Evola: una consegna per i tempi ultimi
Sabato 12 novembre 2016 il Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza ha organizzato a Brescia un incontro sull’attualità di Julius Evola, con interventi di Claudio Mutti, di Paolo Rada e di Enzo Iurato per conto di Heliodromos. Proponiamo, qui di seguito, la traccia dell’intervento del nostro collaboratore.
Quando ci si accosta all’Opera di Julius Evola, non si può fare a meno di constatare un processo di crescita, centramento, chiarificazione, che ha nel corso degli anni interessato i suoi contenuti, facendo intravvedere un vero e proprio percorso “evolutivo” che ha portato Evola alle posizioni finali e definitive, ancorate alle terre ferme della Tradizione. A differenza di René Guénon, che a quelle “terre ferme” è appartenuto fin dall’inizio e col quale il confronto è inevitabile per tutta una serie di motivi, Evola ha infatti attraversato fasi diverse che lo hanno condotto dalle personalissime posizioni artistiche e filosofiche giovanili all’impersonalità tradizionale della sua maturità. Pur non rinnegando nulla, egli, infatti, ha riconosciuto che quello che dei suoi scritti andava salvato e conservato dipendeva dalla maggiore o minore aderenza ai principi tradizionali, già magistralmente esposti da René Guénon.
Nella sua “autobiografia” Evola afferma: «nella mia attività, che ha avuto diverse fasi e che si è applicata a diversi domini, l’essenziale ha bisogno di essere separato dall’accessorio, e specie nei libri giovanili conviene tener conto di una preparazione necessariamente incompleta e di influenze dell’ambiente culturale solo in seguito eliminate a poco a poco, grazie ad una maggiore maturità». (1) Aggiungendo subito dopo, a proposito dell’inconveniente rappresentato dal suo mancato collegamento con una tradizione viva: «un certo collegamento positivo essendosi stabilito solo a partire da un dato periodo». (2) Periodo che si può collocare negli anni intorno al 1930, quelli in cui ebbe intensa ma breve vita il Gruppo di Ur, che videro un cambiamento significativo in Evola, dimostrato anche dalla pubblicazione, da lì a breve, della maggior parte delle sue opere principali. Una svolta resa soprattutto possibile dall’influenza positiva esercitata degli scritti di René Guénon, col fondamentale ruolo di tramite svolto da Guido De Giorgio. (3)
La prossimità con De Giorgio fu particolarmente intensa durante la pubblicazione della rivista La Torre (seguita della collaborazione al Diorama filosofico), dove, insieme agli interventi dello stesso De Giorgio atti a «drammatizzare e energizzare il concetto della Tradizione», apparvero una serie di scritti di Evola (4), che sarebbero poi confluiti nell’opera Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, stampata da lì a breve; libro che si va ad inserire a pieno titolo nel medesimo solco dell’Errore dello spiritismo e de Il Teosofismo storia di una pseudo religione di René Guénon, così come poi Rivolta contro il mondo moderno sarà, a sua volta, una continuazione ed un approfondimento de La crisi del mondo moderno di Guénon; della cui recente riedizione dovremo riparlare più avanti. Un’opera importante, Maschera e volto, per la decisa presa di distanza da correnti e figure ambigue e “non in linea”, precedentemente non valutate in tutta la loro problematicità. Proprio all’interno della rivista La Torre veniva curata la rubrica “L’arco e la clava” che, a distanza di svariati anni darà il titolo all’ultima opera pubblicata da Evola — se si eccettua il successivo volume Ricognizioni, «dal carattere analogo» —, degna di particolare attenzione in quanto essa rappresenta un fedele documento della definitiva maturità evoliana, in cui «partendo da stessi principi» venivano considerati «problemi molto vari». Dai temi superiori e dottrinari raggiunti con l’arco, agli oggetti vicini e a fenomeni tipici della società moderna, abbattuti con la clava.
