«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»: questa l’enigmatica domanda posta da Gesù, in vista del suo ritorno in prossimità dei tempi ultimi. Del resto, chi meglio di Lui poteva essere “Buon Profeta”? Fede, dal latino fides edal greco peito (io persuado, lasciarsi persuadere, obbedire, aver fiducia), dove l’obbedire (ob-audio) indica il rapporto di ascolto, lo stare a sentire; e fidarsi (fidere, confidere) comporta il fidare, il confidare, la confidenza, la fiducia, l’essere fedele e la fedeltà in generale; la forma più antica della radice è nel latino foedus (da cui federazione, fedifrago, frangere), che potrebbe far anche pensare a feudo (feudalesimo), che però deriva dal franco féhod,longobardo fiu: proprietà, bestiame. Concessione del sovrano o di un signore a un vassallo di un beneficio fiscale o di un terreno.
Ma, a prescindere dall’etimologia, tutto il sistema feudale si basava proprio sulla fedeltà, e quindi sulla fede stessa. Fede era una divinità allegorica romana, personificazione di onestà, lealtà e della Parola Data, il cui tempio sul colle Capitolino risaliva al III sec. A. C. Ma già Rome, nipote di Enea, le avrebbe consacrato un tempio sul Palatino. La sua festa si celebrava il 1° ottobre, e veniva rappresentata come una donna più vecchia dello stesso Giove (perché il rispetto della parola data è il fondamento di ogni ordine sociale e politico), dai capelli bianchi e con un cane accanto, a cui si sacrificava con la mano destra avvolta in un panno di colore bianco. La fiducia, nel rapporto fra persone, e la credenza, nel campo del conoscere, si ricollegano ambedue alla TESTIMONIANZA (testimonianza di uomini credibili, esempi viventi garantiti dall’esperienza). L’affidarsi alla testimonianza altrui, essendo impossibile verificare tutto da sé, permette di vivere seguendo esempi fidati che ci istruiscono su come affrontare l’ignoto. Il rapporto padre-figlio o quello maestro-discepolo indica chiaramente che l’idea stessa di cultura non può che basarsi sulla fede.
E se uno dei principali segni della progressiva decadenza della società attuale consiste proprio nel crescente deficit di cultura e conoscenza che interessa la gran parte dei suoi membri — compresi coloro che dovrebbero costituirne i vertici istituzionali, del pensiero e dell’imprenditoria — vuol dire che è in primo luogo la mancanza di fede a rendere impossibile la realizzazione di una società autenticamente sana e rettamente orientata. Infatti, ogni espressione e ogni cultura umana (scienza, arte, storia, filosofia, diritto), ha un suo significato a seconda della “luce” che la illumina, svolgendo essa una funzione attiva e determinante sulla vita personale di ognuno. E la “luce” più potente da cui può essere illuminato l’essere umano è costituita proprio dalla fede, al punto che si può facilmente indicare un nesso molto stretto fra FEDE, CULTURA e VITA UMANA. Infatti, quando esiste ed opera attivamente una connessione e un’interdipendenza fra questi tre aspetti, che rendono la vita umana degna d’essere vissuta, essa viene proiettata verso la verticalità e la trascendenza; con la garanzia di norme legittimamente stabilite e liberamente accettate dai soggetti coinvolti.
Basti solo pensare a quel che la fede ha prodotto in ambito artistico. La musica, per esempio, è un veicolo formidabile per la trasmissione di contenuti i cui effetti — concreti, reali ed oggettivi — possono essere formanti o deformanti, a seconda della fonte che la ispira e la alimenta. Se l’artigiano modella le cose, l’artista modella l’anima dell’uomo. Nel rito della “Danza del Sole” dei Sioux (ottimamente rappresentato nel vecchio film Un uomo chiamato cavallo), l’essere coinvolto partecipa in tutta la sua integrità — con le sue componenti corporee, animiche e spirituali — alla rappresentazione primordiale che viene compiuta, attraverso la musica che riproduce il battito cardiaco, col ritmico allontanamento e ritorno al Centro e all’Asse del Mondo; rendendo così effettivi, per sé e per la comunità intera, i frutti delle influenze superiori attirate attraverso il rito. E qualcosa di simile, a ben cercare, è sempre possibile ritrovare in numerosi “rituali” della cultura contadina.
