazione dei coraggiosi rivoltosi di Budapest, avrebbero, addirittura, … contribuito a rafforzare la «pace nel mondo». (Italia Oggi . 09/01/2019, Pietro Mancini).
Napolitano fu definito, a ragione, l’anti-Berlusconi. Se il Silvio nonostante le sue incontestabili debolezze umane, si definiva un italiano e voleva mantenere un minimo di sovranità del proprio Paese, Napolitano ha di fatto tradito l’Italia soprattutto durante i suoi mandati da Presidente, seguiti “provvidenzialmente” a quello di Ciampi, primo capo di stato non Parlamentare.
La sua obbedienza e fedeltà alla massoneria e ai circoli dell’alta finanza, dai quali derivava il proprio potere, spiegano il suo spietato pragmatismo e la sua siderale distanza da un popolo che nel 2011 mostrò apertamente di disprezzare, quando favorì l’insediamento di Monti a Premier, e impose alla nazione, a partire dall’impennata del carburante, un’esosa tassazione patrimoniale, la famigerata riforma “Fornero” sulle pensioni e il terroristico annuncio di un futuro lacrime e sangue che prostrò la serenità per milioni di famiglie, messaggio ancor più sinistro, in quanto a ridosso del periodo natalizio.
Nei suoi mandati, non ha avviato alcun programma politico che favorisse la ripresa economica del Paese, tutelasse l’occupazione, garantisse una casa agli indigenti. «Di fatto, Napolitano, sembra essere l’erede di un progetto laico-borghese che è annidato da generazioni nel PCI e, come un virus opportunista, ha aspettato le condizioni per diventare attivo.» (cfr. Blondet – Complotti III)
La presenza stessa di Bergoglio e la predica del cardinale Ravasi su coloro che si pentono tardivamente, nell’ultimo atto della loro esistenza, un atteggiamento ispirato dalla “…teologia di Bergoglio che Cristo non punisce e non condanna, non occorre pentirsi né cambiare vita viziosa (Blondet – Napolitano è in “cielo”), suonano come un insulto che disorienta i veri fedeli.
Concordiamo pienamente con l’ex senatrice Finocchiaro quando, commossa, ricorda che «… ha speso la sua vita per l’Italia…». È verissimo! Ha centrato l’obiettivo di affossarne la sovranità, indebitarla con le banche straniere, renderla serva di politiche che non ci appartengono e ha spianato la strada al suo degno successore.
Se, come vorrebbe Il Riformista, Napolitano era il meglio della sinistra italiana, che ha messo l’Italia in ginocchio, per dovere verso i suoi “mentori” ai quali tributava assoluta obbedienza, cosa dovremo aspettarci dall’attuale schieramento suo erede, senza alcun aggancio alla realtà, portatore di programmi che più che di sinistra è giusto definire sinistri?