Franco Battiato
Quando, diversi anni fa, con altri membri di Heliodromos andammo a trovare Battiato nella sua bella casa di Milo (ricevendo un’accoglienza improntata al senso più nobile e antico dell’ospitalità), per consegnargli una copia del testo di Jean Robin René Guénon Testimone della Tradizione, che lui ricambiò con una copia della sua Messa Arcaica da poco uscita (scusandosi per averne a disposizione una sola copia, e ricevendo la sfrontata “promessa” da uno di noi che avrebbe provveduto personalmente a masterizzarne copie per tutti!): a Gaetano, che lo sollecitava ad “utilizzare” la sua influenza e notorietà per orientare tradizionalmente le giovani generazioni, Battiato espresse il suo scetticismo sulle possibilità di recupero di una gioventù che, a suo dire, «per raggiungere una discoteca è disposta ad affrontare viaggi lunghissimi e fatiche inenarrabili, mentre gli stessi giovani non sono disposti a fare il pur minimo sforzo, per crescere spiritualmente».
Verrebbe da dire che “aveva già capito tutto”, e non si faceva alcuna illusione sui margini di miglioramento di un mondo «saturo di parassiti senza dignità»; per quanto nel suo processo artistico ed esistenziale di “ritorno al centro” —considerata la sua precedente produzione musicale, praticamente inascoltabile! — ha dato vita ad alcuni gioielli musicali che resteranno per sempre a consolazione dei pochi cercatori dell’Assoluto, ancora rimasti attivi sul Fronte dello Spirito. Prescindendo, tuttavia, da alcune sue scelte e posizioni dottrinarie d’impronta chiaramente neospiritualista.
Vogliamo qui ricordarlo, nel momento del suo trapasso terreno che ci ha sinceramente addolorato, proponendo una nostra vecchia recensione di un suo disco, destinata alla rivista cartacea Heliodromos, e mai pubblicata, a causa allora di continui rinvii e rimandi redazionali.
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Franco Battiato – Fisiognomica
Musica e poesia hanno da sempre costituito un nutrimento per l’anima, poiché con esse è possibile trasmettere suggestioni ed evocare particolari stati interiori, grazie alle specificità del linguaggio artistico che permette di scavalcare il mentale per andare direttamente al cuore.
Fisiognomica, di Franco Battiato, contiene bellissima musica e altrettanto bella poesia, ed è un’ulteriore conferma delle enormi capacità artistiche del suo Autore, il quale, con questo disco, sugella in maniera esplicita e definitiva il suo impegno spirituale. La musica di Battiato è un ritorno all’armonia tradizionale, da tempo introvabile in questo mondo «saturo di parassiti senza dignità». Una musica riportata ad una dimensione superiore per fare da base a testi che rompono radicalmente con tutto ciò che propone di solito la musica contemporanea. I testi delle canzoni che si sentono in giro hanno come elemento centrale il monotono riferimento a temi sentimental-amorosi. Una valanga di languori, struggimenti, rimpianti e nostalgie che si abbatte su un ascoltatore già di per sé “messo male” psichicamente, andandogli ad alimentare il fuoco distruttore delle passioni. Quelle stesse passioni che da un’umanità normale dovrebbero essere considerate per ciò che realmente esse sono: delle malattie da cui bisognerebbe cercare di guarire il prima possibile. L’innamorato è un ammalato a cui, con le canzoni, vengono somministrate massicce dosi di quello stesso virus che ha causato la malattia.
In Battiato, non solo non c’è traccia di tutto ciò, ma, addirittura, ci sono espliciti attacchi a questo modo angusto di intendere l’esistenza umana, e vengono proposti antidoti a quelle cadute che, sebbene facciano parte della natura umana, vanno superate affinché l’essere umano possa esprimere le sue più alte potenzialità e assurgere al rango che gli compete.
Ma veniamo ad un esame dettagliato degli otto brani che sono contenuti nel disco fi cui ci stiamo occupando, che ci confermerà quanto fin qui si è detto.
Fisiognomica, il brano che ha dato il titolo all’intera raccolta, apre la prima facciata del disco ed è sicuramente una delle migliori canzoni scritte da Battiato. La canzone ci introduce in un mondo sentito in tutta la sua sacralità, in cui da tempo l’Autore sembra aver collocato la propria dimora artistica ed esistenziale. La fisiognomica è quella scienza tradizionale che studia l’uomo partendo dal suo corpo e dalle sue manifestazioni fisiche per risalire alla sua intima natura. Il corpo come specchio dell’anima:
Vedo quando cammini
se sei borioso fragile o indifeso
da come parli e ascolti
il grado di coscienza…
Il secondo brano, E ti vengo a cercare, è un omaggio al maestro spirituale, in cui stima e devozione vanno ad alimentare un amore che riacquista pienamente il suo autentico significato di legame spirituale. Con un linguaggio semplice e con poche frasi Battiato ha la capacità di trasmettere una sensazione di gratitudine rivolta a chi ci spinge ad essere migliori:
Emanciparmi dall’incubo delle passioni
cercare l’Uno al di sopra del Bene e del Male
essere un’immagine divina
di questa realtà.
