Il ribelle è non solo quello che non si sottomette e non cede, ma anche colui che insorge e si solleva, adottando un comportamento attivo al fine di modificare una determinata condizione: politica economica o genericamente esistenziale. Un’infinità di eventi storici hanno avuto per protagonisti figure che si sono rivoltate contro il potere costituito, pagandone in prima persona le conseguenze, anche con la vita. E si potrebbe facilmente dimostrare che ad epoche di saldi principi e di governi forti sono corrisposti degni e fieri oppositori, in un vero e proprio scontro fra uomini di valore. Così come, invece, in ogni epoca di decadenza, all’abbassamento del livello da una parte è corrisposto un altrettanto degradato spessore umano dall’altra parte; quasi a voler rappresentare le due facce di una stessa medaglia, coniata in un vile metallo di scarso valore. Insomma: a grandi tiranni, grandi oppositori!
Ma nell’attuale pantano democratico la fisiologica (e spesso salutare) dialettica del confronto fra potere e opposizione è stata soppiantata da un singolare fenomeno, dove si assiste alla sfilata di poco credibili ribelli, i quali si muovono comodamente attrezzati e perfettamente a loro agio all’interno dei recinti del potere costituito. Eunuchi e cicisbei che vengono contrabbandati per modelli di virilità, e sguaiate meretrici che assurgono a prototipo di femminilità: come la teppa sanremese e televisiva ci dimostra giornalmente.
Finti rivoluzionari da operetta e da palcoscenico, imbolsiti e svigoriti dall’età, oltre che dal prolungato abuso di strane sostanze, che già inneggiarono ad una “vita spericolata”, i quali se la sono fatta letteralmente addosso per un virus diventato letale solo perché dotato di un efficace ufficio stampa. A cui sono ora subentrati altri emuli rocchettari di successo — eunuchi al punto giusto e cicisbei quanto basta — che hanno raggiunto un riconoscimento internazionale, rimanendo comunque un chiaro fenomeno mediatico creato a tavolino; i quali, con grande sprezzo del pericolo, hanno l’ardire di insultare (in conformistica e numerosa compagnia) Putin nei loro concerti.
Non meno conformisti ed allineati, del resto, risultano i “rivoluzionari” del clima, ultimi arrivati sul fronte protestatario, applauditi e foraggiati da quello stesso sistema capitalistico-industriale che ha determinato gli odierni disastri ambientali. Questi si cullano nelle loro certezze, senza che nemmeno li sfiori il dubbio che, a suo tempo, assalì i comunisti applauditi dalla borghesia! Essi, di fatto, risultano pienamente funzionali e contigui ai soliti speculatori dell’alta finanza, i cui piani, riforme e “agende” aleggiano minacciosi sulle loro vuote testoline, troppo impegnate ad individuare spezzoni di bellezza da imbrattare, per rendersi conto del vero ruolo che gli si fa svolgere. Ma il fenomeno aveva avuto “illustri” precedenti già nei centri sociali dell’ultra sinistra, nonché nella meteora delle effimere “sardine”.
Tutti costoro, paragonabili a quella che un tempo fu l’opposizione del re e ai buffoni di corte, da bravi ribelli autorizzati e certificati sono regolarmente lisciati nel verso giusto e amorevolmente coccolati dagli spacciatori mediatici di “stati d’animo”; ritrovandosi a scodinzolare intorno al tavolo dove banchettano i potenti, per ricavarne qualche osso spolpato malamente, pensando così di fare qualcosa di utile e di grande, per se stessi e per l’intera umanità. Segno inconfondibile di una ipnosi collettiva, della totale perdita di ogni capacità critica, e dell’assenza di qualunque contatto con la realtà.
In questo catalogo di umanità varia (e avariata!), fondamentalmente, si nota l’assenza assoluta di un punto di riferimento, non solo spirituale (a parte il ridicolo conferimento del dottorato onorario in teologia all’attivista “climaterica” Greta Thunberg), ma nemmeno c’è traccia di una qualche elaborazione politica e culturale autonoma e approfondita, riscontrandosi semmai una ripetizione monotona e fastidiosa di striminziti slogan, recitati da elementi smartofonati quanto basta per mantenersi in continua connessione con la centrale mondialista (cioè gli USA) del politicamente corretto, dell’inclusività di genere e dell’antirazzismo a buon mercato, veicolate delle scomposte acrobazie linguistiche postumane, ultimamente tanto di moda.