…Dopo aver attraversato l’immensa pianura del Wyoming, arrivammo verso la fine del pomeriggio nella riserva degli Indiani Corbeaux. Era il secondo giorno del solstizio d’estate, e quella stessa sera avrebbe avuto inizio la Danza del Sole. Intorno a noi solo colline ricoperte di fiori gialli; non fu visibile alcun segno del luogo sacro sino a quando superammo il bordo elevato di un altopiano dove l’albero sacro dell’anno precedente, uno scheletro senza fogliame, si stagliava contro il cielo; poco più lontano vi era la loggia della Danza del Sole recentemente costruita: qui si ergeva l’albero sacro; da esso si dipartivano otto travi poggiate da un lato sulla sua forcella e all’altra estremità sul recinto fatto di piccoli abeti senza corteccia. Yellowtail, lo Sciamano, era là con alcuni altri Indiani; aveva appena fissato i due grandi simboli: la testa di bisonte, sospesa al tronco dell’albero, ad altezza d’uomo, e l’aquila, agganciata a un fascio di rami, che oscillava debolmente al vento.
Al nostro arrivo dunque la loggia era quasi interamente eretta; la prima parte dei riti, ossia l’abbattimento dell’albero e la sua fissazione al centro del recinto, aveva già avuto luogo. L’impressione di primordialità che emanava dalla loggia si mescolava a un’atmosfera fatta di freschezza e di profumo di resina. Il recinto sacro disegnava un vasto cerchio che per un terzo, rivolto a Est, restava aperto di fronte al sole. Non potei trattenermi dall’abbracciare Yellowtail che sorrise dicendo «Ahó» (bene, grazie).
Trascorsero alcune ore nell’attesa. Al crepuscolo i danzatori entrarono nella loggia dopo averne percorso la circonferenza in due movimenti opposti. Era stato installato un grande tamburo intorno al quale presero posto circa cinque cantori. I canti che si levarono allora sotto il cielo puro dalle grandi stelle splendenti erano melodie prive di parole, senza dubbio a imitazione delle voci della natura. Ogni melodia, che noi distinguevamo a fatica dalla precedente, si sviluppava a cascata: cominciava con un suono alto per poi scendere a tonalità basse e rauche, come un’eco che si amplifica con il diminuire della distanza.
La danza durò tre giorni e tre notti, e durante questo tempo i danzatori digiunarono; quand’erano esausti, si riposavano alcuni istanti all’ombra degli abeti per riprendere subito dopo i movimenti della danza. Questa si svolgeva tra un punto fisso del recinto e l’albero sacro e ogni danzatore seguiva un percorso individuale; nell’avvicinarsi all’albero sacro i movimenti del danzatore acceleravano, quindi, dopo aver assorbito la freschezza che circonda l’albero – così ci fu spiegato – egli arretrava a piccoli passi ritornando alla posizione iniziale.
A partire dal secondo giorno qualche sollievo ai danzatori venne offerto dai membri delle loro famiglie: piante acquatiche, giunchi e canne furono intrecciate da un abete all’altro, formando in tal modo delle nicchie che proiettavano un po’ d’ombra, e la salvia sacra che cresceva rigogliosa nei dintorni fu sparpagliata sul percorso dei danzatori. Questi erano almeno una sessantina, per circa una metà uomini, per l’altra metà donne; le rispettive posizioni di partenza erano ripartite sulle due metà della loggia.
