Alla ricerca della Memoria perduta
L’industria informatica negli ultimi anni si è indirizzata da un lato verso la multimedialità, con massicci investimenti sul mercato domestico, dall’altro, con la diffusione di Internet(1), ha plasmato il nuovo ambiente del cyberspazio, e ha reso possibile la nascita del villaggio globale, entro il quale confluiscono milioni e milioni di utenti(2). L’ambiente della virtualità permette: conoscenze, avventure, viaggi, combattimenti, sesso e altri aspetti minori.
Questo spazio virtuale, che assorbe le energie e il mentale di quanti vi si dedicano, si contrappone al mondo reale, livellando le menti e si muove sullo slogan Internet è democrazia. Osserviamo due aspetti che caratterizzano la telematica; un linguaggio semplificato, sempre più povero di contenuti ed una smisurata capacità di memorizzare ed elaborare informazioni.
Gli amministratori della tecnologia informatica, diffondono una fraseologia standardizzata per eliminare le possibilità di errore legate all’ambiguità del pensiero umano e delle sue molteplici interpretazioni, dove la logica del terminale ammette una definizione univoca. Quindi l’uomo è obbligato ad adattare il suo modo di pensare alle esigenze del cervello elettronico.
La continua miniaturizzazione delle memorie, e la loro portabilità, oltre che l’adozione di standard di comunicazione USB, consente l’archiviazione di interi gigabite di dati in minuscoli pendrive dotati di porta USB(3), che portiamo comodamente negli indumenti, alleggerendo, così ci viene detto, il nostro intelletto dal peso di tenerli a mente. Ma se la nostra memoria smette di apprendere, ogni qualvolta inseriamo la nostra pendrive in un qualsiasi dispositivo informatico, mettiamo i nostri scritti, le nostre foto, le nostre rubriche, in una vetrina nella quale altri possono guardare e appropriarsi dei nostri dati; in altre parole consegniamo ad estranei le chiavi per accedere alla nostra vita privata. Allo stesso tempo, il guasto o la perdita di uno di questi dispositivi, può significare la scomparsa istantanea e irreversibile di frammenti della nostra memoria.
Cominciamo con il precisare che la parola non rappresenta – a dispetto della teoria cara agli evoluzionisti – un semplice mezzo di comunicazione, costruito mediante un’articolazione dei suoni che l’uomo ha sviluppato nel corso dei secoli.
La sua origine e la sua funzione viene adombrata nei testi sacri delle religioni rivelate e nelle mitologie. In quest’ultime riecheggia il ricordo di un linguaggio primordiale, tramandato dagli Dei alla razza umana, quale diretto proseguimento del Verbo della creazione.
Tale linguaggio, nella sua assoluta sacralità, stabiliva un rapporto diretto tra uomo – se è lecito definire con tale termine un essere molto distante, spiritualmente come fisicamente, dall’attuale umanità – e cosmo; e la potenza del rito(4), evocava gli elementi sovraumani verso il mondo manifestato(5).
Per portare un esempio a noi storicamente più vicino, basta esaminare il latino parlato dal romano delle origini. Tale lingua, pur essendo una derivazione, in senso discendente, delle più antiche lingue indoeuropee(6) riprende e riadatta il sacrum verbo delle origini, e su tale base si viene a caratterizzare l’appartenenza alla stessa stirpe, al di là del piano biologico-razziale(7).
Una volta che l’uomo si è allontanato dal Verbo primordiale è fatale che ne scaturisca il progressivo oscurarsi del divino.
In tal modo, si può seguire la degradazione subìta dalla parola nell’arco di quest’ultimo ciclo cosmico, divenuta fin troppo evidente negli ultimi due secoli, fino a giungere alla perdita totale – ai nostri giorni – della sua dimensione profonda.
L’uomo crepuscolare del ventesimo secolo, non possiede minimamente la forza interiore per pronunciare certi termini. La sua parola è ridotta ad espressione della mediocrità intellettiva entro la quale si muove, quindi non ha nessun riferimento superiore. Peraltro oggidì si assiste ad una manipolazione mediatica dei termini che ha aumentato la confusione dei valori e, spesso, a un’inversione dei significati. La creazione dello slogan pubblicitario, parodia del Verbo originario(8), ha costituito il primo atto dell’inversione, nell’uso della parola.
È l’intento della logica democratica che riduce il superiore all’inferiore e produce il frasario plebeo con la sua estrema volgarità che esprime nient’altro che l’affacciarsi degli strati più bassi della natura umana(9).
È sufficiente seguire un programma televisivo o sfogliare una rivista, per accorgersi di come si tenda a coprire la povertà di contenuti con un bombardamento ripetuto di annunci, puntando sulla loro sensazionalità, abusando di termini – strage, disastro, calamità – che andrebbero pronunciati in circostanze eccezionali. Le più disparate informazioni sono commentate con poche centinaia di termini, seguendo un appiattimento crescente del linguaggio. Tali comunicati, che dosano sapientemente la gestualità delle presentatrici, con l’uso di reportage dal vivo, polarizzano l’attenzione individuale sull’evento trasmesso. È il fascino perverso della informazione audiovisiva. Una volta catturato il suo interesse, è giocoforza costruire il consenso mediatico e condizionare simultaneamente milioni di telespettatori.