“Culto” e “coltivare”, del resto, sono strettamente legati, per cui la cura della vita effettuata dalla vera Cultura ha come sbocco naturale l’accesso alla spiritualità. E, per usare uno schema di tipo religioso, l’inevitabile passaggio che si verifica normalmente, se si segue il corretto percorso ascetico e di liberazione, è quello dall’exoterismo e dalla cultura profana all’esoterismo e alla cultura sacra. La vita ordinaria può allora venire rappresentata dalla Terra e simboleggiata alchemicamente dal piombo, dove svolge un ruolo determinante la componente sessuale; mentre la cultura, collocata nel cervello e simboleggiata dall’argento, trova la sua rappresentazione nella Luna; per finire col cuore, il centro dell’uomo simboleggiato dall’oro e rappresentato dal Sole, dove si svolgono i processi spirituali. Per accedere all’Essere (il sole spirituale) e raggiungere la Liberazione bisogna cancellare la “storia personale”, tramutando il piombo e l’argento che attengono all’io, facendoli diventare l’oro dell’Essere.
Questo processo di sublimazione spirituale è quello che avveniva normalmente nel santo, nel mistico, nell’asceta e nell’eroe dello Spirito in generale, ai quali era possibile attribuire di diritto “un cuor di leone”, essendo un loro attributo essenziale il “coraggio”: non in quanto semplice valore, ardimento e risolutezza fisica, bensì in rapporto col “Sacro Cuore di Gesù”, per le sue connessioni solari e per la sua forma di Vaso che rimandava direttamente al Santo Graal, nonché al terzo occhio di Shiva e al senso dell’eternità ad esso collegato. E non è un caso se a simili figure come primo impegno era richiesto il dominio ed il controllo della sfera sessuale (Don Juan raccomandava a Castaneda di “usare l’uccello solo per pisciare!”), fino a giungere alla scelta radicale della castità assoluta negli ordini monastici e sacerdotali: in quanto dipendenza e asservimento alla Terra e alla vita animale. Un “peso”, questo, diventato oggi insostenibile per un tipo umano il cui carattere e la cui volontà sono irrimediabilmente intaccati dall’assoluta mancanza di fede. Quando si ha da perdere qualcosa, come può essere il godimento ed il benessere fisico, non si può disporre di eccessivo coraggio, come avviene, notoriamente, nel coniglio: per antonomasia esempio di smodata attività sessuale, all’insegna della quantità ma a discapito della qualità.
Da questo punto di vista non sarà difficile riscontrare anche fra le proprie conoscenze personali questa attitudine del “donnaiolo” alla ricerca ossessiva dell’accoppiamento e la sua conseguente mancanza di coraggio. Caratterizzando di solito simili personaggi, paradossalmente, un che di femmineo e quella fiacca mollezza che poco si conciliano con l’idea di virilità, che solo fino a ieri veniva ancora considerata una caratteristica positiva del maschio. A differenza della donna, della quale sono noti gli interessi morbosi per le storie d’amore e per gli accoppiamenti in generale: al punto da far dire ad Otto Weininger, nel suo Sesso e carattere, che prima che in quanto madre o amante essa si affermi e gioisca soprattutto nel suo ruolo di “mezzana”.
Va però detto che questo interesse viene esercitato dalla donna, nella maggior parte dei casi, con la grazia e la sensibilità che la caratterizzano e che contribuiscono a farne apprezzare da parte dell’uomo la femminilità ed il provvidenziale ruolo di polo contrapposto, e quindi complementare, verso cui ci si sente attratti. Quando però moine, frivolezze e smancerie vengono fatte proprie e assunte caratterialmente da un uomo, lo “spettacolo” diventa grottesco e innaturale, come succede in certe rappresentazioni esageratamente caricaturali dell’omosessuale. Se, infatti, nell’uomo il simbolo del cuore in quanto vaso è direttamente collegato al suo ruolo centrale e solare, nella donna esso coincide col simbolo lunare, legato alla fertilità ed ai cicli della natura, che permettono di associare direttamente il fiore alla vagina ed alla sua funzione riproduttrice. Ecco perché il congiungimento carnale fra uomo e donna ha come centro ed obbiettivo da raggiungere la “fonte” in cui è racchiuso il mistero della vita; mentre negli accoppiamenti fra omosessuali il risultato finale — il “premio” da ottenere — consiste esclusivamente nella… merda.
