Lo storico Jules Michelet, nel rievocare il momento-simbolo della Rivoluzione francese, lo descrive in questi termini:
«L’attacco alla Bastiglia non fu per niente ragionevole. Fu un atto di fede.
Nessuno propose nulla, ma tutti credettero e agirono. Lungo le vie, i ponti, la folla gridava alla folla: “Alla Bastiglia! Alla Bastiglia!”, e nel suono delle campane a martello tutti sentivano “alla Bastiglia!”. Nessuno, ripeto, diede un ordine.» (1)
Egli, sia pure attraverso il filtro del suo genio romantico e visionario (e sebbene l’episodio in sé non sia avvenuto proprio in quella maniera) (2) ha ben illustrato la natura e l’atteggiamento mentale di una massa in rivolta; ne ha infatti delineato alcune caratteristiche fondamentali, tipiche e immutabili: l’influenzabilità, la suscettibilità, la permeabilità ad ogni influenza, così come del resto la particolare propensione per le reazioni istintive e viscerali, suscitate da istanze di carattere puramente sentimentale.
Il meccanismo della sua azione è in sé simile a quello di un contagio: una parola d’ordine si diffonde da persona a persona, infiammando con il suo contenuto emotivo le menti di chi la riceve, e spingendo singoli e distinti individui ad un’aggregazione, ad un’associazione momentanea tesa al raggiungimento del comune obiettivo. Che tali atti possano condurre a risultati diversi da quanto voluto nello slancio iniziale, non viene minimamente considerato, la meta immediata occupando totalmente la capacità riflessiva dei partecipanti. Raggiunto l’obiettivo la situazione si placa e tutto torna alla quiete, e nuove possibilità e realtà possono formarsi nel vuoto di potere venutosi a creare. Come già notato da Pierre Gaxotte, un tumulto e una rivoluzione sono due realtà estremamente differenti, non solo negli esiti, ma anche forze che le hanno preparate, operando nella loro genesi e nel loro sviluppo. Gli studi di Augustin Cochin, inoltre, hanno già messo in evidenza come ogni rivoluzione, intesa come mutamento degli assetti istituzionali del potere, necessiti sempre di un lungo e intenso lavorìo preliminare, volto alla preparazione degli uomini più adatti alla conduzione del movimento, all’organizzazione e alla gestione dei suoi obiettivi, delle sue parole d’ordine e di tutto quell’insieme di convinzioni, suggestioni e conformità più o meno imposte che costituirà l’impalpabile ma concreta realtà della “meccanica”.
Personalmente non crediamo alla spontaneità di certi movimenti che, come sorti dal nulla, invocano il cambiamento in nome di vaghi o non ben precisati principi, e riteniamo pertanto utile ricordare in queste brevi note, dapprima le differenze tra una autentica rivolta spontanea ed un movimento di contestazione più o meno organizzato, ed in seguito come non sempre chi agisca in prima persona sia un vero protagonista e possa invece essere mosso anche inconsapevolmente da forze non direttamente individuabili.
Consideriamo dapprima una rivolta spontanea. Essa è sempre qualcosa di improvviso, violento, irrazionale, ha di solito un singolo scopo, ben definito e semplice; esplica la propria azione in maniera chiara, diretta, fondamentalmente distruttiva. Come un’ondata si scatena sull’oggetto del suo odio, lo investe, lo travolge senza riguardo per poi ritirarsi infine, come una risacca, dopo che tutte le energie sono state esaurite. Le forze più elementari trovano qui il loro campo d’azione: nuclei più o meno piccoli si riuniscono per concorrere al risultato finale, esercitando una spinta irresistibile, una forza che a stento si potrebbe riconoscere come semplice somma delle forze parziali. L’irrazionalità gioca un ruolo fondamentale, contribuendo ad amplificare e a diffondere lo stato d’animo più propizio all’azione, che naturalmente esclude qualsiasi tipo di progettualità e di previsione riguardanti tutto ciò che vada oltre la più vicina immediatezza. Il substrato primario ed elementare del demos si rivela in questo modo, muovendo ma soprattutto venendo mosso, oggetto di una forza esplosiva da sé generata ma in sé senza controllo.
Viceversa quando abbiamo a che fare con movimenti popolari più complessi, che fanno di un’istanza propositiva più o meno elaborata la propria caratteristica peculiare, la situazione muta, entrando in gioco in maniera inequivocabile un elemento di leadership, di guida, pianificazione. A livello embrionale oppure complesso tale elemento esiste sempre e porta con sé, sviluppate secondo la stessa misura, strutture di coordinamento e di comando che rispondono a criteri di razionalità ed efficienza. Sono necessari a tale riguardo, secondo l’appropriata gradualità, degli obiettivi di medio o lungo termine, dei programmi ed una organizzazione di fondo capace di fare rispettare le tappe per la loro esecuzione; sono necessarie altresì una logistica, un coordinamento generale, una struttura dotata di una capacità ordinatrice e realizzatrice in grado di frenare e liberare le forze a seconda delle necessità del momento. Che questa struttura si crei prima dello sviluppo dell’azione risulta evidente, essendo – almeno nei casi in questione – il momento progettuale sempre precedente a quello realizzativo. Rappresentata da poche persone o da gruppi più numerosi o potenti, la sua presenza è comunque certa, così come la sua effettiva capacità direttiva. Da questo punto di vista però la situazione è più complessa, riguardando quella che in ultima analisi potremmo definire l’autentica origine dell’agitazione. Fermo restando la presenza di una direzione materiale sul campo può tuttavia essere incerta e più sfumata la sua eventuale fonte primaria, il suo centro propulsore, il vero “motore immobile” della situazione. E qui subentrano considerazioni che esulano da una comune analisi psicologica o sociale e che riguardano ambiti decisamente meno materiali ma non per questo privi di effetti e significati concreti. La suggestionabilità delle masse, la loro impressionabilità e particolare ricettività nei confronti di idee e stati d’animo fornisce a riguardo un valido punto d’appoggio: tale plasticità infatti, che si tramuta in una mutevolezza che si potrebbe definire fluida o lunare è sicuramente una caratteristica che può essere validamente sfruttata da chi abbia, nei suoi confronti, la giusta capacità di intervento.
