I cibernauti alla ricerca del sito perduto
Manipolazione della coscienza
Con la nascita dei social-network tra i quali dominano giganti quali e-bay, youtube e facebook, quotidianamente circa due miliardi di persone, s’incontrano attraverso la rete; un gigantesco flusso di contatti che modifica la comunicazione interpersonale, rendendo il contatto telefonico – il quale mantiene una pur minima traccia di emozione – superato dall’irrompere delle chat.La possibilità di comunicare contemporaneamente con centinaia di utenti, in forma anonima, trasforma la percezione stessa del rapporto inter-umano. Nelle chat, protetti dall’anonimato dietro la registrazione di un nickname fittizio, si perdono i freni inibitori dell’io, in mancanza dei quali ci si permette di esternare qualsiasi insulto, oscenità o minaccia, senza la possibilità di essere contestato né, soprattutto, individuato; è un coraggio virtuale, nella doppia accezione del termine.In queste stanze virtuali avviene quello che la psicanalisi definisce uno svuotamento del subconscio, l’affiorare dei cosiddetti elementi pre-personali dell’individuo, energie latenti che, non più tenute a freno, determinano un ingorgo psichico dagli esiti imprevedibili.
Il cyberspazio
Intossicazione che si associa a un delirio di onnipotenza, favorito dall’illusione di raggiungere velocemente, con l’accesso alla rete, qualsiasi luogo esistente o immaginario; si aprono al cibernauta scenari imprevedibili, nei quali egli è il protagonista alla ricerca dei siti dispersi in questo immenso mondo virtuale.Un protagonismo che esalta l’egocentrismo, mette al primo posto le proprie brame che, col tempo si trasformano in ossessioni nocive.
In effetti, l’uomo occidentale del nostro secolo, attratto dalla tecnologia, ritenuta dispensatrice di benessere e gratificazioni (1), rifugge dalla fatica, impreca contro qualsiasi sofferenza o avversità, non vuole essere messo in discussione, è insoddisfatto perché le sue aspettative non trovano corrispondenza nel mondo reale.Di conseguenza, il rifugio più consono a questa massa di scontenti, diviene il cybermondo, dove l’uomo qualunque si trasforma in audace internauta; «un esercito di cybernauti che – secondo lo psicologo John Suler della Rider University – cerca nel computer ciò che non ha nella vita reale» (2). Un individuo capace di “dialogare” per ore, in rete, con individui di qualsiasi razza o estrazione ma incapace di prestare attenzione al proprio vicino di casa, o ai familiari più stretti perché «…quando Internet sostituisce il padre, gli amori mai vissuti, le amicizie deludenti, il cyberspazio diventa tutto, specialmente quando si hanno dodici anni. Diventa la vita stessa» (3).
Videogame assassini
Dal cyberspazio alle mura domestiche, le maggiori case produttrici di software hanno trovato nei videogame il prodotto vincente per imporsi al grande pubblico, in particolar modo sulle fasce giovanili, under 18. Quali turbe mentali possa produrre un videogioco, lo possiamo solo desumere da alcuni tragici eventi accaduti. Osserviamo pericolose sindromi da astinenza (4), e un’allarmante e crescente identificazione tra il giocatore e il protagonista virtuale. Questo fenomeno si è diffuso con la produzione di giochi quale il Tamagotchi (5), il pulcino alieno che andava seguito tutti i giorni e ha tolto il sonno a milioni di bambini, mentre per le fasce di età superiore, venivano realizzati videogiochi killer. Capostipite è stato “Carmageddon”, un videogioco che simulava «…una corsa automobilistica al computer fra efferati killer a bordo di potenti vetture con l’obiettivo di uccidere quanti più passanti possibili» (6). Da allora gli enormi innovamenti grafici hanno migliorato l’aspetto del personaggio, rendendolo sempre più realistico; realismo che favorisce una tale immedesimazione (7) del giocatore con il protagonista, da annullare le barriere nette di separazione tra fiction e realtà. Avviene durante questi giochi un sottile e inavvertito transfer interiore, assimilabile a certe pratiche medianiche, delle quali peraltro caratteristica comune è uno scadimento del livello di vigilanza interiore.
