Lo scorso 12 Maggio si è svolto a Brescia il convegno dal titolo “Julius Evola, René Guénon. Incontro o scontro?”, organizzato dal Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza. L’evento, cui RigenerAzione Evola ha ufficialmente aderito e partecipato, ha visto la partecipazione di relatori di alto livello quali Claudio Mutti (Eurasia), Enzo Iurato (Heliodromos), Paolo Rada (rappresentante del Centro Studi “Dimore della Sapienza”), ed Enrico Galoppini (scrittore). Concludiamo la pubblicazione dei testi integrali degli interventi che hanno animato il convegno, con la relazione finale di Enzo Iurato, che ha chiarito alcuni aspetti discordanti che ruotano attorno alle figure dei due maestri.
“Da Evola a Guénon: andata e ritorno“
di Enzo Iurato
Quando si giunge a Guénon attraverso Evola, provenendo da esperienze di tipo politico — in cui l’autore de Gli uomini e le rovine ha avuto un ruolo fondamentale nel contribuire a enucleare un ambiente qualificato (per quel livello di intervento), totalmente libero dalla vulgata democratica e umanitaristica, oramai sintetizzata sotto l’etichetta del “politicamente corretto” —, ci si mette un po’ a comprenderne la provvidenziale funzione svolta per l’Occidente attuale, anche per colpa delle pastoie ideologiche e delle contrapposizioni oltranzistiche proprie dell’attivismo militante. Ma una volta che si comincia a penetrare e comprendere la portata di quell’Opera, può anche succedere che affiori quasi un sentimento di delusione e di distacco dagli scritti evoliani: apparendo questi come parziali e relativi rispetto alla maestosa completezza dei testi di Guénon. È una reazione che ci può anche stare ma che risulta superficiale e rischia di gettare in un colpo solo tutto il lavoro e l’impegno evoliano, teso ad integrare e approfondire gli innumerevoli spunti offerti dalla dottrina tradizionale nei suoi principi e nelle sue applicazioni pratiche, posta a confronto con le problematiche realtà del mondo moderno.
Il rapporto fra Evola e Guénon è possibile analizzarlo da tre diversi punti di vista, cominciando innanzitutto dai loro contatti diretti (che furono sempre e solo epistolari, non essendosi i due mai incontrati personalmente); dove va detto che esso si mantenne sempre entro i limiti di un cordiale e rispettoso riconoscimento da parte dell’uno delle posizioni dell’altro. I disaccordi su alcuni punti non secondari e le critiche reciproche, improntate sempre comunque ad un clima cordiale e comprensivo senza atteggiamenti negativamente ostili e conflittuali, dimostrano che ci troviamo di fronte a due uomini che camminano nella stessa direzione ed appartengono allo stesso “schieramento”: ammesso e non concesso che si possa attribuire a Guénon qualche tipo di appartenenza!
Il disaccordo principale lo si può riportare fondamentalmente alla preminenza dell’autorità spirituale sul potere temporale, da cui derivano tutte le altre contestazioni di Evola che, rimanendo all’Occidente, rimandano direttamente agli scontri medioevali fra Impero e Papato, già esaminati a suo tempo da Dante con illuminata dottrina e conoscenza. A tal proposito risulta evidentemente determinante il punto di vista da cui si parte, dove la dottrina tradizionale delle differenti nature umane (i gunas indù che determinano la divisione per caste) assegna ai guerrieri il compito di provvedere a governare l’asse orizzontale, attingendo però necessariamente alle influenze spirituali trasmesse dall’asse verticale degli stati superiori dell’essere, tramite la funzione sacerdotale. Guénon considera la dottrina nella sua imperitura stabilità normativa, Evola è alla ricerca di una sua applicazione pratica all’interno dell’epoca di decadenza, in cui un intervento “di forza” sembra essere l’unico possibile e risolutivo. Altro nodo irrisolto rimane quello relativo alla “regolarità iniziatica” pretesa da Guénon e contestata da Evola, per quella che gli è sembrata una eccessiva “burocratizzazione” attribuita alla ricerca spirituale. Sulle ragioni del primo e sui dubbi del secondo torneremo in chiusura del nostro intervento.