L’atto di creare opportune suggestioni o gli stati d’animo più appropriati non è di per sé operazione alla portata di tutti e può effettivamente divenire operativa solo tramite un grande dispiegamento di mezzi di persuasione e comunicazione o tramite un lavorio di lunga durata e su vasta scala. È anche possibile naturalmente sapere sfruttare uno stato d’animo già presente e veicolarlo infine verso lo scopo prefissato, incanalando, per così dire, correnti esistenti ma che fluiscono in direzioni differenti.
Dopo molti anni le considerazioni migliori rimangono a questo riguardo quelle di René Guénon, messe per iscritto nel suo celebre articolo a proposito del “potere occulto”:
«È incontestabile, anche se alcuni si dichiarano incapaci di comprenderlo, che la mentalità degli individui e delle collettività può essere modificata da un insieme sistematico di suggestioni appropriate; in fondo, la stessa istruzione non è altra cosa che questo, e non vi è in ciò alcun “occultismo” … Questo potere di suggestione non è dovuto, tutto sommato, che allo sviluppo di certe facoltà speciali; quando esso si applica solo al dominio sociale e si esercita sull’“opinione”, è soprattutto questione di psicologia: uno “stato d’animo” determinato richiede delle condizioni favorevoli per stabilirsi e bisogna sapere, o approfittare di queste condizioni se esse esistono già, o provocarne da sé stessi la realizzazione.» (3)
Chi è in grado di imprimere sul blocco plastico della folla l’impronta desiderata, sarà anche in grado di poterne modificare le opinioni e le azioni secondo una vasta gamma di possibilità, ma soprattutto, tramite le opportune mediazioni, a riuscirci senza mai apparire direttamente e senza venire coinvolto nei processi in atto, evitando così tutti i rischi ad essi legati. Naturalmente tali suggestioni producono un effetto solo in un ambiente preparato a riceverle, e sono quindi tanto più efficaci quanto più riescono a cogliere il più autentico ed effettivo “sentire popolare”.
Le finalità possono essere le più disparate e seguire i più diversi orientamenti, anche se si inseriscono tutte nell’ottica più generale della gestione del potere e, a nostro avviso, nell’epoca attuale per proporre soluzioni fittizie ad un gioco ormai irrimediabilmente logorato.
Una società di massa infatti, quale può essere quella che caratterizza la cosiddetta “era delle folle” (Le Bon), implica problemi di gestione e direzione differenti da quelli delle epoche precedenti. Il sorgere delle masse come attrici degli eventi storici ha reso la loro presenza un elemento imprescindibile da qualsiasi valutazione delle dinamiche del potere e dell’esercizio della sovranità. Il loro ruolo, attivo o passivo, è comunque fondamentale per chiunque abbia accesso alle leve del potere, ed è quindi fondamentale anche la loro opportuna conduzione e gestione. Il democratismo è da questo punto di vista uno strumento efficace affinché tale gestione possa avvenire nella maniera più discreta possibile, diminuendo inoltre le inevitabili tensioni tramite un’apparente partecipazione del maggior numero di persone al processo decisionale. Ma un tale sistema, essendo fondamentalmente illusorio ed artificioso – raramente l’esito del voto produce cambiamenti realmente decisivi – mostra prima o poi tutti i propri limiti e necessita quindi di riassestamenti tramite scosse più o meno violente, che permettano l’instaurarsi di nuove situazioni di equilibrio, a loro volta eventuali fasi iniziali di ulteriori sintesi future. Da questo punto di vista l’utilizzo della stessa forza d’urto della massa e della sua volontà rinnovatrice potrà essere utile al fine di operare proprio tutta una serie di cambiamenti che saranno – superfluo puntualizzare – diversi da quelli auspicati ai livelli più bassi. Chi sappia manovrare una tale forza d’urto potrà infatti, come chi adopera dell’esplosivo, liberare una grande quantità di energia solo con un piccolo innesco, ottenendo di conseguenza esiti di sicura efficacia. Gli esempi storici non mancano e, oltre a fornire valide riprove di quanto affermato sinora, ci ricordano inoltre come la dinamica del potere, oggi più che mai, una volta privata di ogni principio di sacralità trascendente, rimane bruta ed inesorabile nella sua struttura, sempre cieca e vincolata negli stretti legami della materia, in balia di tutte le forze più elementari e caotiche che ne costituiscono la più intima sostanza.
Renzo Giorgetti
J. Michelet, Histoire de la Révolution française, J. Rouff, Parigi, 1869, vol.I, p.57.
2 Sulla “spontaneità premeditata” di quel fatidico episodio, tutt’altro che espressione della volontà popolare, si veda l’utile e interessante messa a punto di J.-P. e I. Brancourt, Le 14 juillet 1789: spontanéité avec préméditation, in Le livre noir de la Révolution française, Éditions du Cerf, Parigi, 2008, pp.21-51.
3 Réflexions à propos du “Pouvoir Occulte”, in “La France Antimaçonnique”, n. 24, 1914, pp.277-280, trad. it. in La Tradizione e le tradizioni – scritti 1910-1938, Mediterranee, Roma, 2003, p.50.