Testi
Non va mai dimenticato, almeno da parte di coloro che considerano il mondo un mistero che trascende ogni banale esteriorità e tutte le fallaci apparenze, che nulla potrebbe esistere manifestarsi e svolgere la propria funzione senza il “soffio” dello Spirito («l’espirazione di Dio»), per cui l’essenza stessa di tutto ciò che i nostri sensi percepiscono consiste in quella che si è definita Anima del mondo; dove per mondo non si intende solo la Terra ma anche — e soprattutto — il Cielo con le varie divinità che vi risiedono, i cui singoli nomi non rappresentano altro che le diverse qualità e virtù del Principio; così come i corpi celesti, nella loro percezione sottile e simbolica, non nella mortifera e letale catalogazione astrofisica della scienza moderna. E il fatto stesso che l’uomo sia dotato della capacità di comprendere ed entrare in relazione attivamente con un simile MISTERO è già sufficiente a dimostrare la presenza in lui di una porzione di quel divino soffio. Il mondo, al pari dell’uomo, ha uno spirito e un’anima che ne rendono vivo anche il corpo, facendolo partecipe, in ogni suo frammento e porzione, della mente divina; come sapientemente ci indica Virgilio quando mette in bocca ad Anchise — ombra nei Campi Elisi — le parole rivolte al figlio Enea, nel suo viaggio nel regno dei morti, presentandoci l’insegnamento tradizionale «sul tappeto magnifico dei versi» (Esenin ci perdonerà il furto!), a partire dall’esametro: Principio caelum ac terras camposque liquentis.
Un intimo spirito avviva il cielo e la terra e le acque
e il sole e la luna splendente, una mente
infusa per gli arti tutto agita il mondo
e al grande corpo s’unisce. Da questo miscuglio
proviene degli uomini il nascere e l’essere
e così delle bestie, così degli uccelli e dei mostri
che sotto le lucide acque il mare produce.
In quei semi è un igneo vapore, una celeste
origine che in loro sussiste finché corpi nocivi,
arti terreni e membra mortali non li impediscono.
Virgilio, Eneide (VI, 724-734)