Lasciando però da parte temi così alti, ma rimanendo alla corrispondenza di Guénon ad Evola (l’unica disponibile, mancandoci le missive spedite da Evola, sicuramente conservate dai suoi eredi, come del resto tutto il rimanente epistolario indirizzato a Guénon), ci sono alcuni punti di disaccordo secondari su cui ci siamo trovati a parteggiare per Evola. Uno di questi è quello riguardante il giudizio espresso sullo scrittore Gustav Meyrink, la cui lettura aveva lasciato a Guénon «un’impressione veramente sinistra», per i suoi contatti con la scuola di Bô Yin Râ, considerato probabilmente a ragione da Guénon un elemento controiniziatico. A noi sembra che invece i romanzi di Meyrink siano abbastanza piacevoli, provocando essi delle emozioni positive e assecondando la ricerca interiore, se solo ci si limita a coglierne l’orientamento esistenziale al di là delle costruzioni occultistiche delle vicende narrate. Argomento, del resto, altrettanto valido ai nostri giorni per quanto riguarda la produzione musicale di un Franco Battiato, dalle radici ugualmente “pestilenziali” (dal punto di vista guénoniano!), in ragione dei suoi collegamenti con la scuola di Gurdjieff; così come per i libri di Carlos Castaneda e il suo apprendistato presso i discendenti della tradizione tolteca.
La seconda prospettiva da cui è possibile analizzare il rapporto di Evola e Guénon è quella relativa al tramite costituito da Guido De Giorgio (che dopo l’iniziale “intermediazione” di Arturo Reghini divenne il punto di riferimento fondamentale di questa relazione, non sempre facile), il quale mediò fra i due, grazie alla stima nutrita nei suoi confronti da Guénon e in virtù del riconoscimento del suo spessore spirituale e della sua coerenza esistenziale da parte di Evola, venutosi a trovare in una posizione di “soggezione” (didatticamente fondamentale) che favorì l’efficacia degli interventi rettificatori concordati fra Guénon e De Giorgio.
Questo ruolo di De Giorgio ebbe il suo culmine nella creazione della rivista La Torre (esperienza che andrebbe rivalutata e riconsiderata, molto più di quanto non si sia fatto finora, pensando anche ad una sua eventuale ristampa), di cui egli fu l’ispiratore e l’animatore principale, che, non solo chiuse la precedente esperienza del Gruppo di Ur, pesantemente criticata da De Giorgio e Guénon, ma orientò definitivamente Evola verso quello che, da lì in avanti, gli sarebbe riuscito meglio: analizzare gli aspetti problematici delle varie manifestazioni del mondo moderno, alla luce della dottrina tradizionale.
Già dal primo numero della rivista, nel suo scritto “Carta d’identità”, Evola precisa che: «La nostra rivista è sorta (…) per difendere dei principi che per noi sarebbero assolutamente gli stessi sia che ci trovassimo in regime fascista, sia che ci trovassimo in regime comunista, anarchico o repubblicano. Ciò a cui tali principi possono dar luogo se trasposti in piano politico (col quale, in se stessi, non hanno nulla a che fare), è un ordine di differenziazione qualitativa, quindi di gerarchia, quindi di impero nel senso più vasto: tanto più che tutto ciò che è eroismo e dignità guerriera nella nostra concezione non saprebbe che essere giustificato da un punto di vista superiore»; concludendo che «è la politica che deve esser condizionata dalla spiritualità e dalla cultura, se non si vuole ridurre la prima a cosa piccola, empirica e contingente».
A queste posizioni intransigenti, che gli costarono fra l’altro la chiusura della rivista dopo pochi numeri, Evola si mantenne sempre fedele, compreso nel dopoguerra quando, in un clima mutato e “fra le rovine” democratiche, continuò a difenderne opportunamente il valore irrinunciabile, visti anche i disastri finali che l’uscita dalla propria tradizione (si pensi per esempio al giudaismo sionista, al protestantesimo anglosassone e all’islamismo salafita) hanno sempre provocato e continuano a provocare. Nel dopoguerra, poi, il rapporto fra Evola e De Giorgio si deteriorò irrimediabilmente (probabilmente in seguito all’accentuazione della sua adesione totale e incondizionata al Cristianesimo da parte di De Giorgio, sicuramente non assecondata da un Evola sempre più critico verso una Chiesa che si stava gettando a capofitto nel baratro conciliare), senza che questo abbia comunque compromesso più di tanto, almeno dal punto di vista formale, il rapporto di Evola con Guénon.