A tal proposito ricordiamo l’omicidio di Maria Letizia Berdini perpetrato, dal cavalcavia di Tortona, il 27 dicembre 1997, ad opera di una banda che si riuniva per giocare a Point Blank: «un gioco che permette di uccidere uomini e donne alla guida di veicoli». Vittorino Andreoli, psichiatra, ha formulato una lucida diagnosi: «Ormai c’è una generazione di giovani che vive più tempo nella virtualità che nella concretezza» motivo per cui «si instaurano in loro meccanismi per uccidere che facilmente si ripetono in qualunque circostanza». E continua: «Nel cervello di questi giovani si formano circuiti che, nella ripetizione, diventano automatici o semiautomatici. E così si crea uno schema comportamentale che tende all’azione anche nel passaggio dal video alla realtà: da un videogioco al cavalcavia dell’autostrada.» (8)
Considerazioni
Secondo Raffaele Simone, linguista e filosofo «La rete può essere utilissima per sapere qualcosa di parti del mondo dove accadono cose importanti (dalla Cecenia ad Haiti…) …ma allo stesso tempo vomita un oceano indisponente di stupidità, di porcherie e di pornografia talmente vasto che è inimmaginabile schedarlo e controllarlo. Non a caso, la recente inondazione mondiale di pedofilia è potentemente sostenuta da risorse telematiche. Si tratta quindi di una risorsa a doppio taglio: incide e uccide». (9) Nicoletta Berardi, ricercatrice di neuroscienze presso il CNR di Pisa ed Ersilia Menesini, psicologa dello sviluppo, sostengono che «L’interazione digitale con altre persone, via Internet, dà un’idea fittizia di socialità: il contatto vis à vis è un’altra cosa e il cervello, durante lo sviluppo, va allenato in tutte le sue competenze. Non dimentichiamo però che sui sentimenti incide non solo il web ma lo stile di vita improntato alla superficialità e ai valori consumistici».È proprio lo stile di vita il nocciolo del problema. Un tempo l’ordine, che reggeva le comunità tradizionali, era permeato di costanti riferimenti sopraindividuali che permettevano di trasformare persino la brutalità in nobile sacrificio; oggi l’uomo contemporaneo scarica la sua violenza in atti di follia cieca e imprevedibile, per l’estremo degrado interiore in cui è ridotto. L’attenzione del primo era rivolta al cielo ed alle sue manifestazioni, mentre il secondo è catturato dalla rete e dai suoi prodotti che lo corrompono nell’anima.
Perché viviamo al guinzaglio /dell’indifferenza /dei tabulati statistici/ dei capricci della scienza./perché tutto ci piace / e tutto ci assottiglia / e ci riduce al prezzo incollato /sul tappo della bottiglia. (10)
CLICCA QUI per leggere la puntata precedente
– – – – –
(1) «La civiltà moderna appare nella storia come una vera e propria anomalia: fra tutte quelle che conosciamo essa è la sola che si sia sviluppata in un senso puramente materiale, la sola altresì che non si fondi su alcun principio d’ordine superiore». René Guénon – Simboli della scienza sacra , Adelphi, Milano 1990.
(2) T. Cantelmi & V. Carpino, Tradimento online – Franco Angeli, Milano 2005.
(3) «Dodicenne non tollerava la revoca dell’abbonamento. Poi s’è ammazzato. Il ragazzino guardava per ore immagini porno invece di studiare». «Ann Hoffman, 42 anni, del Missouri, non ha fatto in tempo a capirlo. È stata uccisa da sei pallottole, sparate dal figlio a cui lei aveva tolto la sua “droga”». “Uccide la madre per Internet”, Il Giornale, mercoledì 8 ottobre 1996.
(4) «Ha ucciso la madre che gli negava i soldi per i videogames, le ha preso il denaro ed è andato tranquillamente a giocare. È la storia di Giacomo De Francisci, 20 anni, disoccupato, una sola passione: il videopoker». Repubblica, venerdì 24 gennaio 1997.
(5) Gioco elettronico portatile creato nel 1996 da Aki Maita e prodotto dalla giapponese Bandai co. Ltd, terza azienda mondiale produttrice di giocattoli. Attualmente è alla sua 37ª versione portatile.
(6) Il Giornale, mercoledì 3 giugno 1997.
(7) Un giovane di 19 anni si è suicidato per un gioco – Killer – oggi fuori commercio, nel quale alcune istruzioni quali «La morte non è poi male se si muore bene» e «Non c’è nulla come il brivido che ti dà far fuori un amico» rappresentavano un’esplicita e nefasta istigazione.
(8) Sette, supplemento al Corriere della Sera.
(9) «Seviziami e uccidimi»: così una donna trova il killer via Internet. «Una donna di 35 anni, Sharon Lopatka ha concordato attraverso l’E-mail il proprio assassinio. Un delitto compiuto a conclusione di tre giorni e tre notti di sesso e torture, che lei stessa aveva organizzato fin nei minimi dettagli con il suo compagno di corrispondenze, Robert Glass, di 45 anni, separato e padre di tre figli. Sharon e Robert erano entrambi programmatori di computer, avevano deciso di incontrarsi il 13 ottobre dopo essersi scritti messaggi perversi per alcune settimane». (Ennio Caretto, Corriere della Sera giovedì 31 ottobre 1996).
(10) Finnegan’s Way dal CD Rossocuore – Pippo Pollina e Franco Battiato, 1999.