Proprio in considerazione di questa sorta di “ultima parola” rappresentato dal contenuto del libro in questione, può risultare utile scorrerne brevemente l’Indice, individuando i vari argomenti trattati da Evola, non solo per ribadire gli obiettivi lontani e d’ordine superiore a cui egli era da tempo approdato, ma soprattutto per rendersi conto di quali e quante fossero le tematiche contingenti affrontate a colpi di clava; indicando così, fra l’altro, una via e una possibile funzione alle residue forze tradizionali impegnate a testimoniare ancora oggi la vitalità e l’immutata attualità della Tradizione. Se, infatti, sul piano dottrinario non c’è nulla da aggiungere — costituendo già l’Opera di Guénon un monumento definitivo e insostituibile, che deve solo essere studiata e assimilata —, sul piano delle applicazioni dei principi tradizionali per interpretare e comprendere i fenomeni e i segni della fase ciclica finale che stiamo attraversando, esiste non solo la possibilità ma l’obbligo di servirsene, per portare luce là dov’è buio e chiarezza dove regna confusione. Ed è proprio questa capacità evoliana di “scendere” ad analizzare argomenti apparentemente bassi e profani, a differenza di Guénon che raramente si concede escursioni nel fenomenico e nel modano, a farci assegnare ad Evola un ruolo non secondario nella scelta di un impegno attivo sul Fronte della Tradizione. Anche perché dalle “piccole cose”, apparentemente insignificanti, si possono trarre segnali e insegnamenti molto più importanti di quanto potrebbe apparire a un primo esame superficiale.
Scorrendo, quindi, l’indice del libro e focalizzando l’attenzione su alcuni dei temi affrontati a “colpi di clava”, vediamo che egli ricorre alla definizione di razza dell’uomo sfuggente, per indicare l’uomo dei tempi ultimi, privo di carattere e dalla personalità informe, insofferente per ogni disciplina e incapace di assumere impegni o mantenere la parola data, impossibilitato a concentrarsi e portato alla facile menzogna, constatando con rammarico che «non fanno eccezione coloro che professano idee di “destra” perché in loro coteste idee occupano un settore a parte, privo di contatti diretti e di conseguenze impegnative con la loro realtà esistenziale». Evola parla poi di terzo sesso per indicare un fenomeno che oggi ha assunto dimensioni allora inimmaginabili, costituendo un segno inequivocabile del processo dissolutivo subito dal mondo moderno. È poi il turno dell’America negrizzata, la cui descrizione veritiera e spietata apparirà urticante e indigesta per i devoti del politicamente corretto, ma la cui lungimiranza stupisce; come quando l’Autore giunge ad ipotizzare sviluppi allora inimmaginabili del fenomeno, «per cui, di rigore, si potrebbe aspettare, in avvenire, anche un presidente negro degli Stati Uniti», (anche se le doti profetiche di Evola non avrebbero mai potuto prevedere che costui potesse essere un giorno insignito, sulla fiducia!, del “Premio Nobel per la pace”). Significativo è poi lo spazio dedicato allo sfaldamento delle parole, in cui si dimostra con esempi filologicamente documentati la vera e propria inversione subita da alcuni termini, fenomeno perfettamente in linea col clima di menzogna e falsità capillarmente diffuso dai vertici e dai potentati che reggono il mondo moderno, già ipotizzato e magistralmente descritto da George Orwell nel suo romanzo 1984, dove, non solo si giunge a chiamare le guerre “missioni di pace”, i complotti politici “primavere”, e le peggiori aberrazioni “diritto a qualcosa”, ma si calpestano le più elementari esigenze di uno stato di raccoglimento, di calma, di contemplazione, visto che «Ogni espediente sembra essere stato messo diabolicamente in opera a che qualsiasi vita veramente interiore sia distrutta, a che ogni difesa interna della personalità sia impedita d’anticipo, a che, quasi come un essere artificialmente galvanizzato, l’individuo si lasci portare dalla corrente collettiva la quale, naturalmente, secondo il cosidetto “senso della storia”, va avanti in un illimitato progresso».
