C’era una volta — in un paese mica tanto lontano — un Porco, con tanto di setole sul grugno e gli occhi porcini, al quale nemmeno le ragazze porche avevano mai rivolto la minima attenzione. Egli, come ogni porco che si rispetti (si fa per dire!), era assillato dalla scadenza imminente della sua esistenza, essendo a tutti noto che i maiali normalmente non sopravvivevano a due Natali di seguito. Ma questo Porco, essendosi venuto a trovare al posto giusto nel momento giusto, decise di approfittare dell’occasione per volgere a suo vantaggio la situazione. Egli, infatti, al tempo degli avvenimenti qui narrati ricopriva una carica politica nel Palazzo di Città e, memore del dominio della sua razza durante il governo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Suine, era fermamente intenzionato a scovare il modo per riaffermare l’egemonia politica e culturale della sua fazione, perpetuandone la permanenza al potere; anche a costo di ricorrere — secondo le usanze della sua parte politica — ai peggiori sotterfugi e ai più efferati crimini pur di garantirsi il comando più a lungo possibile.
Tale opportunità gli venne offerta dal furbo venditore di una pozione magica, interessato a somministrare il suo malefico intruglio a tutti gli abitanti del Paese, in vista di lauti guadagni e a discapito della salute della popolazione stessa. Questi, prospettando al Porco un sostanzioso tornaconto economico e la permanenza illimitata al potere, lo convinse facilmente ad appoggiare i suoi loschi piani. Si trattava solo di fare in modo che la gente aderisse volontariamente alla somministrazione del siero, che avveniva tramite una semplice iniezione nel braccio. Bastò diffondere la voce che un’epidemia mortale aveva cominciato a colpire la popolazione, attribuendogli ogni singolo decesso e raffreddore; grazie anche ai remunerati servizi e alle bugie del Cerusico: un pallone gonfiato, facilmente corruttibile in quanto dotato di poca scienza e di nessuna coscienza.
Il Porco cercò di sorreggere il suo emaciato, fiacco e sofferente aspetto con l’ausilio di degni compari dotati di maggior grinta e cattiveria; finendo per coinvolgere un Nano malefico, noto per il perverso gusto di fare il male: attività in cui metteva la massima diligenza e riversava ogni risorsa ed energia, con sorprendente puntiglio ed instancabile perseveranza. Questo suo insano modo di stare al mondo gli derivava dall’odio profondo che egli aveva sviluppato fin da piccolo (!) verso gli altri esseri umani, la gente alta in particolare, che lo aveva sempre mortificato per il semplice fatto di esistere; per cui non perdeva occasione di vessare e maltrattare chiunque gli fosse sottoposto e gli capitasse a portata di… braccino. Egli risultava essere a tutti gli effetti, secondo il teorema enunciato dal famoso e autorevole dottor Faber, “una carogna di sicuro”. E da tale si comportava in ogni circostanza: con le sue parole, coi suoi pensieri e con le sue azioni.
Per completare la masnada, venne offerto il posto di Borgomastro ad un autorevole Serpente, ammanicato con le massime progenie di rettili, detentrici del potere del denaro e legate fra di loro da saldi vincoli delinquenziali. Questi, a differenza degli altri due, non era mosso dall’odio e dal risentimento; né tanto meno da un interesse politico, non dovendo egli render conto a nessuno del suo operato, tanto meno agli elettori. Si potrebbe piuttosto affermare che si trattava non solo di un “vile affarista” ma anche e soprattutto di un santone maligno.
Questa cricca così bene assortita, per estorcere alle persone il consenso a farsi inoculare la portentosa pozione cominciarono a spargere il terrore con false informazioni e a ricorrere a progressivi e sempre più stringenti ricatti, per piegare gli indecisi. All’inizio li rinchiusero in casa, proibendo ogni spostamento e contatto umano; poi concessero (benevolmente!) minime aperture, con vincoli assurdi e incomprensibili ai più; a tutti, in ogni caso, venne imposto un segno visibile di riconoscimento da esibire, a testimonianza della loro sottomissione; arrivando infine ad istituire un salvacondotto, senza il quale non sarebbe stato più possibile sopravvivere né svolgere alcuna attività. All’inizio qualcuno provò a resistere, ma durò poco, essendo diventati, nel frattempo, gli altri concittadini, parenti, amici e colleghi di lavoro i primi controllori e censori dell’operato altrui.
Tutti i vincoli di solidarietà e gli stessi affetti familiari, i rapporti di sano cameratismo e naturale comunanza, e perfino la condivisione e l’appartenenza religiosa (in virtù del tradimento del suo ruolo e della sua funzione da parte del Parroco), sparirono dall’oggi al domani; diffondendosi dappertutto l’inimicizia, l’avversione, l’ostilità, la diffidenza, l’indifferenza e l’egoismo. La gente rinunciò a vivere per paura di morire, in seguito al martellamento quotidiano di notizie tragiche, di numeri impressionanti e di provvedimenti drastici, comunicati puntualmente dal Banditore. Egli percorreva regolarmente le strade del Paese, scandendo la sua monotona litania:
“Sentite, sentite, sentite: ieri ci sono stanti tot morti”;
“sentite, sentite, sentite: a decorrere da domani, sarà vietato fare questo o fare quello”;
“sentite, sentite, sentite: a decorrere da subito, è obbligatorio…”;
“sentite, sentite, sentite: i non sottoposti al trattamento attentano alla vostra incolumità e sono i vostri peggiori nemici”;
e via di questo passo, incessantemente e ossessivamente.