Terza e ultima prospettiva dalla quale è possibile esaminare il rapporto Evola-Guénon, riguarda quelli che per comodità e sinteticità potremmo definire i rispettivi “discepoli”, ovvero i cosiddetti “evoliani” e “guénoniani”. Va detto che qui le cose cominciano a complicarsi, per via del solito vizio dei discepoli (probabilmente per mascherare le insicurezze che nascono dalla minore conoscenza e dal minore possesso di certezze che questo comporta), la propensione, cioè, ad essere “più realisti del re”. In mano a questi, infatti, il rapporto instaurato a suo tempo da Evola e Guénon su un piano di confronto franco e leale, scade nella ricerca ossessiva dei punti di disaccordo e di conflitto. Quelli che erano dissidi secondari, che non mettevano in discussione il quadro generale di un’adesione convinta ai principi tradizionali, vengono ingigantiti ed esasperati, trasformando in acerrimo nemico l’interlocutore dissenziente.
Ci rifiutiamo di entrare in un simile “dibattito”, essendo oramai da tempo dimostrato che esso non conduce da nessuna parte, se non ad una perdita di tempo e ad un appesantimento dei rispettivi ego degli animatori coinvolti, le cui invettive non si discostano più di tanto dagli insulti che si scambiano gli automobilisti stressati all’interno delle loro vetture. Una costante significativa, però, ci sembra sia il caso di rilevarla: il fatto di trasformare le recensioni delle opere degli interessati in una ossessiva ricerca del pelo nell’uovo e in un “fare le pulci”, con le peggiori delle intenzioni; muovendo regolarmente da un iniziale (fittizio) riconoscimento dei meriti dell’autore recensito (sia esso Evola o Guénon, poco importa), quasi a voler propiziare nel lettore un abbassamento della guardia, al fine di sferrare poi dei colpi subdoli e micidiali, gettando il massimo discredito sulla vittima designata. Come si vede, niente a che vedere con l’“appartenenza allo stesso schieramento” prima ricordata.
Uno dei segni più evidenti della decadenza intellettuale dell’uomo moderno lo si riscontra nella sua ossessiva necessità di etichettare e raccogliere per categorie tutto ciò che si presenta alla sua attenzione. Già lo stesso concetto di “enciclopedia”, ideato e portato a compimento nel Secolo dei Lumi, fa da apripista a questa vera e propria malattia della conoscenza. Adesso il processo di decadenza è giunto a un punto tale che per rendersene conto bisogna fare riferimento agli odierni supermercati. Il modello delle corsie del supermercato, divise per prodotti (detersivi, pasta, abbigliamento, bibite, ecc.), asseconda infatti la pigrizia mentale dei consumatori, ai quali bisogna semplificare al massimo la vita, orientandone le scelte senza costringerli ad alcun tipo di riflessione e di approfondimento o ricerca. È lo stesso meccanismo che scatta ogni qualvolta si appiccica l’etichetta di evoliano o di guénoniano, scadendo in atteggiamenti propri degli ultras da stadio: dove l’assenza di ogni barlume d’intelligenza è direttamente proporzionale alla ricerca spasmodica di un nemico che ne confermi (l’inutile) esistenza. Data una cornice pregiudiziale, tutto ciò che vi si colloca all’interno acquista un valore positivo o negativo, a seconda delle premesse iniziali.
A tal proposito può essere utile ricordare alcune iniziative, nate per ispirazione più o meno diretta di Evola e Guénon, partite con le migliori intenzioni ma i cui risultati finali non hanno sempre mantenuto quanto promesso. Il confronto è più facile farlo mantenendosi al piano dottrinario ed alla ricerca spirituale, esistendo una simmetria fra i due; mentre esso diviene meno efficace se si scende sul piano dell’impegno attivo e militante, presente in Evola ma del tutto assente in Guénon. Le riviste e le attività editoriali dirette o ispirate da Evola (La Torre, il Diorama filosofico nel Regime Fascista), possono paragonarsi, se non altro come “occasione”, a Le Voile d’Isis, poi diventata Études Traditionnelles, di Guénon. Per quanto riguarda la “pratica” spirituale vera e propria, si possono mettere a confronto l’evoliano “Gruppo di Ur” (col suo tentativo post-evoliano del dopoguerra dei “Dioscuri”), alla Loggia massonica “La Grande Triade” ed alla Tarîqah diretta da Frithjof Schuon, di ispirazione guénoniana. In entrambi i casi, all’allontanarsi e al venir meno della presenza e vigilanza attiva dei due ispiratori, sembrerebbe quasi che gli “ispirati” perdano progressivamente il lume dell’intelletto, scadendo in atteggiamenti e posizioni non in linea con le premesse iniziali.