Battiato ha sempre inserito nelle sue composizioni riferimenti geografici, culturali e linguistici alla Sicilia, manifestando un forte attaccamento alla sua terra d’origine. Con Veni l’autunno abbiamo un’ulteriore esplicita dichiarazione d’amore alla Sicilia (Sicilia bedda mia/Sicilia bedda), espressa attraverso una poesia di una freschezza unica, in cui l’uso del dialetto siciliano è di una straordinaria musicalità.
Secondo Imbrunire, che chiude la prima facciata del disco, è anch’esso un pezzo attraversato dai profumi e dai colori di Sicilia; e in particolare delle pendici dell’Etna, dove Battiato è nato ed ha vissuto quel periodo in cui vengono immagazzinate esperienze immagini e suggestioni che ci si porterà dentro per il resto della vita. Luoghi il cui fascino può essere colto fino in fondo solo da chi ad essi è legato per nascita o per adozione. In questo brano Battiato ha inserito una sua risposta — che è poi la più coerente per chi ha fatto una scelta spiritualmente orientata — al problema del legame affettivo e sentimentale:
E il cuore
quando si fa sera
muore d’amore
non ci vuole credere
che è meglio stare soli
…non si vuol convincere
che è bello
vivere da soli.
Nomadi apre la seconda facciata del disco ed è l’unica canzone a non essere stata composta da Battiato. Ne è autore Juri Camisasca, monaco benedettino ed eremita, amico e collaboratore di Battiato, già cantante e voce recitante nell’opera Genesi. Personaggio interessante, Camisasca ha riversato in Nomadi il frutto della sua ricerca spirituale, facendone una delle più belle ed ispirate canzoni del disco.
Il brano che segue, Zai saman, vede il ritorno di un altro dei temi ispiratori preferiti dal compositore siciliano. Parte del testo, infatti, è cantato in arabo. Una lingua araba che mostra, qualora ce ne fosse bisogno, tutte le potenzialità musicali in essa contenute. Degni di nota i versi di chiusura, quasi di ispirazione guénoniana:
Vuoto di senso crolla l’Occidente
soffocherà per ingordigia
e assurda sete di potere.
La canzone Il mito dell’amore, invece, ribadisce quello che Battiato pensa, in linea con quanto già espresso in Secondo Imbrunire, a proposito delle faccende sentimentali:
quando ti innamori è tutto bello
anche come ti ossessionano i pensieri.
Come si diceva prima, qui non c’è nessuna concessione a stucchevoli sentimentalismi e le cose vengono presentate nel loro giusto significato, perché è evidente che al di sopra e oltre le personali storie di cuore c’è dell’altro che rende la vita veramente degna:
Nei valori tradizionali
il senso di una via
primordiali movimenti interni a un’emozione.
Chiude il disco la bellissima composizione L’Oceano di Silenzio. Un trionfo dell’armonia realizzato attraverso l’uso sapiente di una Orchestra di archi diretta da Giusto Pio, e della voce del soprano Donatella Saccardi, che canta in tedesco brani tratti dal Wasser Statuen di Fleur Jaeggyork. Un brano che mette la pace dentro l’anima:
Il dolore e il silenzio della vita
si fanno sentire a lungo nel tempo.
È proprio questo il pregio fondamentale della produzione più recente di Battiato: riuscire a trasmettere sensazioni che, una volta tanto, vanno nella giusta direzione della ricerca di sé e del superamento del deleterio frastuono che il mondo moderno incessantemente ci trasmette.
Franco Battiato, a proposito di questo disco, ha dichiarato di non condividere la società contemporanea, «i metodi e gli schemi proposti dai mezzi di comunicazione e le aggregazioni forzate». Con Fisiognomica vuole rivolgersi a un pubblico ristretto, ma interessato alla stessa ricerca spirituale che lui sta vivendo. «Considero questo ritorno alla musica leggera come una gradita ricomunicazione con la gente che la pensa come me».
Sono tanti, come si è visto, i motivi che ci fanno sentire vicini a Battiato. E, non per ultimi, quelli geografici e il suo coerente amore per la solitudine. «Amo infatti anche nella mia vita privata la solitudine. Mi piace tornare al paese d’origine, un piccolo centro vicino a Catania, dove ritrovo le mie radici e dove rivivo certe impressioni che sono cristallizzate nell’aria».
Ci sembra che ce ne sia abbastanza per ringraziare Battiato, che ha confermato quanto di buono c’era in Fisiognomica, andando ancora più avanti nella sua ricerca con Giubbe Rosse, Come un cammello in una grondaia, e la recentissima sua seconda opera Gilgamesh.