Sabato 17 gennaio 2015 si è tenuto a Roma il convegno “René Guénon Testimone della Tradizione”, organizzato da Heliodromos e Raido, che ha visto la partecipazione di un vasto, attento e selezionato pubblico, nonché la presenza di qualificati relatori. Pubblichiamo qui di seguito la “traccia” dell’intervento del nostro collaboratore Enzo Iurato, rimandando al numero doppio “Speciale Guénon” della nostra rivista, per ulteriori approfondimenti e conoscenza degli altri contributi.
Vanità della cultura profana – I parte
Un numero speciale di Heliodromos e un parallelo Convegno dedicati alla figura di René Guénon, erano stati da tempo pensati e progettati da Gaetano Alì, fondatore e guida del Gruppo di Heliodromos. E Gaetano sarebbe sicuramente stata la persona più indicata per motivare e spiegare il significato dell’iniziativa, se non fosse venuto a mancare tre anni fa.
Noi possiamo solo provare a immaginare con quali parole avrebbe rappresentato il percorso che ha condotto tutti quanti noi, prima all’accostamento discreto all’Opera di Guénon, per poi giungere all’accoglimento totale e convinto dell’immenso patrimonio dottrinario e di conoscenze da lui trasmessoci così magistralmente.
La formazione e provenienza politica di Gaetano, non poteva certamente prescindere dal fondamentale ruolo svolto da Julius Evola, quale espositore e divulgatore degli ideali tradizionali che, a partire dalla sterzata rappresentata per lui dall’incontro con Guido De Giorgio, accolse la visione totalizzante della Tradizione espressa da René Guénon. Abbiamo avuto modo di descrivere e documentare questo processo di “raddrizzamento” di Evola sul numero speciale di Heliodromos dedicato a De Giorgio, cui rimandiamo. Col senno di poi e a conti fatti, possiamo tranquillamente affermare che uno dei meriti maggiori di Evola rimane proprio quello di aver diffuso e fatto conoscere, nell’ambiente particolare e fortemente caratterizzato in senso politico cui si rivolgeva, proprio l’Opera di René Guénon.
Gaetano aveva fortemente voluto la traduzione e la pubblicazione da parte della nostra casa editrice Il Cinabro, già nel 1993, del libro di Jean Robin: René Guénon Testimone della Tradizione, probabilmente la migliore fra le opere a lui dedicate. Ma sempre per Il Cinabro, nel 1990, accompagnato da una dotta introduzione di Silvano Panunzio, era già uscito un testo apparentemente minore di Guénon, quel breve studio dedicato a San Bernardo (1), «adatto a dissipare certi pregiudizi cari allo spirito moderno», che sembra discostarsi dalla rimanente opera guénoniana, apparendo quasi come una ricostruzione “giornalistica” delle vicende relative al santo di Clairvaux.
Guénon parla di San Bernardo come di «un mistico che prova solo disdegno per ciò che egli chiama “le arguzie di Platone e le finezze di Aristotele”, che ciò nonostante trionfa senza fatica sui più sottili dialettici del suo tempo; dimostrando «che esistono per risolvere i problemi di ordine intellettuale e anche di ordine pratico, dei mezzi completamente diversi da quelli che da troppo tempo si è abituati a considerare come i soli efficaci, indubbiamente perché essi sono i soli alla portata di una saggezza puramente umana che non è neppure l’ombra della vera sapienza». Un rifiuto anticipato del razionalismo e del pragmatismo, di là da venire, che induce Guénon giustamente a chiedersi: «In verità quali insegnamenti potrebbero essere, per i tempi correnti, più utili di quelli di San Bernardo?».
