Tra l’armamentario ideologico che il potere settario attualmente utilizza per reprimere ogni forma di dissenso, abbiamo due termini fondamentali, che costituiscono delle vere e proprie colonne portanti dell’impalcatura del pensiero dominante.
Questi termini, opportunamente diffusi e propagandati, sono confluiti in quella serie di asserzioni cui di fatto è obbligatorio credere e che costituiscono l’apparato dogmatico della religione laica occidentalista. Il “Vocabolario del Potere”, una volta arricchitosi con essi, ne ha fatto un largo uso, soffocando sul nascere ogni tipo di critica che ad essi facesse anche solo vagamente riferimento. Tale uso distorto, per fini esclusivamente egemonici, finisce poi per arrecare un danno a chi a questa egemonia è sottoposto, eliminando tutta quegli orientamenti e comportamenti che sono più in linea con il naturale corso delle cose e le ineludibili leggi dell’esistenza. Contestando le politiche settarie ci si pone immediatamente contro questi due ostacoli, che come colossali idoli pagani si ergono sbarrando la strada e la vista a tutti i ricercatori di realtà più veritiere. L’“odio” e il “pregiudizio”, così esecrati ma così utili al mantenimento dell’attuale potere vigente, quale significato potrebbero avere in un mondo non guastato da visioni ideologiche, in un mondo più propriamente normale, più aderente alle dinamiche delle forze naturali?
In sé i termini in questione, già piuttosto artificiali, tramite l’uso distorto possono poi diventare dei veri e propri prodotti adulterati, avvelenati, completamente distaccati dalla realtà, come dogmi di un pensiero opprimente. Volendo ricondurli alla loro autentica matrice, si potrà constatare come, sfrondati dalla sovrastruttura criminalizzante, non siano altro che forme di pensiero e comportamento naturali, che l’uomo ha sempre utilizzato per la propria sopravvivenza, fornendogli quella serie di tutele che spesso e volentieri gli hanno salvato la vita.
Incominciando la nostra disamina proprio con il tanto vituperato “odio” si potrà constatare come questo si sia caricato di una duplicità di significati che lo ha demonizzato e completamente privato di qualsivoglia dignità e utilità. Qualcosa che esiste da sempre è stato alterato, ampliato a dismisura fino a comprendere al suo interno i sentimenti e le attitudini più disparate, accomunate soltanto dalla generica caratteristica di porre in risalto le determinazioni qualitative. All’interno della nuova e artificiale categoria dell’“odio” viene fatto confluire tutto quanto possa minacciare, in una maniera o nell’altra, le idee cardine con cui il sistema soggioga i suoi sottoposti. Il pensiero non conforme viene quindi posto ai limiti stessi della legalità, precludendogli qualsivoglia diritto all’espressione, bandito dal cerchio sacro dei valori della “civiltà” (che sono poi quelli settari). Si potrà comprendere come l’artificialità di tutto questo rechi una menomazione al libero pensiero, limitandolo e facendogli escludere a priori ogni tipo di reale alternativa, confinandolo in dialettiche misere e logore, inadeguate alla comprensione dei problemi del proprio tempo.
È inutile elencare tutti i concetti che in una maniera o nell’altra sono finiti nel calderone – il lettore già li conoscerà – basterà solo notare come questi non solo abbiano con l’odio “autentico” una parentela molto vaga, ma che in più abbiano tutti, a vario titolo, un’utilità per la difesa di una società normale, riuscendone a tutelare la continuità, la struttura e la coesione.