Durante la notte un fuoco viene tenuto acceso all’interno della loggia; esso è situato sull’asse che unisce l’albero sacro al punto dell’orizzonte da cui sorgerà il sole. Sin dall’alba i danzatori si preparano al rito culminante: il saluto al sole che sorge. Yellowtail pronuncia una lunga preghiera nella propria lingua madre e quattro canti sacri senza parole. I danzatori ricevono il primo raggio del sole in piedi, in fila, intensificando il sibilo dei loro zufoli in osso d’aquila; il suono è in un certo qual modo reso visibile dalla vibrazione del lieve piumaggio d’aquila che ricopre lo strumento. I danzatori, che durante il giorno sono a torso nudo, si gettano adesso sulle spalle delle coperte per ripararsi dal freddo che soffia sulla prateria, in contrasto con l’intenso calore del sole che domina lungo l’intero corso del giorno, e causa autentiche sofferenze ai danzatori che vi sono esposti. Ma la sofferenza era ancora più intensa un tempo, quando i muscoli del dorso o del petto erano stretti da cinghie di cuoi che univano i danzatori al tronco dell’albero; vi è come un ricordo di questa usanza nei movimenti a volte rapidi e a volte trattenuti della danza; indietreggiando, le corregge tiravano sui muscoli sino a dilaniarli. Ma vi è anche in questi due diversi movimenti come l’espressione di un movimento spirituale che all’inizio afferri il proprio oggetto in pochi balzi, poi l’assimili distanziandosi lentamente da esso. Ogni partecipante alla danza compie del resto un movimento in qualche modo individuale. Ricordo in particolare una donna di una quarantina d’anni che percorreva il proprio tragitto in un numero limitatissimo di passi maestosi.
Sul tronco dell’albero sono dipinti tre anelli corrispondenti ai tre mondi. L’aquila domina questi tre mondi, mentre il bisonte è legato alla terra; la sua pesante testa appariva tra il fogliame nella direzione del sole; gli era stata messa della salvia sacra in bocca e dell’argilla sulle guance, perché – ci spiegarono i nostri amici pellirosse – il bisonte in collera smuove la terra. L’aquila e il bisonte sono i due simboli che appaiono con maggiore frequenza ai partecipanti alla Danza quando, sotto l’ardore del sole, perdono conoscenza o sono rapiti da un’estasi. L’aquila domina l’albero come lo Spirito domina il Cosmo. «l’aquila sacra viene chiamata aquila povera», ci disse Yellowtail; senza dubbio perché lo spirito cosmico si situa direttamente al di sopra del Grande Spirito.
Abbiamo detto che il secondo giorno della Danza del Sole è il giorno del sollievo; ma è anche il giorno delle manifestazioni soprannaturali. I membri delle famiglie dei danzatori si incaricano allora di decorarli secondo quell’arte che è propria dei Pellirosse e che consiste nel fissare la presenza dei poteri cosmici nel corpo del loro protetto. Giacché i danzatori eseguono le danze a torso nudo, quest’ultimo si presta alla decorazione simbolica; talvolta un semplice segno – un anello introno a un occhio, o lo zig-zag di un lampo lungo un braccio – è sufficiente per unire colui che viene decorato a quella visione che più sovente gli è apparsa in sogno.
Durante tutte le cerimonie, il rullare del grande tamburo e i canti monotoni risuonano incessantemente sia di giorno che di notte. Il ritmo è rapido e fa pensare al tuono; il tuono è ancora l’aquila, che si manifesta anche attraverso il suono stridente degli zufoli. L’aquila è lo spirito, e lo spirito è il cuore; di tutte le realtà spirituali, la grande prateria offre immagini per così dire primordiali e immediatamente convincenti. Quando di sera, dopo il tramonto del sole, ci si avvicina alla loggia, incessantemente animata dal ritmo del tamburo e dal sibilo dell’osso d’aquila, tra lo stormire delle foglie nel vento, si ha l’impressione di avvicinarsi a un grande essere vivente dotato di forza magica; una magia potente emana dalla stessa danza e risuona nel cuore per giorni e giorni.