Questo fenomeno di decadimento interiore è ancora più visibile in coloro che sono partiti da posizioni evoliane per sviluppare un impegno di tipo politico, dando vita a scelte dannose e strumentalmente diffamanti per lo stesso Evola. Il fatto è che senza una rigida selezione delle vocazioni e delle nature umane, facendo partecipare ad esperienze come per esempio quelle dei Dioscuri (ma anche nel Gruppo di Ur non si scherzava in fatto di “squalificazioni”!), gente attivissima sul piano politico e con qualche confuso prurito spirituale, senza ulteriori richieste di garanzie di tenuta interiore, non si poteva che andare incontro a disastri e fallimenti, personali e di gruppo. Se c’è una cosa che la nostra pluriennale esperienza in Heliodromos ci ha insegnato è che le nature umane, al di là degli aspetti fisiognomici o caratteriali, della simpatia dettata dal sentimento (che è un pessimo consigliere!), dalla comune militanza, messe alle strette e in determinate circostanze vengono fuori col loro vero volto e in tutta la loro miseria o nobiltà. Allora, quello che ci sembrava un amicone spiritoso e di compagnia si rivela una fogna a cielo aperto o una carogna infida e sleale, fino ad arrivare a chi ha sempre sfruttato l’ambiente per i propri porci (e il termine scelto non è casuale!) comodi, e non guarda in faccia a nessuno pur di assicurarsi il necessario sostentamento, anche a costo di basarlo sullo sfruttamento dei vizi altrui.
Per collocare nella giusta posizione i diversi ruoli svolti rispettivamente da Evola e Guénon, e rispondere quindi al quesito iniziale, può tornare utile richiamare il mito della caverna di cui parla Platone, dove alcuni prigionieri sono costretti dalla nascita, essendo incatenati, a fissare la parete di fronte a loro, su cui si riflettono le ombre di ciò che avviene e passa all’esterno, alle loro spalle, e udirne l’eco delle voci. Per costoro l’unica realtà conosciuta e immaginabile è quella che vedono riflessa sulla parete, da cui suppongono che debbano provenire le stesse voci udite. Di tanto in tanto qualcuno di questi viene “trascinato” contro la sua volontà fuori dalla caverna ed è costretto ad adattare, lentamente e dolorosamente, i suoi occhi alla luce del sole. Per i ciechi dalla nascita le capacità di comprendere sono ridotte al minimo, ma per gli altri si tratta solo di educare e riorientare: tenendo sempre presente che educare non è riempire di cose non possedute ma risvegliare sensi spenti e assopiti. Colui che perviene alla conoscenza della realtà autentica, può assumersi il compito di descriverla e testimoniarla a quanti sono ancora immersi nel mondo delle ombre, suscitando in loro l’interesse e l’intenzione per liberarsi dal proprio stato d’ignoranza.
Il mondo della luce e della conoscenza autentica è quello proprio dell’esoterismo, raggiungibile da chi affronta un cammino iniziatico per l’affrancamento dalla condizione umana, il mondo all’interno della caverna è sotto il dominio dell’exoterismo, dove si “racconta” del mondo esterno e si fornisce ai prigionieri la “razione” minima indispensabile di sacro, che se non condurrà alla liberazione assicurerà, se non altro, la salvezza. Possiamo quindi, schematizzando alquanto ma dando un’idea concreta, collocare Guénon con la sua Conoscenza diretta, all’esterno della grotta, ed Evola invece all’interno della stessa grotta, a riflettere e rilanciare verso coloro che vedono ancora solo le ombre la luce della conoscenza che gli giunge dall’esterno. Ai guerrieri, infatti, è affidato il compito di trasmettere applicare e fare rispettare le regole che vengono dall’Alto. Così come spetta a loro la funzione di fare quadrato, impugnando le spade in difesa del Sapiente, intento a conservare l’unione del Cielo con la Terra. Specialmente in un’epoca come la nostra, in cui le ombre e le tenebre sembrano prendere irrimediabilmente il sopravvento.