Il linguaggio segreto dell’Antelami- Recensione
C’è stato un tempo – tutto sommato recente se lo si considera in rapporto al nostro ciclo cosmico – in cui i principi tradizionali informavano ancora i modi e le espressioni della società e degli uomini che ne facevano parte, collocabile in prossimità dell’ultima ansa del fiume che ha condotto questa umanità in una progressiva caduta attraverso i quattro yuga, immediatamente a ridosso delle rapide finali in cui sarebbero, da lì a poco, precipitati il mondo moderno e la nostra civiltà: con gli esiti devastanti e sconvolgenti, oggi sotto gli occhi di tutti. Un tempo rischiarato dalla luce della vera sapienza, che ha visto ancora prevalere un orientamento verso l’alto in ogni manifestazione umana: sia essa religiosa, politica o artistica e scientifica. Ed è stata l’ultima volta che per l’Occidente si siano presentate delle effettive ed evidenti “possibilità” indicanti la direzione da seguire per reintegrarsi nel Principio, opposta allo scorrere del fiume prima ricordato, che si possono sintetizzare in figure emblematiche del Medioevo, che vanno da un San Bernardo a un San Francesco, da un Dante a un Federico II, dagli ordini cavallereschi ai costruttori di cattedrali.
E proprio di uno di questi parla Claudio Mutti (oggi sicuramente uno dei pochi autorevoli interpreti e continuatori del pensiero tradizionale nel nostro paese, e non solo), che ha curato questa nuova edizione del suo saggio Simbolismo e arte sacra, vecchio di trentacinque anni e da tempo esaurito, correggendolo e ampliandolo, nonché corredandolo di un prezioso apparato iconografico; il tutto arricchito da un’eccellente veste grafica.
Il volume tratta del Battistero di Parma, la cui costruzione fu iniziata nel 1196, «allorché Enrico VI, dopo aver ottenuto per il figlioletto di due anni – il futuro Federico II Imperatore – il riconoscimento di Re di Germania, annuncia il suo ritorno nella penisola italica, agitata da nuovi sintomi di ribellione»; sotto la guida dal maestro comacino Benedetto Antelami, esecutore anche delle sculture dei portali e delle settantanove formelle dello zooforo. E l’aggettivo “segreto” contenuto nel titolo è già sufficiente ad intuire lo scopo dell’opera: esaminare il significato recondito di questo vero e proprio percorso iniziatico scolpito nella pietra, oltrepassando e integrando il suo contenuto solo ed esclusivamente teologico e religioso.
Già la forma ottagonale del battistero ne sottolinea la funzione di “passaggio” dalla terra (a cui si riferiscono le forme quadrate o cubiche) al cielo (al quale corrispondono il cerchio e la sfera); essendo proprio questa la funzione del battesimo cristiano: liberare dal peccato originale che imprigiona l’essere umano alla dimensione terrena e alla condizione animale, per metterlo nella condizione di vivere in osservanza della legge di Dio. Compito proprio dell’uomo che intende raggiungere e realizzare la condizione di centralità, da cui bisogna necessariamente transitare per poter accedere agli stati superiori dell’Essere; e, di conseguenza, il più ferocemente odiato e intralciato fra gli obiettivi umani da parte del Diavolo, che proprio nel vanificare e rendere impossibile quell’ascesa trova la propria ragion d’essere. Trattandosi propriamente qui ancora della sola sfera psichica, dove l’intervento diabolico è ancora possibile, prima che l’uomo spicchi il volo verso dimensioni irrimediabilmente precluse alle forze luciferine.
Questo potrebbe in parte spiegare i segni presenti sulla parete esterna del Battistero di Parma, secondo la leggenda lasciati dal Diavolo, che «s’avventò ululando contro il muro nudo della parete sud-est, percuotendolo con il ginocchio destro (l’incavo più grande), la punta del piede destro (l’incavo più piccolo in basso a sinistra) e la punta del forcone a tridente (i tre segni di croce greca mozzata in basso), quindi sparì in una nuvola di fumo puzzolente e non si fece mai più vedere in quei paraggi». Le “pedate del Diavolo” sono numerose in giro per l’Italia; così come altrettanto numerosi sono però i segni lasciati da divinità, santi e profeti, in diverse zone del mondo. E su questa “traccia” degli stati superiori nel nostro mondo, l’Autore, col sostegno di Guénon, svolge interessanti considerazioni.