Con il pretesto di migliorare la comprensione della notizia, si indebolisce il linguaggio, e lo si massifica per raggiungere qualsiasi “utente”(10), non per favorire una crescita culturale, ma allo scopo di persuadere e controllare.
La parola, dopo esser stata sradicata dalle sue origini, manipolata e invertita, è stata trasferita nei terminali intelligenti, dimostrando il trionfo della terminologia informatica.
Al pensiero umano viene dunque sostituita l’intelligenza artificiale, spariscono le intonazioni del linguaggio che esprimono l’intera gamma di sentimenti dell’animo umano. Orbene anche detti che potrebbero comunicare uno slancio positivo, che impressione possono destare pronunciati dai terminali elettronici, che non sanno legarli in chiave intellettiva, né simularne il pathos?(11)
Dal Logos originario, per inversione si è prodotto il linguaggio artificiale. Nel primo esiste l’impersonalità attiva dell’uomo, così come nel secondo si assiste ad una spersonalizzazione a vantaggio della macchina. Nel primo teso verso il sovraumano, tutto è armonia e unità, laddove nel secondo la grottesca imitazione della voce umana, evidenzia disarmonia e frammentazione. Infine come il Logos è l’espressione del Verbo della creazione, tanto il linguaggio dei terminali è l’imitazione della voce della Bestia, che siederà a capo del Nuovo Ordine Mondiale.
(2 – continua)
Note:
(1) Il suo nome originario è stato Arpanet ed è nato come sistema di comunicazione globale a difesa della NATO. La sua originaria funzione e gli ambienti dai quali è stato prodotto, meriterebbero un approfondimento sugli obiettivi di Internet, ma per adesso ci limitiamo a segnalare il dato, riservandoci altrove, un’analisi più approfondita.
(2) Nel 2010 gli italiani connessi a internet in media sono stati quasi 35 milioni, mentre nel 2011 oltre 38 milioni segnando un incremento del 9,4%.
(3) Dov Moran, nato nel 1956, ingegnere israeliano, era presidente e CEO di M-Systems una società israeliana con sede in Kfar Saba, quando inventò nel 1998 la flash drive usb. Dopo aver venduto nel 2006 M-Systems alla californiana SanDisk (per 1,6 miliari di dollari),è stato direttore generale e fondatore di Modu, un sistema telefonico modulare, rivelatosi sul mercato globale un colossale flop. commerciale.
(4) «Nella suprema potenza il Verbo si realizza compiutamente e perfettamente, poiché in sé contiene il principio di ogni manifestazione e, in questa, si attua con lineare corrispondenza tra la volontà realizzatrice e l’ente realizzato.» (Introduzione alla Magia – Gruppo di Ur – Ed. Mediterranee, Roma 1980, vol. 1° pag. 95).
(5) «Entrare a far parte del Consorzio umano per la comunicativa e per il linguaggio, non è dunque soltanto un fatto esterno,…bensì è soprattutto un fatto di portata interiore e trascendente…» (Verità del Linguaggio – Attilio Mordini – Ed. Volpe – Roma 1974, pag. 67).
(6) Secondo la dottrina ciclica, siamo già in pieno kali-yuga.(cfr. G. Georgel – Le Quattro Età dell’Umanità -Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio).
(7) Dei Patrizi erano i riti e i sacrifici. Ricordiamo l’analogia del latino ritus con la radice rta, e che «Nella tradizione indù i luoghi sacrificali sono considerati come le sedi stesse dell’ordine…» (Julius Evola – Rivolta contro il Mondo Moderno – 5. Il mistero del rito – Mediterranee ). Circa il significato di sacrificio è dunque da intendersi un sacrum facere e non certamente una penitenza, o un atto espiatorio quale ne è divenuta l’accezione corrente. Dunque sono parole che ordinano e regolano la presenza delle forze trascendenti nella realtà ordinaria, mediante un’azione sacralizzata.
(8) «Lo slogan è infatti la contraffazione del Verbo di Cristo; Satana, simius dei, ha il suo “verbo”, per il quale regna sulle anime e sulle masse.» (Attilio Mordini – Verità del Linguaggio – pag. 210 – Ed. Volpe – Roma 1974).
(9) «negli esponenti letterari di tale tendenza,… è evidente il piacere dell’andare verso il basso o il soggiacere alla suggestione malsana di quel che è inferiore… Dato che un tale gergo non è quello della propria classe,… il senso del fenomeno è semplicemente il piacere di degradarsi, di abbassarsi, e di sporcarsi.» (Julius Evola – L’arco e la clava pagg 75-76 – Mediterranee).
(10) Questa è la penultima rappresentazione dell’essere umano che da individuo anonimo, si è avviato verso la fase finale di utente, ossia colui che utilizza (al quale “è permesso” di usufruire ndr:.) i beni di consumo che il sistema economico gli mette a disposizione.
(11) «Sarebbe pazzesco pensare che la Giustizia, anche se sbattezzata, anche scristianizzata, svuotata del suo contenuto spirituale, sia sempre qualcosa che rassomiglia alla giustizia e che può ancora servire…» (George Bernanos – Lo Spirito Europeo e il mondo delle macchine – pag. 60 Rusconi).