Una delle sequenze più suggestive della versione cinematografica de Il Signore degli Anelli del regista Peter Jackson è quella in cui, nel terzo episodio finale, vengono accesi i fuochi di segnalazione per richiedere il soccorso degli alleati Rohirrim a Minas Tirith. Collocati in appositi posti di guardia su delle alture visibili in lontananza, questi fuochi venivano usati in caso di pericolo o allarme al fine di consentire la trasmissione dei segnali da un punto all’altro; vegliati giorno e notte da apposite guarnigioni composte di una decina di uomini, essi consistevano in alte pire di legno appositamente predisposte, mantenute in continua efficienza e irrorate con olio infiammabile, sostituendo man mano i tronchi che andavano marcendo.
Anche se la rappresentazione cinematografico si discosta dal testo originale di Tolkien, che vi accenna brevemente nel capitolo iniziale (“Minas Tirith”) del terzo volume Il ritorno del re, quando fa dire a Gandalf: «Su, Ombromanto! Dobbiamo affrettarci. Il tempo è breve. Guarda! Gondor ha acceso i suoi fuochi e invoca aiuto. La guerra è scoppiata. Vedo fuochi su Amon Dîn e fiamme ad Eilenach; e lì ad occidente vedo Nardol, Erelas, Min-Rimmon, Calenhad e l’Halifirien alle frontiere di Rohan»; per poi concludere «Da molto tempo non venivano accesi i fuochi del nord […], nei tempi che furono Gondor non ne aveva bisogno, poiché possedeva le Sette Pietre»; tuttavia la scelta del regista non manca d’efficacia, caricando l’episodio — a conferma che la magia delle parole e l’arte dell’immagine possono veicolare temi e argomenti di grande valore — di simbolici significati, che possono essere facilmente applicabili ad ogni periodo di crisi e alle relative risposte da parte degli uomini, facendo infine esclamare a Gandalf: «La speranza divampa!»
La trasmissione del messaggio tramite le fiamme (da una vetta all’altra) è resa possibile nella sua immediatezza e puntualità dalla fedele dedizione degli uomini delle guarnigioni che montano di guardia, attenti a non trascurare alcun minimo dettaglio, senza nemmeno sapere se il loro intervento verrà mai richiesto, attenendosi scrupolosamente alla consegna loro affidata. Uomini pii che giorno dopo giorno e notte dopo notte hanno come unico scopo del loro servizio (verrebbe da dire: “della loro militanza”) unicamente quello di innescare, all’occorrenza, quelle fiamme e illuminare le tenebre che minacciano di voler ricoprire tutto quanto c’è ancora di buono di bello e di giusto in questo mondo.
Che questo atto di presenza e tale messaggio di speranza vengano affidati all’elemento fuoco non è casuale. Infatti, essendo il fuoco per sua natura caldo secco e leggero, si oppone per la propria qualità intrinseca a tutto ciò che è freddo umido e pesante, sublimando così tutto ciò che è attivo e luminoso — cioè lo Spirito, di cui è sinonimo simbolo e rappresentazione per la sua costanza e il suo splendore — in grado di esercitare un intervento salvifico e trasmutativo perfino sull’immobile ottusità e la spessa oscurità delle potenze malefiche; perché il fuoco, pur essendo occulto e invisibile al pari dello Spirito, nel momento in cui si manifesta e appare esercita la sua concreta azione trasformatrice sulla materia attraverso la quale si rivela, trasmettendosi per contatto e tendendo sempre a salire verso l’alto, aderendo e rappresentando al meglio gli elevatissimi culti. Inoltre, esso produce e distrugge al contempo, avendo la capacità di ottenere effetti appropriati e consoni rispetto ad ognuno dei soggetti a cui si comunica e su cui esercita il suo potere: agevola i fautori del bene, stronca i servitori del male.
Proprio per questo motivi il fuoco è sempre stato associato, presso tutte le civiltà guidate dal sacro, ai misteri celesti ai santi riti e alle cerimonie religiose; vegliandone la fiamma e assicurandone la continuità, ogni volta che il simbolo esterno va a coincidere con quello interno del Sé nell’ardente cuore di ognuno dei devoti e dei celebranti.
Buon 21 Aprile a tutti i camerati e fratelli, la cui fedeltà è più forte del fuoco.