Dobbiamo pertanto constatare come l’assunzione della categoria “odio” a strumento principale della sterilizzazione di ogni idea non convenzionale sia un vero e proprio strumento che serva non solo a imporre valori settari, ma soprattutto per determinare l’abbattimento di tutto ciò che di vitale e sano ancora esiste nella società. Si consideri bene il sentimento dell’odio: è estremamente costoso, in termini di energie mentali e di implicazioni di carattere sociale, sicuramente non rende popolari e di certo non migliora le proprie economie. Da un punto di vista pratico non porta mai a grandi benefici, anche se in casi eccezionali comporta il grande vantaggio della salvaguardia della propria vita. Non è quindi un sentimento così diffuso come si vorrebbe far credere, ma è solo una via di fuga di emergenza, un rimedio estremo nei confronti di mali estremi. Nessuno odia gratis. Si potrebbe quasi dire che l’odio bisogna meritarselo. Si manifesta infatti soprattutto come repulsione, volontà di rifiuto, prende forme violente solo quando questa repulsione non riesce a trovare le giuste forme di sfogo. Tramite convivenze forzate, o con l’obbligo di sottostare a determinate condotte o di accettare una serie di valori autolesionistici, l’odio può esplodere e assumere forme più aggressive. A ben guardare è proprio l’attuale civiltà la più grande generatrice di odio, in quanto non solo impone con la coercizione i suoi valori faziosi, ma li spaccia per valori assoluti anche quando sono apertamente nocivi per chi è costretto ad accettarli. L’odio è come un anticorpo, un meccanismo di difesa per chi sente che le differenze esistono e hanno ancora un significato.
Ancora più evidente è il discorso sul pregiudizio, oggi pesantemente criminalizzato mentre in tutte le epoche fu sempre considerato strumento fondamentale per la comprensione della realtà e per la più corretta azione in essa. Il pregiudizio è la sintesi di un patrimonio di conoscenze e di esperienze sedimentate nel tempo, stabilizzatesi e semplificatesi per un uso pratico ed efficace, per una presa più diretta nel vivere quotidiano. È una pre-visione, una semplificazione che può condurre sicuramente a generalizzazioni, ma che offre in cambio la precisione e la velocità della sintesi. Anche il pregiudizio quindi è uno strumento che è sempre stato utilizzato per la salvaguardia del proprio ambiente vitale, dei propri valori e della sopravvivenza del singolo e della comunità. Il suo smantellamento si pone nella stessa ottica della criminalizzazione dell’odio, cioè come rimozione di tutto quanto possa fungere da difesa nei confronti delle forze che agiscono per il livellamento egualitarista. Il pregiudizio, anch’esso naturale al pari dell’odio, ha però avuto rispetto ad esso più estimatori, che ne hanno compreso tutto il valore di forza vitale. Edmund Burke, ad esempio, nelle sue celebri Reflections on the Revolution in France (1790) afferma che i pregiudizi, pieni di “sapienza latente”, siano “la banca e il capitale comune delle nazioni e dei secoli”. Il pregiudizio – continua Burke – “è di facile applicazione nei casi di emergenza giacché impegna preventivamente la mente in un fluire stabile di sapienza e di virtù, senza lasciare l’uomo in uno stato di esitazione estatica, confusa e perplessa. Il pregiudizio fa della virtù dell’uomo la sua abitudine e non una serie di gesti slegati. Attraverso un retto pregiudizio, il dovere dell’uomo diviene parte della sua natura.” (1)
Cicerone, in un’articolata classificazione delle facoltà umane, dà alla capacità di prevedere in base alle informazioni avute la sua più giusta collocazione. Nel secondo libro del De inventione si fa riferimento alle cose virtuose e dignitose (honesta), ovvero a quel “qualcosa di indefinibile che attrae non per la speranza di qualche vantaggio, ma in forza della sua nobiltà” (2). E queste sono la virtus, la scientia e la veritas. La virtus che è “l’attitudine spirituale conforme alla norma naturale e alla ragione” (3), ha le sue manifestazioni concrete in prudentia, iustitia, fortitudo e temperantia. La prudenza, definita come “facoltà di conoscere ciò che è bene, ciò che è male e ciò che non è né bene né male” (4), si può rivolgere al passato, al presente o al futuro, prendendo a seconda dei casi il nome di memoria, intelligentia o providentia. Quest’ultima è la facoltà di conoscere ciò che deve ancora essere (per quam futurum aliquid videtur ante quam factum) (5).