E nella stessa direzione del precedente tema va sicuramente il gusto della volgarità, in cui Evola individua un altro segno inequivocabile della regressione e dello scadimento generale, dove la ricerca ossessiva dell’abbassarsi e del corrompersi travolge in un vortice inarrestabile ogni classe sociale ed ogni categoria umana, come per esempio nel campo dell’abbigliamento e dell’uso da parte delle donne di un indumento da lavoro come i jeans per cui, secondo Evola, «Queste ragazze si sarebbero dovute mettere in campi di concentramento e di lavoro». A cui si potrebbe associare un fenomeno oggi di moda e diffuso in tutte le classi sociali, praticamente sconosciuto negli anni in cui scriveva Evola, quale quello della moda dei tatuaggi, con tutto ciò che esso comporta dal punto di vista dei riferimenti antropologici scelti a modello. Ed essendo la volgarità spesso e volentieri associata alle tematiche sessuali, non poteva mancare fra i capitoli di L’arco e la clava uno dedicato alla Libertà del sesso e libertà dal sesso, dove viene stigmatizzato il vero e proprio clima di intossicazione sessuale di cui soffrono i tempi ultimi, che dalle repressioni ipocrite moralistiche e puritane, sono progressivamente scivolati in corruzioni morbose e maniacali, dove si è lasciato campo libero ad ogni forma deviata della sessualità; fino a giungere alla pretesa, ai nostri giorni, di condurre guerre sanguinose e con migliaia di vittime innocenti, al fine di portare la “liberazione sessuale” a popolazioni non ancora intossicate e non ancora omologate al clima di corruzione generale. Ovviamente, in un tale contesto, verrà considerato un male da curare la stessa astinenza, intesa «non come repressione e “mortificazione della carne” ma come una tecnica oggettiva per sganciare una forza fondamentale dell’essere umano e usarla per un diverso fine». Nel capitolo intitolato Influenze subliminali e “stupidità intelligente”, infine, Evola esamina, oltre alla totale perdita di autonomia in fatto di giudizi e scelte da parte dell’uomo moderno, il flagello dell’intellettualità che si è venuta ad affermare nelle società democratiche. Vera e propria “fiera delle vanità”, pericolosa in ragione dell’influenza nefasta esercitata dai suoi rappresentanti sulla formazione del pensiero dominante e sulla diffusione degli “stati d’animo” funzionali al potere; fenomeno che, in ragione dei nuovi strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione digitale e del web, si è ulteriormente aggravato ai nostri giorni.
Quello che salta subito agli occhi riprendendo in mano questo libro di Evola è il vero e proprio processo di assuefazione di cui tutti quanti siamo stati vittime inconsapevoli. Infatti, a un esame superficiale, sembrerebbe quasi che Evola “esageri” in certe sue prese di posizione, visto che tanti degli aspetti del mondo in divenire che lo “scandalizzavano” allora (non in senso moralistico, sia ben chiaro), facendolo reagire duramente e portandolo ad inveire con lo stile combattivo che lo caratterizzava, a noi sembrano oggi quasi normali ed accettabili, essendo oramai abituati da tempo a conviverci. E questa è una chiara dimostrazione degli effetti del veleno somministrato a piccole dosi dai costruttori degli stati d’animo e dagli “spacciatori” del clima e dell’atmosfera generale, costruito passo dopo passo, provocando giornalieri spostamenti, impercettibili ma continui, che alla fine producono un mutamento di direzione e di orientamento nella psiche di ognuno, a prescindere dalle sue convinzioni di partenza, poggiando questa sulle malferme sabbie mobili dell’io.
Il fatto è che il mondo moderno è cresciuto all’ombra di uno sfrenato individualismo, egocentrico ed egoistico, in cui proprio le pulsioni dell’io hanno preso il sopravvento ed hanno informato ogni manifestazione dell’essere umano: esistenziale, culturale, sentimentale, artistica, lavorativa e, perfino, religiosa e “trascendente”. L’instabilità sociale ed il mutamento incessante che ne derivano sono i medesimi delle molteplici e discentrate facce della personalità degli individui. Il presunto progresso e il dinamismo individuale e sociale marciano fianco a fianco, fin dai tempi della Rinascenza e dell’umanesimo, quando solo “l’umano, troppo umano” cominciò a prendere il centro della scena, e la rivoluzione copernicana sostituì con una tutto sommato relativa certezza scientifica la necessità simbolica del geocentrismo, immagine microcosmica della centralità dell’Essere, indispensabile per poter concepire un ordinamento superiore della società umana. Lo Stato tradizionale conosce solo doveri, l’individualismo conosce solo diritti: e in questa “semplice” differenza consiste l’abisso scavato dal mondo moderno rispetto alla normalità del passato.