L’appartenenza dei genitori di Bernardo all’alta nobiltà della Borgogna, spiegherebbero «l’ardore talvolta bellicoso del suo zelo, o la violenza che lui metteva più volte nelle polemiche nelle quali fu trascinato», evidenziandone i rapporti con le istituzioni e gli ideali cavallereschi. E quando intorno ai venti anni di età concepì il progetto di ritirarsi dal mondo, la sua forza di persuasione fu tale da far condividere la sua scelta a tutti coloro che lo circondavano, parenti e amici, manifestandosi in lui «l’azione della grazia divina che, penetrando in qualche modo in tutta la sua persona di apostolo e irraggiandosi al di fuori per la sua sovrabbondanza, si comunicava attraverso lui, come per un canale».
Fondata l’abbazia di Clairvaux, che in breve si estese e sviluppò in maniera prodigiosa, Bernardo mise nella sua amministrazione la massima cura, «regolando egli stesso fin i più minuziosi dettagli della vita corrente», dimostrando che «il senso pratico può benissimo allearsi, a volte, con la più alta spiritualità». Davanti a lui si aprì un ben vasto campo di azione, «malgrado la sua indole personale», visto che «nulla gli pesava più dell’essere obbligato ad uscire dal suo chiostro per immischiarsi negli affari del mondo esterno, dal quale aveva creduto potersi isolare per sempre, per dedicarsi interamente all’ascesi e alla contemplazione senza che niente venisse a distrarlo da ciò che era ai suoi occhi, secondo la parola evangelica, “la sola cosa necessaria”».
Se gli organi di senso sono delle finestre aperte verso l’esterno, che ci consentono di conoscere la verità e nutrire il nostro spirito, quando vengono rettamente indirizzati e saldamente guidati e padroneggiati; il risultato che si propongono tutta una serie di esperienze cui ci espone il mondo è proprio quello di “distrarci” dall’obiettivo principale e disperderci nella vanità del superfluo. A questo pericolo hanno da sempre provato a reagire le varie tecniche realizzative utilizzate all’interno di ogni tradizione ortodossa, al fine di regolare e limitare il flusso delle impressioni false e fuorvianti, sviluppando e accrescendo la Concentrazione. Accrescere la concentrazione continuando a spendersi nel mondo, e intervenire sulla realtà per indirizzarla rettamente, è un’impresa che solo poche grandi figure possono affrontare efficacemente, e Bernardo è sicuramente stato uno di questi.
A lode sua e dell’epoca in cui visse, da semplice monaco, grazie all’irraggiamento delle sue virtù eminenti, divenne il centro dell’Europa e della Cristianità, «l’arbitro incontrastato di tutti i conflitti, in cui era in gioco l’interesse pubblico, tanto di ordine politico che di ordine religioso, il giudice dei maestri più considerati della filosofia e della teologia, il restauratore della unità della Chiesa, il mediatore fra il Papato e l’Impero, e poteva infine vedere delle armate di centinaia di migliaia di uomini levarsi alla sua predicazione!»
La sua intensa attività politica ebbe sempre il solo scopo di «difendere la legge, combattere l’ingiustizia e forse, soprattutto, mantenere l’unità all’interno del mondo cristiano. (…) Sembra che egli abbia avuto sempre presente nel suo pensiero questa frase del Vangelo: “che essi siano uno, come mio Padre ed io lo siamo”.» Ma la sua lotta non si limitò solamente al campo politico ma anche a quello intellettuale, portando alla condanna di Abelardo, che «per i suoi insegnamenti e per i suoi scritti, si era guadagnato la reputazione di abilissimo dialettico; abusava addirittura della dialettica poiché, invece di vederla come è realmente, cioè un semplice mezzo per giungere alla conoscenza della verità, la vedeva quasi come fine a se stessa»; sfociando in una sorta di verbalismo e di «una ricerca dell’originalità che lo avvicinava un po’ ai filosofi moderni, e in un’epoca in cui l’individualismo era qualcosa di pressoché sconosciuto». Un difetto che allora non poteva passare per una qualità, come ai giorni nostri, stabilendo una vera e propria confusione tra il dominio della ragione e quello della fede. Certo, non si sono avuti razionalisti prima di Cartesio, ma Abelardo «di fatto non seppe operare una distinzione tra ciò che dipende dalla ragione e ciò che le è superiore, tra la filosofia profana e la sapienza sacra, tra il sapere puramente umano e la conoscenza trascendente, e qui è la radice di tutti i suoi errori».
