Vecchie e nuove schiavitù
Il fisico musulmano Al-Khāzinī, vissuto nel XII secolo e autore de Il libro della bilancia del sapere, maestro incontrastato di questo fondamentale strumento di misurazione, fu in origine uno schiavo greco. Così come probabilmente uno schiavo era stato il poeta latino Fedro; e sicuramente figlio di un liberto fu il poeta Orazio, uno dei principali cantori, insieme a Virgilio, della grandezza di Roma. Ma è tutto il mondo antico che ci presenta figure di grandi uomini passati attraverso la condizione servile e ascesi ai più alti vertici dell’arte, della politica e della carriera militare. E tanto vale non come un’attenuazione e un addolcimento della divisione in caste delle società tradizionali, quanto come riconoscimento di una dignità e di una possibilità di riscatto presente anche nella più misera condizione sociale del mondo antico. Ferme restando le divisioni gerarchiche che vedevano al vertice dello Stato i rappresentanti dell’autorità spirituale, seguiti dall’aristocrazia guerriera, dai produttori e i mercanti, per chiudere con i lavoratori e la plebe, nelle società tradizionali, venendo garantito “a ognuno il suo”, si assicuravano a tutti condizioni di vita e margini di libertà interiore, schiavi compresi, al cui confronto l’odierno benessere materiale e la società dei consumi riescono solo a costruire prigioni insopportabili: qualunque accrescimento economico e materiale non valendo la pena di fronte ad una menomazione essenziale della propria interiorità.
Il sistema democratico è riuscito sicuramente a contrabbandare una parvenza di uguaglianza, ma non innalzando quanto degradando e riducendo tutti a una condizione di schiavitù mai vista prima nella storia dell’umanità. Se prima la condizione servile era propria di un ristretto numero di “vinti”, oggi essa è diventata destino comune a masse sempre crescenti, costrette a “sputare sangue” per garante a sé e ai propri cari la semplice sopravvivenza fisica. Figurarsi un’impensabile indipendenza spirituale! Céline, nel suo Viaggio al termine della notte, scrive: «Il bastone finisce per stancare chi lo maneggia, mentre la speranza di diventare potenti e ricchi di cui i bianchi s’ingozzano, quella non costa niente, assolutamente niente. Che non ci vengano più a decantare l’Egitto e i Tiranni tartari! Quei dilettanti antiquati erano solo dei pataccari pretenziosi nell’arte suprema di far spremere alla bestia verticale il massimo sforzo sul lavoro. Non sapevano, quei primitivi, chiamare “Signore” lo schiavo, e farlo votare di quando in quando, né pagargli il giornale, né soprattutto portarselo in guerra, per fargli sbollire le passioni».
In definitiva, se una volta si procuravano schiavi con la forza e la deportazione, oggi si assiste ad un’adesione entusiasta alla schiavitù da parte di “volontari” — sia che si tratti di masse di immigrati provenienti da paesi poveri e “arretrati”, sia che si tratti delle inebetite popolazioni occidentali —, tutti lanciati alla rincorsa di un consumismo sempre più invasivo e sempre più irraggiungibile. Dove, rispetto a prima, sono del tutto spariti i margini di affrancamento e i tentativi di fuga da una prigione non vista come tale; e considerata, piuttosto, l’unica realtà possibile in cui trascorrere la propria misera esistenza terrena.