D’altronde, di una vera e propria funzione santificatrice della donna si parlava già presso i “Fedeli d’Amore” e nella letteratura cortese, col suo ideale cavalleresco dove la concezione dell’amore come servizio e vassallaggio nascondeva significati che andavano ben oltre la semplice accezione fisica e naturale dell’unione erotica. E proprio l’ideale cavalleresco rappresenta uno dei più fulgidi esempi di coraggio virile, nascendo la paura dall’ignoranza e dall’errore, che solo la luce della verità che deriva dalla realizzazione spirituale può sconfiggere. La paura della morte legata all’istinto di conservazione rende di fatto inabili a compiere il proprio destino. Mentre la paura della solitudine e dell’isolamento mostra chiaramente la totale mancanza di comunione con Dio e col Creato; l’unico rimedio consistendo nell’amore, nel cameratismo e nella vita di gruppo e in comunità. Infatti l’isolamento è un’illusione, essendo noi in ogni istante partecipi della Vita universale e in unione col Supremo. La paura dell’ignoto e del futuro è frutto dell’asservimento al mentale, che pretenderebbe di organizzare ogni istante della nostra esistenza secondo il nostro arbitrario desiderio. Dimenticando che ad ognuno vengono imposti solo i pesi che egli può sostenere: in virtù delle energie nascoste, della conoscenza spirituale, dell’intuizione intima e diretta e dell’illuminazione posta al termine del percorso realizzativo.
Avendo accennato ai Fedeli d’Amore, va detto che Dante, a proposito della fede, in Paradiso XXIV, viene interrogato da san Pietro, che lo sottopone ad un vero e proprio esame sull’argomento: «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:/fede che è?»; a cui Dante risponde — seguendo san Paolo — che: «fede è sustanza di cose sperate/e argomento de le non parventi;/e questa pare a me sua quiditate», (“la fede è la realtà sostanziale delle nostre speranze di vita eterna e la prova razionale delle cose che non vediamo; e questa credo che sia la sua essenza”). Per poi aggiungere: «Le profonde cose/ che mi largiscon qui la lor parvenza,/a li occhi di là giù son sì ascose,/ che l’esser loro v’è in sola credenza,/ sopra la qual si fonda l’alta spene», (“I profondi misteri che qui in cielo mi vengono mostrati, sono così nascosti agli occhi degli uomini che in terra la loro esistenza è ammessa soltanto per fede, su cui si fonda la speranza della beatitudine eterna”); dove abbiamo una significativa e sostanziale distinzione fra fede e conoscenza: si crede per fede, tramite la grazia, e si vede per conoscenza, tramite la qualificazione personale.
Ed è lo stesso san Pietro a ribadire — nel medesimo canto dantesco — la funzione della fede quale fondamento di ogni bene: «Questa cara gioia/sopra la quale ogni virtù si fonda», (“Questa preziosa gemma della fede sulla quale si fondano tutte le altre virtù”): perché quando si mette al di sopra di tutto Dio, ci si distoglie da ogni altra cosa che non sia Lui, poiché ogni aspetto e ogni manifestazione del Creato (il cielo e le stelle, il sole, la luna e i pianeti tutti, il verde dei campi e delle foreste, gli uccelli nell’aria e gli animali sulla terra, l’acqua dei fiumi e dei ruscelli, il fuoco purificatore) ci indicano la perfezione dell’Ordine divino (riprodotta e copiata nell’arte sacra), ed escludono, per contrasto, ogni tipo di disordine antiumano e diabolico. E allora la concentrazione continua ed il raccoglimento su un qualunque punto dell’esistenza diventano misura dell’intensità della fede e forniscono un vero assaggio di Paradiso. L’unico riposo soddisfacente e l’unica quiete possibile si ottengono, infatti, calandosi armonicamente nella Natura, facendosi cullare e accompagnare dai suoi suoni, facendosi riempire dalle sue immagini, facendosi inebriare dai suoi profumi e dai suoi sapori, facendosi accarezzare dal suo tocco benefico.