Un mutamento di livello interiore che ha generato tutta una serie di conseguenze di cui noi vediamo oggi il risultato finale. L’individualismo esasperato e la resa alle pulsioni parziali e patologiche dell’io, sono infatti alla base dei fenomeni di fanatismo fondamentalista che stanno insanguinando gran parte del mondo, dimostrando proprio per questo tutta la modernità della loro genesi. E il fenomeno non si limita ai soli terroristi spinti da motivazioni pseudo religiose, rientrando a pieno titolo nella medesima categoria alcune manifestazioni apparentemente pacifiche e “nobili”, rappresentate da gruppi e movimenti “settari” sorti all’interno dall’Occidente democratico, quali gli animalisti e i vegani, i salutisti e i sostenitori dei diritti degli omosessuali e della teoria del gender: tutti quanti mossi dalla medesima violenza (non sempre solo verbale!) cieca e insensata, e spinti dal medesimo istinto antiumano e criminale alla coercizione e all’annientamento (fisico o morale, poco importa) di chi dissente dalle loro “verità” fanaticamente abbracciate.
Ma, al di là di questi fenomeni patologici, è tutta la politica contemporanea a subire le conseguenze nefaste di questa “esplosione dell’io”. Se si esclude il tentativo unico e in controtendenza rappresentato dal Fascismo, si può tranquillamente affermare che la politica che si è affermata successivamente alla Rivoluzione francese è fondata solo ed esclusivamente su motivazioni dettate dall’io e sulla soddisfazione delle esigenze egoistiche del singolo. Infatti, sia la ricerca ossessiva dell’arricchimento personale e del più sfrenato consumismo propri del Capitalismo e del liberismo radicale, così come l’invidia delle altrui fortune che sta alla base del Socialismo e del Comunismo, marciano fianco a fianco dietro lo stendardo dell’io: simile all’”insegna” inseguita dagli ignavi danteschi, simbolo dell’attivismo insaziabile e divoratore di ogni riposo e pace.
Evola ha attraversato entrambi i periodi in cui l’Italia ha conosciuto, prima il tentativo mussoliniano di costruire una comunità organica e solidale, poi le macerie del pantano democratico, fornendo il suo contributo di idee adeguate alle diverse condizioni: dall’iniziale disposizione costruttiva e propositiva, quando ci si poteva forse fare ancora delle illusioni sugli esiti futuri del tentativo fascista, alla critica spietata e all’opposizione intransigente alla realtà dell’Italia democratica. Frequentando i fascisti prima e i neofascisti dopo, egli ha dovuto prendere comunque atto di quel fenomeno di scadimento del materiale umano che lo hanno portato a mettere da parte ogni illusione sulle possibilità di un’azione positiva, come traspare dalle pagine delle sue opere scritte nel dopoguerra, dove non si stanca di ribadire «l’inutilità di qualsiasi critica, di qualsiasi reazione e di qualsiasi velleità di azioni rettificatrici prima che nell’uomo stesso o, almeno, in un determinato numero di uomini in posizione di esercitare una influenza determinante, si produca un mutamento interno di polarità — una metánoia, per usare il termine antico: nel senso di uno spostamento verso la dimensione dell’“essere”, di “ciò che è”, dimensione andata perduta e dissolta nell’uomo moderno tanto che ben poco si sa più che cosa sia stabilità interna, centralità, quindi anche calma e superiore sicurezza, mentre invece un senso nascosto di angoscia, di inquietudine e di vuoto si diffonde sempre di più malgrado l’impiego sistematico su larga scala e in tutti i domini degli anestetici spirituali recentemente inventati». (5) Evola ne parla spesso, ma ognuno può personalmente verificare fra le proprie conoscenze gli innumerevoli fenomeni di regressione e cedimenti in elementi prima bene orientati e mossi dalle migliori intenzioni i quali, per le piccole prove e la monotonia e il logorio della vita quotidiana, sono venuti meno e si sono rifugiati in posizioni tiepide e prudenti, quando non radicalmente contrarie agli orizzonti prima condivisi. Nel Vangelo si fa riferimento al medesimo cedimento dovuto alla consumazione di un tarlo, che non mostra niente all’esterno, mentre il legno si consuma interiormente, si svuota di ogni consistenza, si sfalda, fino a cedere di botto.
