Conta solo la visione del mondo
Recentemente in Italia si è tornato a parlare di cultura, anzi di “egemonia culturale”, in seguito al mutato quadro politico dovuto all’affermazione elettorale della “patriota” Giorgia Meloni. Pur restando immutato (e come poteva essere altrimenti!) il quadro delle alleanze e degli asservimenti internazionali, delle politiche economiche e dei rapporti con la cricca brussellese, nonché la gestione delle emergenze sanitaria e immigratoria, la destra al governo ha provato a spostare qualche soprammobile e cambiare qualche poster alle pareti del locale ricevuto in eredità. Piccoli contentini insignificanti, che solo la scomposta ma funzionale reazione da parte dei precedenti inquilini – nel ruolo dei compari del truffatore delle fiere di paese! – ha fatto sembrare scossoni eversivi. Quando si tratterebbe, se si volesse veramente fare sul serio, di compiere una vera e propria ristrutturazione dell’edificio ricostruendolo dalle fondamenta, per un cambiamento radicale delle nostre società.
Addirittura, il neoministro Sangiuliano si è spinto a rivendicare una diretta filiazione della mercanzia di cui si occupa da Dante Alighieri presentato come capostipite della cultura di destra. Fornendo in tal modo il fianco a coloro che hanno avuto buon gioco nel ridicolizzare tale avventata affermazione, non essendo possibile – a rigor di logica – applicare categorie proprie della decadenza occidentale come quelle di “destra” e “sinistra”, risalenti alla Rivoluzione francese, a un fenomeno saldamente ancorato nel sacro e precedente di diversi secoli il nulla attuale. Per non parlare dell’impossibilità “fisica” di costringere una realtà immensa, qual è l’Opera di Dante, in un contenitore minuscolo e striminzito: il più non può stare nel meno, e semmai è compito del meno cercare di adeguarsi al più. Ma in un simile gioco di prestigio Sangiuliano è stato in buona (!) compagnia, visto l’uso strumentale che si è voluto fare anche di Alessandro Manzoni da parte del massimo vertice istituzionale in occasione della Festa della Repubblica, mettendo nella penna del cantore della Provvidenza, apportatrice di senso e ordine nella storia umana, e della famiglia consacrata e naturale, cose che questi non si è mai sognato di pensare; coi “bravi” dell’intelligencija progressista a fare il coro e ribadire la sciocchezza.
Per cui, cercando di non rimanere intrappolati nelle sabbie mobili di un dibattito dove più ci si agita e più si va a fondo, sarà opportuno chiarire cosa si debba intendere col termine “cultura”, e soprattutto con la specifica di “destra”. Si tratta forse della destra atlantista, che si contrappone alla sinistra, altrettanto atlantista, allo stesso modo in cui si contrappongono il “poliziotto buono” e il “poliziotto cattivo” nei telefilm e nelle barzellette? Se già nella topografia parlamentare serve un notevole sforzo di fantasia per individuare differenze e contrapposizioni fra gli opposti schieramenti, figuriamoci nell’impalpabile ambito culturale e nel regno delle idee! Sono forse da considerare di destra, e dunque a noi vicini (secondo quest’equivoca attribuzione), certe figure di intellettuali atei borghesi e conservatori, critici senza principi, il cui ideale di società ha coinciso col più sfrenato e piratesco americanismo consumistico, dotati dal punto di vista letterario e organizzativo ma moderni fino al midollo, come – un nome per tutti – Giuseppe Prezzolini (tanto caro al ministro Sangiuliano); o studiosi affetti dal peggior razionalismo ideologico e profano, rivestito di un’accademica mitologia pagana residuale, che già tanta parte ebbero nel fenomeno della “nuova destra”? Per non dire della diffusa e sospetta acquiescenza verso l’entità sionista che, essendo fondata sull’etnia e la razza – loro se lo possono permettere! – occupa la Palestina, con la pretesa di decidere chi è patriota e chi è terrorista, e la cui disumana ferocia dovrebbe già far sorgere qualche dubbio sulla sua legittimità e il suo diritto. Per non voler sondare certi risvolti escatologici che ne fanno un’autentica mina innescata in una zona cruciale, geopoliticamente e spiritualmente, per i destini ultimi del mondo.
Continuare a dichiararsi di destra o di sinistra oggi vuol dire cedere ad un’autolesionistica mutilazione, precludendosi la lettura di autori a cui, in base all’accecamento ideologico, si fa indossare la divisa sbagliata. Secondo Ortega y Gasset, «dirsi di destra o di sinistra significa scegliere fra due maniere che si offrono all’uomo per essere imbecille: entrambe infatti sono forme di semiparalisi mentale». Per cui, se proprio si deve scegliere una direzione, più che a destra o a manca, si tratterà di guardare al “sopra”, verso l’alto e la trascendenza, in contrapposizione col basso e l’infraumano. E basterebbe solo dare un’occhiata al catalogo Adelphi per rendersi conto che nemmeno in ambito editoriale è oramai possibile ricorrere alle schematiche attribuzioni di un tempo, quando l’egemonia culturale del PCI togliattiano faceva chiudere e cancellare intere collane dell’Einaudi, colpevoli di concedere spazio all’«oppio dei popoli» e agli studi sul simbolismo religioso.
