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Distacco dal superfluo

Questo brano di Seneca, estratto da una delle sue Epistole, ci mostra l’effetto e i risultati che possono derivare dalla frequentazione di un Maestro che abbia la conoscenza necessaria per poter indirizzare nella giusta direzione quanti si accostano a lui con animo aperto e ricettivo, specie i giovani nella stagione in cui si forma il carattere di ognuno. Più avanti nella stessa lettera l’autore tributa inoltre un esplicito omaggio ai filosofi neopitagorici Sozione e Sestio, nei cui insegnamenti trovano conferma e rafforzamento le indicazioni relative al regime alimentare e al superamento del superfluo contenute in queste righe.

Molto si parla del disprezzo del denaro e con lunghissimi discorsi si ammaestrano gli uomini a credere che i loro beni risiedono nell’animo, non nel patrimonio: ricco è colui che si è adattato alla propria povertà e si è fatto ricco con poco. Ma gli animi rimangono più colpiti quando si sentono pronunciare versi di questo genere:

Ha bisogno del minimo quel mortale che il minimo brama.

Ha ciò che vuole chi sa volere ciò che basta.

Quando sentiamo queste parole e altre consimili, dobbiamo necessariamente ammettere la verità. Infatti persino quelli che non si accontentano mai di nulla manifestano ammirazione, entusiasmo, proclamano il loro odio per il denaro. Quando li avrai visti in questa disposizione d’animo, incalza, premi, fa sentire il tuo peso, messi al bando equivoci e sillogismi e sofismi e ogni altro giochetto di inutile acume. Volgiti contro l’avidità, volgiti contro il lusso sfrenato. Quando ti sarai accorto di aver ottenuto qualche successo e avrai impressionato gli animi degli ascoltatori, insisti con più energia: è incredibile quanto importanti siano i risultati di un simile modo d’esporre, teso alla guarigione e interamente volto al bene degli ascoltatori. Difatti è molto facile indurre tenere menti all’amore dell’onestà e della rettitudine, e la verità, quando per ventura dispone di un avvocato idoneo, ha potere su indoli ancora docili e solo leggermente corrotte. Io almeno, quando udivo Attalo inveire contro i vizi, gli errori, i mali della vita, ho provato spesso compassione per il genere umano e ho creduto che egli fosse un uomo sublime e superiore a ogni umana grandezza. Definiva se stesso un re, ma, ancor più che un re, mi sembrava un uomo munito della facoltà di censurare i regnanti. Quando poi aveva cominciato a tessere gli elogi della povertà e a mostrare come tutto ciò che eccede il necessario fosse un peso superfluo e greve per chi lo portava, spesso mi sarebbe piaciuto uscire povero dalla scuola. E quando aveva iniziato il discorso con lo sferzare i piaceri, lodare la continenza, la sobrietà a tavola, un atteggiamento mentale immune non solo da piaceri illeciti, ma anche da quelli superflui, mi veniva proprio voglia di imporre limiti severi alla gola e al ventre. Dopo questi incontri mi sono rimaste, o Lucilio, talune consuetudini. In effetti mi ero accinto con grande slancio a mettere in atto tutti i suggerimenti, poi, ricondotto alla prassi della vita cittadina, ben poco riuscii a conservare dei miei buoni inizi. Di qui la rinuncia per tutta la vita alle ostriche e ai funghi, che, per la verità, non sono propriamente cibi, ma stuzzichini che inducono a mangiare chi è sazio fino al collo. Nulla di più gradito ai mangioni e a quelli che si rimpinzano oltre la capacità del loro ventre; è roba che va giù facilmente e che facilmente torna su. Di qui la decisione di astenerci per tutta la vita dall’uso di profumi, perché il migliore profumo che si può avere sul corpo è nessun profumo. Di qui uno stomaco che fa a meno del vino. Di qui il tenersi lontani per tutta la vita dalle terme: siamo convinti che far cuocere il corpo fino a rinsecchirlo ed esaurirlo a furia di sudorazioni è pratica inutile e da gente smidollata. Le altre abitudini, che avevo eliminato, sono tornate, ma in un modo da consentirmi di osservare una certa misura per quelle da cui avevo cessato di astenermi, ed è una limitazione piuttosto vicina all’astinenza e non so se ancora più difficile di questa, perché certe consuetudini dell’animo è più facile sradicarle che moderarle.

Seneca, Lettere a Lucilio (XVII, 108)


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