Fondamentale fu, infine, il ruolo di San Bernardo nella costituzione dell’Ordine del Tempio, la cui regola contribuì a redigere e delineare, commentandola in seguito «nel trattato De laude novae militiae, in cui espose con magnifica eloquenza la missione e l’ideale della cavalleria cristiana, di quella che lui chiama “la milizia di Dio”». Contatti con i Templari che «costituiscono senza dubbio la ragione per la quale Dante ha scelto Bernardo come sua guida negli ultimi cieli del Paradiso».
La chiamata dei vari principi cristiani alla crociata da parte di Bernardo, compito assolto con «uno zelo infaticabile», aveva fra le sue ragioni più profonde «quella di mantenere nella Cristianità una viva coscienza della sua unità», coincidendo allora la Cristianità con l’intera civiltà occidentale, fondata su basi essenzialmente tradizionali. La perdita di questo suo carattere tradizionale, condusse alla rottura dell’unità (di quella che fu chiamata l’Ecumene medievale); scissione «che fu compiuta in campo religioso dalla Riforma», e «in campo politico dal sorgere delle nazionalità, preceduta dalla distruzione del regime feudale; e possiamo dire, secondo questo ultimo punto di vista, che colui che portò i primi colpi all’edificio grandioso della Cristianità medievale fu Filippo il Bello, lo stesso che, per una coincidenza che non ha niente di fortuito, distrusse l’Ordine del Tempio, colpendo in questo modo direttamente l’opera stessa di San Bernardo».
Nei trattati di San Bernardo emerge, accanto ad un autentico sdegno manifestato «per tutti i mezzi esteriori e sensibili come la pompa delle cerimonie e gli ornamenti delle chiese» (considerando egli l’utilità delle forme esclusivamente come mezzo di educazione per i semplici e gli imperfetti), un posto di rilievo per l’Amore, legato allo stato estatico che il suo misticismo sicuramente comportò; senza che ciò sia in alcun modo in contrasto con i principi della vera intellettualità, da lui posseduti. Se egli «volle sempre rimanere estraneo alle vane sottigliezze della scolastica, è perché non aveva alcun bisogno dei laboriosi artifici della dialettica; risolveva in un sol colpo le più ardue questioni perché non procedeva per una lunga serie di operazioni discorsive; quello che i filosofi si sforzano di ottenere per una via contorta e come a tentoni, lui otteneva immediatamente per quella intuizione intellettuale senza la quale nessuna metafisica reale è possibile, e al di fuori della quale non è possibile afferrare che un’ombra della verità».
In linea con questa sua attitudine, fu il particolare culto tributato alla Santa Vergine, a cui diede il nome di “Notre Dame”, diffusosi e affermatosi definitivamente dopo la sua morte. «Divenuto monaco, restò per sempre cavaliere come lo erano tutti quelli della sua stirpe; e per questo possiamo dire che era in un certo senso predestinato a svolgere, come lo fece in tante circostanze, la parte di intermediario, di conciliatore e di arbitro fra il potere religioso e quello politico, poiché c’era nella sua persona come una partecipazione alla natura dell’uno e dell’altro».
Una figura esemplare e particolarmente attuale, dunque, per tutta una serie di motivi e condizioni personali, riassumibili in:
– una natura particolarmente combattiva e una qualificazione spirituale innata;
– un accentuato senso pratico, associato al possesso dei principi della vera intellettualità;
– l’essere stato scelto come canale per la Grazia divina, beneficiando delle corrispondenti influenze spirituali.
Condizioni, com’è facilmente intuibile, indispensabili in ogni tempo e periodo, per poter svolgere un ruolo attivo e foriero di risultati positivi al servizio della Tradizione.
Continua…