Sul piano concreto, simili limitazioni sono state brillantemente superate da un autore a noi caro come Antonio Medrano, che nelle sue opere ha liberamente citato i più svariati studiosi e pensatori senza mai chieder loro la tessera di partito, standogli a cuore solo la vera cultura e l’autentica conoscenza (la cultura integrale e la Sapienza universale), con la loro grande ricchezza e in tutte le loro sfumature. Gli ideali e i fini (anche politici!) superiori dovrebbero, di fatto, essere l’unico metro di giudizio per misurare la validità o meno di una determinata scelta culturale che, risultando organica ed impersonale, potrebbe veramente configurarsi come una svolta rivoluzionaria rispetto all’attuale pantano intellettuale, dove attecchiscono solo le male piante del “politicamente corretto” e della “cultura della cancellazione”: indigeribile narrazione affidata a squallide figure di ottusi censori o di servi sciocchi e senza dignità, facendo violenza alla grammatica e tentando di piegare per decreto legge quanto di più libero sia mai esistito come il linguaggio umano.
In realtà, mischiare politica e cultura non sempre produce buoni frutti, perché quando il pensiero viene asservito alla contingenza politica ed alla brama di potere non è possibile evitare l’approssimazione e il formalismo, privilegiando il governare (ad ogni costo!) alla saldezza dottrinaria, e anteponendo la propaganda ad ogni libertà espressiva, quando lo slogan e il riflesso condizionato prendono il posto del testo sacro e dell’intuizione intellettuale. Se la cultura assolvesse pienamente al suo significato etimologico (“coltivare”, “crescere”, “istruire”), essa contribuirebbe a creare un clima, una tensione spirituale, una potenzialità attiva e una capacità combattiva e organizzatrice tali da vincere e superare ogni ostacolo contingente e materiale.
D’altra parte, non si può fare a meno di rilevare una vera e propria involuzione (alla faccia del progresso!) nelle categorie della creatività artistica, che sembrano aver fortemente risentito del contesto storico e di civiltà in cui si sono manifestate; come per esempio con la scandalosa constatazione che sotto il Fascismo si produssero opere letterarie e artistiche di un valore tale di cui non v’è più stata traccia nell’Italia del dopoguerra. Al pari dei “secoli bui” del Medioevo, in cui vennero raggiunti vertici architettonici, dal contenuto oggettivo e trascendente, al cui confronto i moderni “scatoloni” bancari e commerciali fuggono in precipitosa ritirata. Sarà colpa dell’entropia e della degradazione dell’energia, ma fatto sta che la tendenza sembra continuamente orientata verso il basso e il peggioramento.
Ma, in realtà, a peggiorare e a degradarsi è solo l’uomo, nel suo continuo allontanamento dal Principio, per cui tutto quello a cui egli mette mano non può che risentire del suo stato interiore, del suo ridotto rango spirituale, della sua incapacità a superarsi ed elevarsi. E non sarà certo l’opera dei chiacchieroni e degli scribacchini che infestano i salotti culturali e televisivi a poter offrire un contributo positivo alla formazione spirituale e caratteriale delle persone. È dunque legittimo aspettarsi e pretendere, per un serio e credibile intervento sul piano delle idee, un radicale e risoluto rifiuto dei tanti dogmi moderni, a cominciare dalla deriva scientista, evidenziandone l’asservimento agli interessi del potere politico e della rapacità finanziaria degli attuali “Padroni del Discorso”. Una visione chiara e trasparente della realtà, infatti, non può prescindere dalla capacità di leggere in profondità e oltre la facciata gli avvenimenti storici, consapevoli che nel regno della menzogna e della falsità quasi mai le cose stanno così come ci vengono mostrate. Senza tuttavia scadere in certe esagerazioni complottiste, che possono diventare patologiche e sintomo di accecamento intellettuale.
Affinché un vero risveglio possa avvenire, lungi dagli odierni allucinati del wokismo anglosassone, e che può comunque riguardare solo una minoranza e mai le grandi masse, è indispensabile che all’interno delle coscienze dei pochi vocati all’impresa si vada a depositare la polvere d’oro di una corretta e consapevole visione del mondo, una fede e un istinto innati e spontanei, una forma interna proveniente dalla Sapienza universale e raffinata col cesello del lavoro interiore, dove l’armonia e l’ordine tornino a regolare il pensiero e l’azione di quanti operano sul fronte dello Spirito. Un lascito prezioso in grado di svolgere un ruolo attivo, per squarciare le tenebre dell’ignoranza che oscurano il nostro tempo, verso un naturale modo di sentire da parte delle anime centrate nell’aristocrazia del carattere.