Analizzando passo dopo passo le raffigurazioni delle varie componenti di questo vero e proprio “trattato di pietra”, Mutti chiarisce il significato recondito delle numerose allegorie, che non hanno mai, com’è giusto che sia in un’opera ispirata dall’alto come questa, una semplice funzione artistica e decorativa, ma contengono insegnamenti altamente formativi. Com’è il caso della parabola narrata nella Porta della Vita: un invito forte e deciso a non abbandonarsi ai piaceri e ai godimenti materiali, facendosi distrarre dal compito di mantener continuamente desta e concentrata l’attenzione, onde sfuggire alle insidie e ai vincoli dei giorni che passano e del tempo che uccide.
Insegnamenti intessuti con la presenza costante e continua della scienza dei numeri, che conferma il valore cosmologico del simbolismo dello zooforo composto da settantanove formelle, la cui lettura equivale ad un percorso cosmico, analogo al viaggio di Dante: «affrontare questo enigma scultoreo significa inoltrarsi in un labirinto, compiere un pellegrinaggio spirituale verso la “Terra Santa”». La presenza fra le altre figure del tetramorfo, del resto, indica proprio le qualità necessarie all’Uomo per poter compiere un simile viaggio: «il Vitello, il Leone e l’Aquila sono le rispettive immagini della forza fisica, della virtus e dell’intelletto, ossia di quelle energie fisiche, etiche e spirituali che nell’Uomo si raccolgono e si armonizzano in una sintesi unitaria».
Significativa è, pure, la lettura che Mutti fa della raffigurazione della Fides, collocata accanto alle altre due virtù teologali (Speranza e Carità), gettando così un ponte fra quello che è il percorso della singola persona ben orientata e quella che è la struttura di una società tradizionale ben diretta, interpretando l’iscrizione che la sovrasta e che richiama Abramo, pronto a sacrificare a Dio il proprio figlio, citato come esempio di fede, egli scrive: «All’epoca in cui l’Antelami innalza il Battistero di Parma, fides è il nome di un vincolo spirituale che, elevato a dignità di sacramento, costituisce il cemento dell’edificio feudale; per contro, la rottura della fides equivale ad un atto sacrilego, sicché il termine infidelis serve a designare tanto l’eretico quanto il ribelle». E questa accezione feudale dell’idea di fides, è rimarcata proprio dalla figura di Abramo, il quale riceve l’investitura da parte di Melchisedec, che ebbe una parte notevole nel simbolismo del Sacro Impero, e in cui si ritrovano gli attributi del Signore Universale e del Re del Mondo. Quel Signore di Pace e Giustizia che rappresenterà un modello da imitare e da attualizzare nel governo degli uomini, che cercherà di realizzare storicamente quello che è ancora un bambino di pochi anni quando l’Antelami inizia a costruire il Battistero: quel Federico II che stabilì in Sicilia la sua residenza, e che mirava alla sacra e ambiziosa meta dell’unità e la totale pacificazione del genere umano, unicamente realizzabile nel grande impero universale, «rivendicando all’Impero la prerogativa ieratico-regale di Melchisedec». Lo stesso che fece costruire un altro edificio a pianta ottagonale, non meno denso di significati simbolici: il tempio imperiale di Castel del Monte.
Il simbolismo ghibellino è poi ulteriormente rappresentato nell’opera dell’Antelami con la raffigurazione di Ercole, in un’altra delle formelle del Battistero. L’eroe olimpico alleato degli dei, che combatte e sconfigge le forze del caos, rappresentando a sua volta un modello imperiale nello scontro fra forze della luce e dell’ordine e forze delle tenebre e del caos. Simbolismo rafforzato poi dalla successiva rappresentazione dell’asino (nel 76° riquadro), e dalle figure di Gog e Magog (nel 77° e 78° riquadro); che rappresentano nell’Apocalisse di Giovanni «le nazioni che, dopo aver dato l’assalto al campo dei santi e alla città prediletta, vengono distrutte dal fuoco celeste». E conclude l’Autore affermando che: «Di fronte a questo scenario apocalittico l’Antelami prospetta l’avvento di un restauratore dell’autorità imperiale, che egli indica, come farà Dante cento anni più tardi, mediante il simbolo del Veltro: un cane levriere, scolpito nella 79ª formella, conclude infatti il ciclo dello zooforo».
Claudio Mutti, Il linguaggio segreto dell’Antelami, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2015.