Guénon dice di San Bernardo che «quello che i filosofi si sforzano di ottenere per una via contorta e come a tentoni, lui otteneva immediatamente per quella intuizione intellettuale senza la quale nessuna metafisica reale è possibile, e al di fuori della quale non è possibile afferrare che un’ombra della verità». Essendo l’intuizione intellettuale atto del guardare intensamente, apprensione immediata, senza mediazione della ragione discorsiva. Infatti, IN-TUIRE significa guardare dentro, in profondità, cosicché dalla FEDE si passa alla VISIONE nel cammino della Conoscenza. Non per nulla in Dante Virgilio rappresenta la ragione e Beatrice la fede, mentre San Bernardo è il compimento mistico.
Ed uno dei maggiori segni dello squilibrio contemporaneo è rappresentato proprio dalla contrapposizione fra fede e ragione, essendosi venuta a determinare, a partire da un particolare momento storico, una frattura insanabile fra i due termini prima complementari, per quanto gerarchicamente ordinati. La ragione infatti sarebbe la facoltà discorsiva, la capacità di pensare, di riflettere, di trovare motivi e spiegazioni alle cose, di stabilire rapporti tra varie realtà e proporzioni tra due termini, di verificare la verità di certe affermazioni confrontandole con giudizi e verità precedenti, scoprendo una verità con l’aiuto di un’altra. Mentre invece la fede «non solo non rinnega o mortifica la ragione ma la presuppone, la risana purificandola o preservandola dagli errori umani e, soprattutto, la eleva al punto di metterla in continuità con l’oggetto della stessa conoscenza divina», secondo S. Tommaso. La certezza di fede è superiore a qualunque certezza puramente umana. Le esagerazioni della dialettica razionalistica possono invece scadere in arte del diavolo (loico per antonomasia, secondo Dante).
Anche l’opposizione fra Abelardo (che accentua la funzione della ragione) e S. Bernardo (che accentua la funzione della fede e della mistica), verte su questo tema. Come spiega Guénon nel suo scritto dedicato al santo cristiano (ancora più importante oggi, per la deriva presa dalla Chiesa cattolica asservita al mondo!), Abelardo «per i suoi insegnamenti e per i suoi scritti si era guadagnato la reputazione di abilissimo dialettico; abusava addirittura della dialettica poiché, invece di vederla come è realmente, cioè un semplice mezzo per giungere alla conoscenza della verità, la vedeva quasi come fine a se stessa, cosa che naturalmente portava ad una sorta di verbalismo. In un certo senso c’era in lui, sia per quel che riguarda il metodo sia per il contenuto stesso delle idee, una ricerca dell’originalità che lo avvicinava un po’ ai filosofi moderni e, in un’epoca in cui l’individualismo era qualcosa di pressoché sconosciuto, questo difetto non poteva rischiare di passare per una qualità come succede ai giorni nostri. Così alcuni cominciarono ben presto a preoccuparsi per queste novità che non tendevano ad altro che stabilire una vera e propria confusione tra il dominio della ragione e quello della fede; non che Abelardo fosse, a dire il vero, un razionalista, come si è a volte preteso, poiché non ci sono stati razionalisti prima di Descartes; ma egli di fatto non seppe operare una distinzione tra ciò che dipende dalla ragione e ciò che le è superiore, tra la filosofia profana e la sapienza sacra, tra il sapere puramente umano e la conoscenza trascendente, e qui è la radice di tutti i suoi errori».
E sarà proprio Cartesio a portare a compimento «la mistica distruttrice dell’umanismo, il culto terrestre dell’uomo divinizzato e intento ad abbattere o avvilire ogni forma di autorità sia spirituale, sia politica, per affermarsi “signore e possessore della natura”» (J. Evola, Il filosofo mascherato, Arthos n. 13, 1976). Il quale parte da una presunta ortodossia cattolica e dall’ossequio per la Chiesa, attraverso speculazioni teologiche e “prove” dell’esistenza di Dio (purché non intervenisse nel meccanismo del mondo), usandole come semplici coperture per portare avanti indisturbato la sua religione terrestre dell’uomo divinizzato. Egli meccanizza la natura e la libera da ogni elemento trascendente, definendo l’uomo «maestro e possessore della natura». Per lui viene prima la ragione, cioè l’uomo, e poi Dio. La tendenza luciferina e prometeica dell’Umanesimo è ripresa, potenziata e rilanciata proprio dal cartesianesimo. E i numerosi tentativi falliti di entrare in contatto con gli autentici Rosacroce (la sigla scelta per firmarsi con le iniziali RC, Renatus Cartesius, indicherebbe questa sua “ossessione”) possono forse spiegare il suo astio e la sua deriva antimetafisica.