Il secondo giorno, abbiamo detto, è il giorno del sollievo ed anche del culmine della danza; il terzo giorno è il giorno delle guarigioni. Sin dal mattino una gran folla, in buona parte costituita da intere famiglie di coloni bianchi, giunge sul luogo della Danza del Sole e attende pazientemente che Yellowtail la faccia partecipe della potenza guaritrice di cui l’albero sacro è pressoché colmo grazie ai riti di cui è il centro. Yellowtail guarisce nel nome dell’aquila, che è la sua particolare protettrice, e anche in nome della lontra. Egli sfiora il tronco dell’albero sacro con una piuma d’aquila, che dopo passa sulle membra malate del paziente; nello stesso tempo espone una pelle di lontra. Ognuno di questi gesti è rivolto in realtà all’archetipo dell’animale protettore, e la funzione di guaritore appartiene necessariamente, presso gli Indiani, al rango spirituale di colui che ne è investito: l’Indiano ricerca essenzialmente l’armonia della natura e l’armonia del suo popolo con il suo ambiente cosmico.
Il terzo giorno termina con uno scambio di doni tra coloro che hanno partecipato al rito; uno scambio che è esso stesso espressione di tale armonia tra gli esseri.
Una lunga preghiera viene detta in favore del donatore (sponsor) che si è assunto le spese del rito e che ha officiato a fianco di Yellowtail, lo Sciamano. Infine, a tutti coloro che hanno assistito viene offerto un pasto rituale di carne di bisonte.
Yellowtail, un uomo vigoroso malgrado l’età, doveva essere estenuato dalla danza e dal digiuno, e così gli proponemmo di piantare le tende in una foresta delle Bighorn Mountains affinché potesse riposarsi. Egli accettò e partimmo quasi subito. Prima di scegliere il luogo in cui accamparci, salimmo sino al crinale del massiccio che si innalzava gradatamente dal nostro versante; dall’altro lato si apriva un abisso. Sul crinale è situata la famosa Ruota-Mistero (Medicine-Wheel), di cui Yellowtail ci spiegò il significato secondo la tradizione della sua tribù: un uomo che soffriva di una malattia della pelle si era isolato sulla montagna per tradurre in pietra lo schema della Danza del Sole; ventotto raggi univano la periferia della ruota al suo centro; sono le ventotto case lunari. Quattro cumuli di pietre indicavano le direzioni cardinali; avevano la forma di quattro grandi reliquiari; secondo Yellowtail, l’autore della sacra ruota poteva dormirvi coprendosi di rami di abete. La costruzione era accompagnata da una invocazione al Grande Spirito e quando la ruota – che ha all’incirca le dimensioni di una loggia della Danza del Sole – fu terminata, il suo autore era guarito.
Dopo questa visita alla Medicine-Wheel ridiscendemmo sino al punto in cui i grandi fiumi della montagna lasciano il margine della foresta, dopo aver creato dei grandi acquitrini in cui si muovono bisce silenziose come ombre. Piantammo le tende vicino all’acqua in un luogo chiamato Dead Sweade. Intorno al fuoco del campo ascoltammo i racconti dello Sciamano: la storia della trasmissione dei poteri di guarigione da uno sciamano all’altro, secondo una catena che ebbe inizio con i misteriosi «Piccoli Uomini» (Little People) per concludersi con lo stesso Yellowtail. Come in molti racconti sacri degli Indiani, è la folgore che instaura il legame tra il mondo degli uomini e quello degli spiriti. Il potere di guarigione è implicito nell’influsso spirituale, ed è trasmesso in misura più o meno grande con l’uso di oggetti naturali come pietre o piante. A questo riguardo, Yellowtail mi disse che nessuna medicina è efficace se non combina la preghiera e le erbe. Secondo la sua esperienza, il duplice effetto delle medicine così preparate superava talvolta le aspettative dello stresso Sciamano che ne faceva uso.
Rivelò anche il nome del genio custode dei poteri; si chiama «Sette Frecce», ed è il simbolo del Centro: secondo la tradizione, una «freccia» rappresenta una direzione dello spazio. Vi son le quattro «frecce» delle direzioni cardinali, vi è poi lo Zenit e il Nadir, e le direzioni così sono sei; la settima non è, propriamente parlando, una direzione, ma è il Centro stesso, da cui le altre direzioni sono emanate.