Chiunque oggi si proponga di fare politica parte dal presupposto che bisogna rivolgersi agli scontenti e agli esclusi, quasi come se la costituzione di un esercito di insoddisfatti potesse rappresentare un punto di forza, e l’opinione dei “bastian contrari” (quelli, per intenderci, che fanno le domande alle conferenze, scrivono lettere ai giornali, telefonano alle trasmissioni, commentano sui blog) costituisse automaticamente una base d’appoggio con cui condurre la battaglia contro un mondo che non soddisfa. Le mille opportunità offerte dal web (questa finzione di porto franco e di patria di ogni libertà per illusi oppositori e supposti cospiratori, protetti dalle medesime “discrezioni e segretezze” riservate ai prigionieri del Tiranno siracusano Dionisio detenuti nell’omonimo “Orecchio”), hanno permesso per esempio la nascita di un movimento come quello dei “Cinque Stelle”, che risponde pienamente all’esigenza di mettere insieme una simile accozzaglia di personalismi e di “io”, dove girare mail ha preso il posto della militanza politica, la quale almeno non escludeva lo scontro fisico e presupponeva, quindi, una buona dose di coraggio, dote non richiesta dalla tastiera del pc!
Un interessante libro scritto da Renzo Giorgetti (6) ci permette di fare — specie per quanto scrive nel suo ultimo capitolo, il quinto intitolato V Per Vittoria — una lettura non banale degli avvenimenti che ci stanno scorrendo davanti proprio in questi giorni. Ricostruendo la genesi del segno della “Vittoria” reso famoso dal primo ministro inglese Churchill, ed evidenziandone le derivazioni occulte, visto che il “segno” rappresenterebbe le orecchie di un asino, l’Autore scrive: «La V rappresenta Tifone o Apophis, divinità distruttrici, nemiche delle forze solari. Il simbolismo spiega l’uso della V come un contrasto alla (sic!) svastica, datosi che Tifone uccide Osiride, causando il lutto di Iside». Ci sono stati nella storia dei momenti di svolta epocali, coincidenti con delle realizzazioni tecniche le quali hanno contribuito in maniera decisiva al processo di decadimento nella selezione dell’élite dominante: prima la stampa, poi la televisione, oggi il web. Un decadimento progressivo tendente all’affermazione finale della grande parodia controiniziatica. Prendere consapevolezza che dietro fenomeni mediatici apparentemente distanti, o comunque non direttamente legati fra di loro, come quello rappresentato dal segno reso famoso dal primo ministro inglese W.C., all’ispirazione fornita ai rivoltosi del web dal film V per Vendetta, e alla non meno “tempestiva” scelta del movimento di Beppe Grillo (o chi per lui!) di evidenziare anche nel simbolo la V del Vaffa day, non può non far nascere qualche legittimo sospetto sulla ricorrenza e riproposizione del medesimo “marchio”.
Di fatto, le rivoluzioni moderne e sovversive tendono a sostituire e rimpiazzare classi, categorie e settori dello Stato, con altrettanto parziali componenti ed entità “schierate”; quando lo Stato tradizionale ha piuttosto l’obbligo, la missione e il compito di non tralasciare nessuna parte della società governata, prendendosi a cuore le sorti e i destini di ogni singolo elemento, la cui vita proteggere e organizzare al meglio. Ma questa missione può essere svolta solo all’interno dell’Impero: unico modello politico in grado di riprodurre e realizzare in Terra l’Ordine e l’Armonia del Cielo. In quest’ottica, Evola ha potuto celebrare «l’imperatore ghibellino mai morto, che dorme di un sonno secolare e che attende che “i tempi siano giunti” per ridestarsi e per combattere, alla testa di coloro che non lo hanno dimenticato e che ancora gli sono fedeli, l’ultima battaglia». In un’ottica simile è chiaro che “l’impossibilità ad intervenire” tramite azioni di tipo attivistico e politico non esclude l’impiego delle energie per la ricerca, in sé e attorno a sé, di «un ordinamento superiore», onde farsi strumento consapevole dei disegni provvidenziali, mantenendosi in piedi in un mondo che crolla, e decidendo, non a parole, ma nei fatti, quale posto s’intende occupare nello scontro finale; per essere esempio e trasmettere alle generazioni future, verso le quali lega un obbligo a cui non ci si può sottrarre, i Principi e gli Orientamenti tradizionali.
