Un’immagine della contro-iniziazione
Il termine contro-iniziazione, così come elaborato da René Guénon, pur avendo in sé tutta la precisione di una definizione chiara e univoca, reca sempre una componente di incertezza e inafferrabilità dovuta soprattutto alla lontananza dal soggetto, alla difficoltà di potersi concretamente figurare cosa possa nella realtà essere ciò che le parole definiscono.
La contro-iniziazione è da intendersi come una “iniziazione deviata e snaturata” (1) che si pone nei confronti di questa come “una ombra invertita” (2) tentando di costituirsi come potere alternativo, opposto a quello regolare, come una sorta di nuova autorità spirituale in grado di orientare gli eventi e le scelte umane. Tale autoproclamata volontà, non potendosi basare su autentiche influenze spirituali, deve però limitare la propria azione al solo campo psichico, operando in quell’ambito che è illusorio e labile per sua stessa natura – il cosiddetto mondo intermedio – ma che proprio per questo è il più adatto a prestarsi a operazioni di inganno e manipolazione. La contro-iniziazione non è però un puro nulla privo di consistenza, ma una realtà che per quanto illusoria si basa comunque su poteri e capacità effettive, che spesso oltrepassano la comune comprensione scientifica per sfociare nel grande e incerto mare di quella che viene chiamata magia. Rispetto alle pseudo-iniziazioni, che sono vuote e senza possibilità realizzative, la contro-iniziazione è invece pratica, e opera in maniera concreta per ottenere risultati concreti. La sua azione è variegata ma può ricondursi sempre alla manipolazione degli elementi di ordine sottile dell’individualità umana. La fascinatio, il praestigium, la persuasione più o meno occulta sono le sue pratiche più comuni, secondo leggi e modalità anche in contrasto con quelle sostenute pubblicamente e con procedimenti che difficilmente potrebbero essere considerati “scientifici”, in aperto contrasto con il materialismo imperante. Le tecniche sono molteplici ma tutte invariabilmente legate, confinate potremmo dire, nel vasto ma limitato campo dello psichismo.
La difficoltà di comprendere compiutamente quanto finora esposto è dovuta, oltre alla poca familiarità con questi concetti, anche alla mancanza di esempi concreti in grado di fornire un’immagine sintetica e chiarificatrice. Se da un lato infatti gli esempi storici sono quasi assenti o pesantemente alterati da mille filtri, censure e incertezze, quelli letterari possono essere fin troppo inquinati da fantasie e capricci di autori che spesso ignorando determinate realtà inseriscono nelle loro opere soprattutto elementi di seconda mano o mere creazioni dell’immaginazione.
Resoconti di persone competenti che “sanno” e parlano con cognizione di causa sono perciò piuttosto rari, frammentari, limitati da ovvie ragioni di opportunità, discrezione o dalla difficoltà di riuscire a farsi comprendere senza rivelare troppo.
Non fidandoci della cinematografia e della letteratura più recente, forse in alcuni casi veritiere ma sempre e comunque controllatissime, riteniamo che i migliori esempi si possano ritrovare in testi del passato che, avendo il pregio di essere ormai dimenticati, sono meno soggetti alla manipolazione. Un autentico e chiaro esempio lo si potrà ritrovare in un’opera scritta verso la fine del 700, in piena rivoluzione, da un autore d’eccezione: Louis-Claude de Saint-Martin. Il celebre mistico ci regala un’opera – intitolata Le Crocodile – assai bizzarra, dai connotati fantastici ma fortemente simbolici, che sotto la forma di un’epopea avventurosa cela molte informazioni di carattere esoterico. Per quello che riguarda il nostro discorso vi è un episodio particolare che costituisce proprio l’esempio che stiamo cercando.
Nel corso dell’avventura il protagonista, Ourdeck, si ritrova nella città di Atalanta, sprofondata negli abissi della terra secoli prima a causa di un cataclisma. La città è comunque intatta, e i suoi abitanti sono come congelati nelle loro ultime occupazioni. Dopo una lunga e variegata esplorazione giunge nel Tempio della Verità, al cui interno sta tenendo un discorso un uomo le cui parole, visibili nell’aria, sono tra le più sagge e edificanti che siano mai state pronunciate. Ma nel suo cuore si vede dell’altro, parole di valore completamente diverso, empie e blasfeme, che rappresentano il vero significato della sua predica. Queste parole formano come una doppia corrente che ha nel cuore dell’oratore sia un punto di arrivo che di partenza. Seguendo questa lunga corrente di parole Ourdeck esce dal Tempio e, incamminandosi per le strade della città, giunge fino a un edificio – situato in Rue des singes, via delle scimmie – sulla cui porta campeggia la scritta “Lo Ierofante”. Disceso negli oscuri sotterranei dell’edificio si ritrova in un grande spiazzo di forma pentagonale al centro del quale c’è un tavolo pentagonale di ferro. Riunite intorno al tavolo quattordici persone, gli assistenti del mago, formano una catena, mentre in un angolo della sala vi è un seggio vuoto, anch’esso con il nome dello Ierofante, che costituisce sia il termine sia la fonte della corrente di parole. Da questo seggio si diparte un’altra corrente che giunge alla bocca di ciascuno dei quattordici assistenti, per poi ritornare al seggio e chiudere il circuito. In modo tale che, conclude il narratore, lo Ierofante viene ad essere “l’anima delle loro parole” mentre loro costituiscono “i suoi organi e strumenti” (3).
