Siamo conservatori?
Il cambiamento dei paradigmi politici seguito al tramonto del mondo ideologico, dopo avere definitivamente reso obsoleta la divisione tra destra e sinistra propone però nuovi problemi di definizione riguardo i nuovi (o presunti tali) schieramenti e il loro effettivo ruolo nella vita politica. Oltre all’attuale e di moda “populismo” (termine che già alle sue origini nell’Ottocento russo aveva un valore assai vago) anche il termine “conservatore” nella sua incertezza pone degli interrogativi che possono essere forieri di dubbi, ambiguità e interpretazioni contrastanti. Allo stato attuale qualche legittimo dubbio potrebbe balenare alla coscienza: «siamo forse conservatori? E fino a che punto dobbiamo esserlo?»
Come debba intendersi una visione definibile come “conservatrice” è senz’altro un tema che necessita di chiarimento. In un mondo in crescente squilibrio, in cui la “freccia del tempo” viaggia a senso unico verso il dissolvimento di ogni ordine e forma, l’adoperarsi per la difesa di qualcosa di contrario potrà anche sembrare atto anacronistico e inutile, per di più in opposizione alle sempre vittoriose forze liberatrici del progresso. Ma la difesa di un nucleo basilare di valori risulta di vitale importanza nella misura in cui questi ricoprono un ruolo essenziale per ogni realtà individuale o collettiva che possa definirsi ancora normale. Bisogna però avere ben presente che la difesa di una realtà o di un valore non è un atto necessariamente conservatore, rispondendo a logiche differenti pur mostrando somiglianze nell’esteriorità della forma.
Attualmente il conservatorismo di più comune e ampia diffusione non ha idee metapolitiche cui fare riferimento, limitandosi a istanze relative al mantenimento di un ordine puramente materiale, utilitario che garantisca lo svolgimento di una vita tranquilla tutelata da diritti e forme socio-politiche ben definite: concezione ancora legata ai valori dell’era mercantile, e quindi laica, economica, “borghese”.
Per quanto ci riguarda se una difesa può esserci di qualche valore di tale mondo, questo avviene solo nella misura in cui detti valori sono in realtà superstiti di precedenti epoche, vestigia più o meno ben comprese che ancora sussistono esercitando un’influenza ancora valida. Preservarli significa mantenere vivo un contatto, una catena che renda possibile almeno virtualmente il ripristino di un ordine ormai quasi completamente cancellato: maggiore la loro arcaicità e maggiore sarà la loro importanza; così similmente tutte le “conquiste” moderne (1) non rivestiranno un’importanza tale da dover essere considerate degne di difesa, né come puri e semplici strumenti di utilità pratica né tantomeno come realtà dotate di qualsivoglia valore intrinseco. Il voler restare legati a determinate epoche preferendone una rispetto a un’altra è solo una soluzione illusoria, che non solo inganna chi la accetta ma non risolve i problemi attuali o ferma la decadenza, i cui gradini non si possono saltare né ripercorrere a ritroso. Quello che veramente rimane vivo è solo il sovrastorico, lo spirituale, e la sua difesa – ovvero la difesa di quanto di esso rimanga ancora nella realtà ordinaria – dovrà essere considerata l’unico atto efficace e degno di impegno concreto. Solo legandosi all’archetipico si potrà mantenere una continuità tradizionale, così come la possibilità di rivivificare realmente le forme del passato, con il recupero di una dimensione non più adulterata dai disvalori del presente.
Una alleanza con chi è semplicemente conservatore significherebbe sterilizzare ogni possibilità sia di lotta che di vittoria, implicando tale scelta la rinuncia a quei valori che proprio nella loro “inattualità” mostrano la loro natura vincente, ricollegandosi a quelle forze che, mai sconfitte ma solo temporaneamente eclissate, mantengono intatta la loro carica vitale. È anche questo, a ben guardare, uno dei significati che il detto “cavalcare la tigre” esprime, un senso letteralmente rivoluzionario in grado di superare ogni tipo di piccola dialettica contingente e di poter degnamente confrontarsi con le migliori realtà del passato.
Il termine rivoluzione è oggi purtroppo abusato fino al punto di essere diventato insopportabile, ma gioverà ricordare la sua origine che è legata alla scienza astronomica. Il termine indica il moto di un corpo celeste intorno a un altro corpo secondo un’orbita chiusa: quindi un movimento di ritorno che seguendo il percorso orbitale si conclude nel convenzionale punto d’inizio. Una vera rivoluzione è uno sconvolgimento solo nella misura in cui segna un ritorno, abbandonando talune posizioni per riacquisire quella originaria. Ed è in tali termini che il nostro orientamento dovrà intendersi, in maniera dinamica come ritorno alle origini senza fissarsi in posizioni statiche o difendere ciò che ormai è passato, ma mantenendo lo spirito di ciò che ha un valore autentico al di là del tempo, sapendolo riadattare ogni volta al presente, dandogli la forma appropriata in grado di garantirne la manifestazione nella maniera il più possibile limpida e valida.
Renzo Giorgetti
Quante di queste famose conquiste non sono altro che concessioni o obblighi mascherati? Oppure soltanto, come nel caso della schiavitù, un adattamento alle nuove necessità di forme economiche emergenti?