Dando delle indicazioni per la formazione delle giovani generazioni, proprio ne L’arco e la clava Evola ribadisce che «dimostrare oggi anche con l’azione una “presenza” sarà sempre utile», (se non altro come testimonianza e verifica di se stessi), senza però trascurare la ricerca di una via spirituale e delle relative dottrine che le competono, la sola in grado di illuminare l’azione stessa e per la quale egli prospetta alcuni “compiti preliminari”: «In primo luogo, ci si può dedicare ad un ordine di studi riguardanti la visione generale della vita e del mondo che di quelle dottrine è la naturale controparte, ai fini di una formazione mentale nuova che corrobori, in base a qualcosa di positivo, il “no” detto a tutto ciò che oggi esiste, e ai fini dell’eliminazione di intossicazioni molteplici e profonde dovute alla cultura moderna. La seconda fase, il secondo compito, sarebbe di oltrepassare il piano soltanto intellettuale, rendendo “organico” un dato insieme di idee, facendo sì che esso determini un orientamento esistenziale fondamentale e susciti con ciò stesso il senso di una inalienabile, incrollabile sicurezza». (7)
La carica “eversiva” del messaggio di Evola consiste tutta nella sua intransigenza e nella sua volontà di non scendere mai a patti con gli squallidi rappresentanti del pensiero dominante: linea mantenuta coerentemente per l’intera sua esistenza. Tributargli omaggi formali non serve a niente, contando solamente la capacità di seguirne l’esempio ed emularne la dirittura e l’integrità. Accostarsi alla sua Opera senza trarne degli orientamenti esistenziali concreti e senza apportare alcun mutamento nella propria stessa condotta giornaliera (perseguendo «il coraggio, la lealtà, la non tortuosità, la ripugnanza per la menzogna, l’incapacità di tradire, la superiorità ad ogni meschino egoismo e ad ogni basso interesse») vuol dire disinnescarne le potenzialità deflagranti, omologandone il pensiero in senso accademico e culturale. Quel tipo di cultura sterile e inutile, dominio di intellettuali vanesi frivoli e petulanti (la “stupidità intelligente” ricordata prima), che può ritrovarsi nel celebre quadro di Magritte in cui è raffigurata una pipa accompagnata dalla scritta «Ceci n’est pas une pipe». Perché se lo fosse la si potrebbe fumare, così come se quella cultura fosse autentica Conoscenza la si potrebbe vivere. Ma per alcuni “specialisti evoliani”, purtroppo, conta di più una tesi di laurea dedicata a Evola, piuttosto che l’influenza positiva che la sua Opera potrebbe esercitare su un giovane lettore, a cui aprire nuovi orizzonti e nuove prospettive esistenziali. Costoro sono ossessionati dalla “ghettizzazione” subita dal pensiero evoliano, come se a Evola fosse mai importato del riconoscimento da parte degli eruditi; mostrando alla fin fine che quella che li preoccupa veramente è la loro di ghettizzazione, rimanendo costoro sempre a metà del guado, fra mondo moderno e mondo della Tradizione.
Fra gli scritti evoliani di carattere contingente che tuttavia conservano un’immutata — se non, addirittura, accresciuta — attualità, in considerazione degli sviluppi ultimi delle ramificazioni del potere mondiale, sotto l’insegna della Setta Capitalista (l’unica setta rimasta ad operare dietro le quinte della storia, coi suoi tentacoli penetrati in ogni singolo aspetto della società contemporanea, in ragione del suo strapotere economico), vi sono quelli dedicati alla “guerra occulta”; ai quali bisognerà necessariamente aggiungere gli originali contributi evoliani sul tema della razza; che andrebbero ripresi in mano e studiati attentamente, anche alla luce dei recenti fenomeni migratori che hanno cambiato volto alle nostre città. Razza che, d’altronde, non può essere ignorata nel momento in cui si analizzato i sommovimenti e gli scontri etnici oggi in atto nell’area mediorientale; specialmente per quanto riguarda la componente “ariana” di paesi come l’Iran sciita e l’Afghanistan guerriero rispetto all’essenza semita di paesi come l’Arabia Saudita. Argomenti nei confronti dei quali gli intellettuali cui si alludeva prima si comportano alla stessa stregua di quelle famiglie in cui è presente un parente handicappato, che viene regolarmente rinchiuso in un’ala isolata della casa ogni qualvolta si ricevano visite, perché ci si vergogna di mostrarlo in pubblico. Per costoro, per esempio, non è il caso di ricordare la relazione indicata da Evola fra cultura moderna e animo ebraico, riscontrabile nel razionalismo, nell’illuminismo, nello scientismo, nel positivismo, nel marxismo, nella psicanalisi, nell’esperanto, nella letteratura erotica e sociale, nella cinematografia e nei suoi divi e le sue stelle. Non sta bene pestare certi piedi! Piuttosto, si da alle stampe una discutibile nuova edizione de La crisi del mondo moderno di René Guénon, dove le potenzialità del testo vengono affogate in un guazzabuglio di note a margine e di inutili cornici e contorni, atti a neutralizzarne l’essenzialità del contenuto.