A vegliare sull’osservanza delle regole c’erano poi i Gendarmi (“con i pennacchi e con le armi!”); qualora il controllo reciproco dei cittadini fosse risultato insufficiente o poco efficace. I quali Gendarmi applicavano con uno zelo, uno scrupolo e un impegno mai profusi prima nei confronti dei normali delinquenti e dei comuni malfattori le norme draconiane partorite dal Palazzo; sollecitati e pressati in questo comodo ruolo dal loro Comandante: un frustrato succube della moglie che lo aveva fatto sempre stare con due piedi in una scarpa; al quale non pareva vero di poter finalmente rendere la vita altrettanto impossibile e intollerabile a qualcuno su cui esercitare il suo miserabile potere repressivo.
Alla fine, l’unico che non si era sottomesso alle inique imposizioni risultò essere un Cacciatore che viveva al limitare del bosco, che di tanto in tanto si recava in Paese per acquistare lo stretto necessario e per incontrare i vecchi amici, coi quali scambiare due parole, bere un bicchiere e fare una partita a carte. Avendo egli la fortuna di non essere costretto ad ascoltare i terroristici proclami del servizievole Banditore, riusciva ancora a pensare con la sua testa; grazie anche all’esistenza solitaria e ritirata in mezzo alla natura incontaminata che conduceva. Certo, le avevano provate tutte per piegarlo e renderlo docile e ubbidiente, ma non c’era stato verso. L’istinto gli diceva che quell’insistenza e quella smania di somministrare a tutti il siero non nascondeva nulla di buono; e quanto più aumentavano le pressioni esterne, tanto più si accentuavano la sua diffidenza e la sua sfiducia. E, lo si sa, quando si perde la fiducia nell’altro ci si mette sulla difensiva, ed ogni sua mossa viene giustamente percepita come una minaccia e un’intollerabile intromissione nella propria sfera personale.
Perfino i vecchi amici di una volta gli voltarono le spalle e cambiavano strada quando lo incrociavano; giustificandosi col fatto che sarebbe stato meglio attendere la fine dell’emergenza prima di ritornare alle vecchie abitudini e ai vecchi affetti. Come se fosse possibile sospendere temporaneamente i moti del cuore e i parti della mente! Alla fine si ritrovò da solo col suo fedele cane, nutrendosi dei prodotti del suo orto e delle prede cui tendeva i suoi impeccabili ma leali agguati. Costretto a rinunciare al piacere di un bicchiere di vino bevuto in compagnia, alla distensione di una fumata, ed alla confortevole compagnia femminile, dedicò sempre più tempo ed energia al lavoro su se stesso ed alle meditazioni sul significato della sua esistenza.
Intanto, quelli che erano diventati i suoi acerrimi nemici si scervellavano per rimuovere lo scandalo da lui rappresentato: un pericoloso esempio ed una fonte di scomode domande. Quello che teneva maggiormente alla sua normalizzazione era però il Serpente, il quale sapeva che nessuno delle vittime del filtro magico avrebbe mai potuto fare alcun male né tanto meno uccidere lui e gli altri esseri striscianti. Il Porco e il Nano malefico sostenevano che bisognava puntare sulla propaganda e la repressione, continuando ad usare il Banditore, il Cerusico e i Gendarmi. Ma il Serpente era invece convinto che i loro più sicuri e affidabili alleati non erano coloro che venivano mossi dall’interesse personale, pronti a vendersi al migliore offerente e a cambiare facilmente padrone, ma quelli che ci credevano veramente; essendo un combattente volontario più motivato di qualunque mercenario.
E fu proprio uno di quelli che ci credevano che, mosso dall’odio, ebbe la felice pensata di andare ad ammazzargli il cane. La gratuita crudeltà del gesto rappresentò la goccia che fece traboccare il vaso; per cui il Cacciatore, deciso a farla finita con quella tragica sceneggiata, trovò il modo di tendere un agguato direttamente al Serpente. Il quale, vistoselo davanti, dopo le iniziali minacce e gli infruttuosi tentativi di chiedere aiuto, si rese conto di trovarsi in balia dell’unico abitante del Paese in grado di fargli del male. Preso dal panico, provò a cambiare strategia e riavvolgendosi su se stesso in un angolo gli sibilò:
“Se mi risparmi e lasci andare ti restituirò la tua vita di prima e la libertà, e aggiungerò tanti di quei soldi da farti nuotare nell’oro per il resto dei tuoi giorni”.
Al che, rispose serio e determinato il Cacciatore:
“Coi soldi si comprano gli schiavi. La vita è già mia e solo lo Spirito ne può disporre. Quello che tu mi puoi restituire sono solo i miei vizi e le mie debolezze, che mi sono già lasciato alle spalle, anche grazie ai tuoi soprusi e alle tue imposizioni. E poi la libertà, non dipende dalle costrizioni esterne ma dall’annullamento interno di ogni ostacolo e di ogni divisione”.
Quindi, con le sue grosse scarpe da contadino gli schiacciò la testa, perché è così che si uccidono i serpenti.
Fu come se il malefico incantesimo svanisse in quello stesso momento, perché tutti gli abitanti del Paese ritornarono miracolosamente in se stessi; vergognandosi, tuttavia, per come si erano ridotti, per le cose che avevano detto e per le azioni che avevano compiuto.
Il Porco, com’era giusto che fosse, venne immediatamente trasformato in salami e salsicce; mentre il Nano malefico venne fatto rotolare a calci nel sedere per tutto il Corso principale, fino a costringerlo in casa, dove trascorse il resto della sua miserabile esistenza in una perenne e penosa quarantena. E per quanto riguarda tutti gli altri volenterosi collaboratori di quella tirannia, vennero banditi e si trascinarono per sempre ai margini del paese, poveri e pazzi.