Al centro della tavola vi è una specie di lanterna di carta, trasparente, anch’essa pentagonale e al centro della lanterna una pietra scura ma lucente, che mostra a ogni assistente parole e frasi, che sono poi le stesse che si trovavano nel cuore dello ierofante. Davanti al suo seggio si trova un altro tavolo di ferro, su cui vi sono due scimmie di ferro, legate al tavolo con catene, e davanti a loro un grosso libro anch’esso di ferro, ma comunque ben leggibile in ogni sua parte.
“Vi lessi chiaramente – riferisce il protagonista – i trattati dei differenti emissari dei dottori occulti con i potenti della Terra, e le orribili condizioni con cui consegnavano loro le nazioni di questo mondo”… “Lessi che tutte queste operazioni avevano come scopo di annientare l’ordine delle cose, e di stabilire al suo posto un ordine fasullo che non fosse che una falsa immagine della verità.”
L’obiettivo è volto allo sconvolgimento dell’ordine, e in seguito all’instaurazione di una nuova legge fondamentale che avrebbe ridotto “tutti i regni della natura e dello spirito a un solo regno, tutte le sostanze, elementari e spirituali, a una sola sostanza; tutte le azioni visibili o nascoste a una sola azione; tutte le qualità, buone o cattive, viventi o morte, a una sola qualità”. E questo solo regno, questa sola sostanza, sola azione, sola proprietà avrebbe dovuto risiedere in quel capo dell’assemblea, in quello ierofante che avrebbe presto lanciato nel mondo quella dottrina, esigendo come ricompensa gli onori dell’apoteosi e della divinizzazione.
Tutti i simbolismi espressi richiamano a un’operatività effettiva e reale, anche se oscura e rovesciata, contraria a qualsiasi valore di carattere spirituale.
Evidenziamo gli elementi simbolici più importanti (4) che nel racconto mostrano il valore autenticamente sovversivo e infero delle volontà che, con determinazione e conoscenza, guidano le operazioni descritte.
Il cerchio dei maghi neri, comandato dallo Ierofante, agisce per diffondere, proiettare nel mondo le nefande influenze che serviranno a corrompere la società. Questo in maniera dissimulata con le parole buone e sagge che nascondono il loro vero significato dissolutore. L’azione esteriore deve avvenire necessariamente in pubblico, ma quella più importante e efficace si svolge in segreto, in oscuri e nascosti sotterranei lontani da ogni sguardo indiscreto. Viene formata una vera catena magica, avente come fine la vitalizzazione dei concetti espressi dallo ierofante, come una sorta di pila – di cui gli assistenti costituiscono il polo negativo – che riuscirà a dare a queste idee una forza tale da permettere loro di imporsi.
In tutto l’ambiente domina il ferro, chiaro richiamo all’epoca che si sta attraversando, l’era oscura, l’età del ferro esiodea, nella quale violenza e malvagità dominano incontrastate e le forze distruttrici, tifoniane, trovano la loro migliore espressione.
La forma pentagonale è sempre presente, anche se non come simbolo del microcosmo umano, ma nella sua forma invertita di pentacolo diabolico, rappresentazione dell’infraumano, dell’animalità, della larvalità, delle possibilità più basse della natura umana. Al centro della sala c’è una “pietra sacra”, un betilo, che funge da axis mundi per quel consesso, pietra nera risplendente di una luce falsa, morta, spettrale, perfetto punto di riferimento e ispirazione per quel genere di persone e di magia. Rilevante è anche il simbolismo della scimmia, fin troppo evidente nella sua chiarezza: la scimmia imita l’uomo, mentre Satana è la scimmia di Dio. Contraffazione, imitazione caratterizzano tutto quell’ambiente blasfemo, che però non imita per irridere o polemizzare ma (e questo è più grave) per sostituire, imporsi come nuova realtà, forse nemmeno rendendosi conto di essere solo una falsificazione.
Ma tale situazione è per sua stessa natura ambigua e instabile; il disordine, la disarmonia hanno un’esistenza labile e contraddittoria, che concretamente si manifesta con la litigiosità e il disaccordo dei vari centri contro-iniziatici. Centri che, ricordiamolo, non fanno capo ad alcun vero principio e pertanto sono sottoposti ai più svariati sommovimenti e alla caoticità tipica di tali stati. Situazione di cui Saint-Martin era ben a conoscenza e che viene rappresentata con l’immagine forte, che costituisce anche il finale dell’episodio, delle due scimmie di ferro che prendendo vita, slegandosi e moltiplicandosi generano un’orda caotica che divora i maghi neri, lo Ierofante e poi anche se stessa, chiara rappresentazione di come il male, per la sua stessa carica distruttiva, dopo essersi diffuso ovunque, non può che giungere al culmine della sua azione tramite un annientamento di cui esso stesso è causa e vittima finale.
Renzo Giorgetti
[1] R. Guénon, Initiation et contre-initiation, in Le Voile d’Isis, n.158, Parigi, febbraio 1933, pp.3-8.
2 Discorso ampiamente sviluppato nei capitoli 36 e 38 del Règne de la Quantité et les Signes des Temps.
3 L.-C. de Saint-Martin, Le Crocodile ou la guerre du bien et du mal arrivée sous le règne de Louis XV – poème épiquo-magique en 102 chants, Parigi, Imprimerie du Cercle social, 1798, pp.364 sgg.
4 Un’analisi più completa fu compiuta da Stanislas de Guaita nel suo La Clef de la Magie Noire, Parigi, Carrè, 1897, pp.385