Elaborando i dati a disposizione la persona cerca quindi di comprendere il passato, il presente e il futuro, cercando in essi ciò che di buono cattivo o neutro si può trovare in essi, impostando poi la migliore strategia per la propria sopravvivenza o il proprio benessere. Ogni previsione è ovviamente fallibile, ma non per questo inutile. La providentia (6), saggia manifestazione di prudentia, ha inoltre come madre nobile la virtus, cioè quell’insieme di qualità che costituiscono la natura propria dell’individuo. La virtus, che trova il suo omologo nella greca aretè, è una forza, una capacità di fare qualcosa, che si concretizza nella vita comune con l’agire conformemente al proprio essere, svolgendo così non solo il proprio dovere nei confronti degli altri ma anche di se stessi, tramite lo sviluppo delle proprie caratteristiche peculiari (7). L’agire secondo virtus è quindi un agire secondo norma (dharma), secondo un ordine superiore che non può e non deve sottostare a imposizioni artificiali di sorta. Oggi invece avviene il contrario. Ennesima conferma di come tendenze naturali siano oggi combattute, nonostante facciano parte di quel patrimonio comportamentale che protegge e guida l’individuo nella lotta per la sopravvivenza. Se, come sintetizza acutamente Nicolas Gómez Dávila, “i pregiudizi proteggono dalle idee stupide”, è probabile che abbiano salvato più vite loro piuttosto che gli artificiali postulati del politicamente corretto, quelle idee cioè che pretendono di piegare la realtà a visioni arbitrarie e precostituite (di fatto una specie di contro-pregiudizi costruiti su asserzioni indimostrate e non basate sull’esperienza) (8).
Nell’epoca attuale, dove tendenze antinaturali, antivitali e perversioni di ogni tipo vengono propagandate come salute e normalità, è necessario il recupero di quelle tendenze oggi così combattute ma che, per nulla malvagie, sole possono ricondurci a un senso della vita più veritiero e aderente alla realtà. Tutti gli strumenti validi per la sopravvivenza devono essere valorizzati e non di certo gettati via; la loro criminalizzazione è solo un atto politico, che non riguarda superiori valori di civiltà ma soltanto scelte ideologiche, prodotti di parte, che possono essere messi in discussione e modificati in qualsiasi momento, senza per questo infrangere alcun sacro comandamento. Anzi tutt’altro, è la pretesa settaria di piegare la realtà ai loro voleri ad essere contro l’ordine del cosmo, contro il corso degli eventi, come giustamente notato ancora una volta dal Burke, che nel rivolgersi agli avversari in questo modo li ammoniva:
“credete di combattere i pregiudizi, ma siete in guerra con la Natura.” (9)
Renzo Giorgetti (da La società da liquidare)
NOTE
1) E. Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, Ideazione editrice, Roma, 1998, p.110.
2) II, 52, 157.
3) II, 53, 159.
4) II, 53, 160.
5) II, 53, 160.
6) Possiamo considerare il pregiudizio come la sua forma più elementare e semplificata.
7) Cfr. W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, vol. I., La nuova Italia, Firenze, 1959, pp. 25-48.
8) Lo psichiatra di regime Ernst Kris, in alcune sue note sul tema (Sulla psicologia del pregiudizio, in La propaganda, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p.121), svela più o meno volontariamente una delle tecniche del pensiero settario. A suo dire “solo quando sia stata stabilita l’immoralità del pregiudizio l’educatore può far rilevare la contraddizione tra le norme morali e l’esistenza del pregiudizio come inclinazione latente o come atteggiamento manifesto; solo allora può creare nel suo uditorio uno stato mentale veramente ricettivo a ciò che deve dire”. In parole povere, per combattere il pregiudizio bisogna avere un forte pregiudizio… contro il pregiudizio.
9) E. Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia, idem, p.72.