Come diceva “un altro”, che pur sapendo leggere e scrivere non può certo essere preso a modello, risultando un perfetto prototipo dell’uomo sfuggente e dello stupido intelligente: «Se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare»; per cui non bisogna sorprendersi più di tanto per la vigliaccheria dei tanti, che si guardano bene dal disturbare veramente il potere costituito, distributore di prebende e vitalizi. Questo Cerbero che «con tre gole caninamente latra», simbolo «delle passioni egotiche che dominano la terrestrità dell’uomo» (8), e quindi fedele servitore della Controtradizione, — la cui catena è, tuttavia, misurata e il cui dominio è limitato a uno spazio preventivamente fissato nel “giardino” del Padre —, e al cui nutrimento e servizio si dedica supinamente l’intera umanità (versando ognuno un obolo quotidiano per qualsiasi atto e gesto della propria vita: cibo e vestiario, abitazione e tempo libero, trasporti e comunicazioni, intrattenimenti e informazione), quella per lo meno che gli si getta stoltamente nelle grinfie, subendone il richiamo e la malia. Tutte le tradizioni avevano comunque previsto un simile esito per la fase finale del ciclo, e proprio in chiusura di Rivolta contro il mondo moderno Evola inserisce una breve Appendice “Sull’«Età Oscura»”, dove riporta brani del Vishnu-purâna che tracciano il profilo e indicano i caratteri dei tempi ultimi, che risultano di una sorprendente attualità.
Un analogo significato, del resto, è possibile attribuire al Decameron del Boccaccio (la cui interpretazione simbolica è stata brillantemente trattata da Claudio Mutti sulle pagine di un vecchio numero di Heliodromos); opera concepita all’interno di un contesto ancora tradizionale qual è stato quello dell’Europa medievale, dove si narra di «una onesta brigata di sette donne e di tre giovani» che, per sfuggire a un’epidemia di peste che flagellò Firenze nel 1348, suscitando esasperati egoismi e cieco e ottuso spirito di conservazione, si ritirano in un luogo ameno dove trascorrono giornate ritmate dalla narrazione di racconti esemplari, dal contenuto altamente simbolico e iniziatico, resistendo così al morbo e approfittando dell’occasione per coltivare la propria crescita interiore, trasformando quella circostanza luttuosa in un processo catartico di purificazione e di elevazione spirituale.
Sulla stessa scia, potrà risultare utile e chiarificatore un brano conclusivo tratto dai Discorsi Lunghi del Buddha dove, dopo aver mostrato il processo di decadenza in stretta correlazione con le condizioni umane e con le vicende esistenziali che ne derivano, nell’ordine morale e in quello sociale, man mano che i re vanno perdendo il loro effettivo contatto con il sacro, viene mostrata una possibile “via di salvezza” per una minoranza capace di sottrarsi al contagio generale e in grado di tornare a instaurare, grazie al sacrificio e alla rinuncia agli agi e alle comodità della vita moderna, riducendo i bisogni al minimo e puntando all’essenzialità dell’esistenza (9), un sano rapporto di fraternità spirituale e di convivenza comunitaria: «Agli uomini la cui durata della vita sarà di 10 anni verrà l’era della spada, di sette giorni, e costoro riceveranno coscienza l’un contro l’altro belluina, e sul capo di costoro appariranno pungenti spade, e costoro: “Costui è una belva; costui è una belva” l’un l’altro toglieranno la vita. Allora, ad alcuni tra questi esseri così sarà: “Noi non dobbiamo essere in tali condizioni, tale condizione non deve essere di noi; e se noi ora, ritirati nella giungla, nella selva, nel bosco, tra inguadabili fiumi, su impervi monti ci nutrissimo di radici e frutti selvaggi?”. E costoro rifugiati nella giungla, nella selva, nel bosco, tra inguadabili fiumi, su impervi monti si nutriranno di radici e frutti selvaggi. E costoro, per quell’era di sette giorni, dimorando nella giungla, nella foresta, nel bosco, tra inguadabili fiumi, su impervi monti l’un l’altro abbracciandosi ove si troveranno, si ripeteranno confortandosi: “Finalmente, o amico, vivi in pace. Finalmente, o amico, vivi in pace”».