Tappe storiche e del pensiero, queste, che hanno condotto alla riduzione della fede a mero sentimentalismo, volontarismo, criticismo, pragmatismo: per cui la fede finisce per essere un puro fatto psicologico e la psicologia si sostituisce alla teologia, mentre la scienza assume il ruolo di arbitra assoluta della verità e della vita, come stiamo purtroppo costatando oggi sulla nostra pelle e a discapito della nostra libertà. In questo modo, la semplice parola FEDE può essere oramai applicata a realtà negative e antitradizionali, quando non è accompagnata da appropriati aggettivi: FEDE SANTA, FEDE RELIGIOSA, FEDE SPIRITUALE. I fanatismi politico-ideologici ne sono un chiaro esempio, come del resto gli stessi integralismi religiosi. In questo caso essa si tramuta in semplice opinione (adesione non certa), che non sempre coincide con la verità e la conoscenza. Il cogitare scientifico privo di un riferimento divino risulta incompleto e insoddisfacente, venendogli meno l’autorevolezza della Luce del Principio. Per cui si riduce ad un inconcludente rimuginare e girare intorno alle cose, senza riuscire a penetrare nella loro autentica essenzialità.
I pericoli e i danni derivanti dalla soggezione della Chiesa nei confronti dei comitati scientifici sono sotto gli occhi di tutti. Quando la verità razionale entra in contrasto con l’atto di fede dovrebbe essere normalmente la seconda a prevalere, in un contesto di conoscenza superiore come quello di una religione. Ma ciò, proprio in virtù della mancanza di fede da parte delle stesse gerarchie, non avviene, per cui i fedeli si ritrovano indifesi e in balia della “nuova religione globale scientista”: con i suoi dogmi, la sua morale e il suo culto. Tutti parodistici, ma non per questo meno reali, invadenti e pervasivi. D’altronde, il processo distruttivo che sta interessando la nostra Umanità dovrà inevitabilmente attaccare qualsiasi manifestazione ed espressione culturale, invertendone i contenuti e i significati, mediante gli stessi strumenti utilizzati prima per veicolare il bello, il vero e il bene. Essendo la cultura come un paio di occhiali che permettono all’uomo di penetrare e mettere meglio a fuoco alcuni aspetti dell’esistenza e del reale, non immediatamente comprensibili. La controtradizione non fa altro che impossessarsi di quegli “occhiali” (non potendo essa creare alcunché), sporcandoli e deformandone la visione, riempiendo il vuoto dell’ignoranza generale con false conoscenze e pseudo verità.
Il potere illegittimo che oggi ci governa e decide dei nostri destini finge un’attenzione per la “salute” della popolazione, mostrando in realtà totale indifferenza, se non autentica accondiscendenza, verso ciò che danneggia l’uomo, come il gioco d’azzardo, tollerato e incoraggiato; la disoccupazione e la miseria di sempre più ampie fasce della popolazione; l’accesso libero e incontrollato ai peggiori contenuti del web, anche da parte di bambini e minori; la prostituzione minorile e la pedofilia; il libero accesso a qualunque tipo di droghe; lo sterminio dell’aborto; la distruzione delle famiglie (nucleo base di ogni società sana), condotte allo squilibrio e all’azzeramento dei ruoli e delle responsabilità; lo svuotamento della scuola nelle sue funzioni e i conseguenti effetti deleteri sulla crescita delle nuove generazioni.
A questo punto è allora possibile rispondere alla domanda iniziale: no, il Figlio dell’uomo, quando tornerà sulla terra, non troverà la fede! O per lo meno, non la troverà tra i tiepidi, i titubanti, gli indecisi, i dubbiosi e gli esitanti, i timidi e i paurosi, quelli pronti a trattare col nemico per opportunismo, e quelli disposti a derogare dai Principi perenni del sacro. Insomma: la grande quantità degli esseri umani che hanno ceduto e gettato nella pattumiera dell’antiumano le loro inutili vite. Di contro, ci sarà sempre una minoranza qualificata di uomini e donne che — attraverso l’accettazione del dolore che tempra, rafforza e sviluppa la resistenza interiore — persisterà nella Fede Santa, sapendo che il tempo, nei suoi limiti, regola e domina le attività dell’uomo, senza scalfire minimamente Dio.