Note
(1) J. Evola, Il Cammino del Cinabro, Scheiwiller, Milano 1972, p. 9. Merita a tal proposito di essere ricordata Una diffida di Evola, apparsa sulla rivista “Ordine Nuovo” (n. 4, Dicembre 1971), in cui lo stesso Evola scrive: «Sembra che in alcuni ambienti i miei scritti, e perfino i miei libri, siano considerati come proprietà di nessuno, poiché senza scrupoli, senza né avvertire né chiedere una qualche autorizzazione, se ne curano e diffondono varie stampe; cosa persino legalmente perseguibile. Posso riconoscere le buone intenzioni che, in genere, stanno alla base di tali iniziative; ma non posso non deplorarle nel modo più energico, avvertendo che al loro ripetersi in qualsiasi forma prenderò precise misure tutelative. Bisognerebbe tener presente che io ho a disposizione diverse case editrici per la stampa o la ristampa regolare dei miei scritti, per cui le accennate iniziative quasi “alla macchia” sono superflue e dannose. D’altra parte si deve lasciare a me il diritto di stabilire quali dei miei scritti è opportuno ristampare o no, oppure ristampare solo con una adeguata rielaborazione, invece di prendersi un simile diritto e disporne a beneplacito: il che, fra l’altro, contrasta con il rispetto e con la correttezza che gli accennati ambienti o le accennate persone dovrebbero ben avere per colui al quale d’altra parte tributano una considerazione particolare. Voglio augurarmi che di questa mia protesta si tenga debitamente conto perché, lo ripeto, il rinnovarsi di simili abusi costringerà me o i miei editori a prendere spiacevoli provvedimenti, anche in sede legale».
(2) Ibid.
(3) Cfr. il nostro scritto: Guido De Giorgio e il ritorno allo spirito tradizionale, nel numero doppio (n. 20-21 Equinozio d’autunno – Solstizio d’inverno 2008) di Heliodromos, “Speciale De Giorgio”.
(4) Panorama dello spiritualismo italiano, La Torre n. 8, 15 maggio 1930; Critica della psicanalisi, La Torre n. 9, 1 giugno 1930; Critica della teosofia, La Torre n. 10, 15 giugno 1930.
(5) J. Evola, L’arco e la clava, Scheiwiller, Milano 1968, p. 14.
(6) R. Giorgetti, Propaganda Nera. Guerra psicologica inglese contro le forze dell’Asse, Marvia Edizioni, Pavia 2012.
(7) J. Evola, L’arco e la clava, cit., Capitolo XVI: La gioventù, i beats e gli anarchici di destra, pp. 224-225.
(8) Parole di A. Scali, curatore del “commento ai primi sei canti della Divina Commedia” di Guido De Giorgio, testo in corso di stampa; dove, a proposito di Cerbero, De Giorgio scrive: « In un senso più ristretto Cerbero è la forza terrestre che attende colui che vuol superare la terra: difesa naturale che s’oppone a una vittoria allorquando l’uomo, che è un decaduto, vuole riprendere la sua dignità e conquistarla».
(9) Tagliando quindi i “viveri” proprio al Cerbero prima ricordato: unica scelta vincente, in totale contrasto con gli accorgimenti e gli stratagemmi “materiali” dei costruttori di rifugi antiatomici o dei Testimoni di Geova che, a quanto pare, sono indaffarati ad approntare depositi segreti in cui stoccare tonnellate di viveri e di carta igienica (!): a dimostrazione della percezione grossolana e antimetafisica che tutti costoro hanno