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Alcune questioni fondamentali
René Guénon, nella sua opera Il Re del Mondo(1), scrive: «Il periodo attuale è dunque un periodo d’oscuramento e di confusione(2); le sue condizioni sono tali che, finché persisteranno, la conoscenza iniziatica deve necessariamente rimanere nascosta, donde il carattere dei “Misteri” dell’antichità detta “storica” (che non rimonta neppure al principio di questo periodo) e delle organizzazioni segrete di tutti i popoli: organizzazioni che conferiscono un’iniziazione effettiva là dove sussiste ancora una vera dottrina tradizionale, ma che non ne offrono più che l’ombra quando lo spirito di questa dottrina ha cessato di vivificare i simboli che non ne sono che la rappresentazione esteriore, e questo perché, per diverse ragioni, ogni legame cosciente con il centro spirituale del mondo ha finito coll’essere rotto, ciò che è il senso più particolare della perdita della tradizione, quello che concerne particolarmente questo o quel centro secondario, che cessa d’essere in relazione diretta ed effettiva con il centro supremo.
Si deve dunque […] parlare di qualcosa che è nascosto piuttosto che veramente perduto, poiché non è perduto per tutti e certuni lo posseggono ancora integralmente; e, se così è, altri hanno sempre la possibilità di ritrovarlo, purché lo cerchino come si conviene, vale a dire purché la loro intenzione sia diretta in tal guisa che, mediante le vibrazioni armoniche che essa risveglia secondo la legge delle “azioni e reazioni concordanti”(3), essa possa metterli in effettiva comunicazione spirituale con il centro supremo(4). Questa direzione dell’intenzione ha d’altronde, in tutte le forme tradizionali, la sua rappresentazione simbolica; intendiamo parlare dell’orientazione rituale: essa, infatti, è propriamente la direzione verso un centro spirituale che, qualunque esso sia, è sempre un’immagine del vero “Centro del Mondo”(5)».
In ogni campo, un’errata concezione iniziale(6) porta inevitabilmente a comportamenti sbagliati, che persisteranno e si amplificheranno fino a quando non sia rettificata. Per chi aspiri alla conoscenza, questa pur elementare considerazione suona tanto più d’avvertenza quanto maggiore è il livello d’impegno dedicato a tale ricerca la quale, come evidenziato in numerosi scritti apparsi su questa rivista, non può che inglobare l’esistenza dell’iniziato nella sua totalità. Un’errata aspettativa su questo punto può quindi comportare una vita piena di sforzi che non conducono ad alcun reale avanzamento verso il centro del proprio essere.
Osservando casi concreti in cui questa situazione si manifesta abbiamo identificato due questioni che, se correttamente risolte, crediamo possano evitare l’insorgere di molte di quelle concezioni errate cui accennavamo. Tali questioni fondamentali, cui cercheremo di rispondere brevemente appoggiandoci agli scritti di Maestri del passato e senza pretesa d’esaurire l’argomento, vertono sulla natura del patto iniziatico e dell’attività iniziatica.
In che consiste il patto iniziatico?
Nel mondo occidentale non v’è niente di più adatto della Divina Commedia per entrare nell’argomento, giacché in essa il processo iniziatico è descritto in ogni sua fase. La natura del patto iniziatico è mirabilmente illustrata nelle terzine seguenti del canto V del Paradiso:
“Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando, e a la sua bontate
più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,
fu de la volontà la libertate;
di che le creature intelligenti,
e tutte e sole, fuoro e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
l’alto valor del voto, s’è sì fatto
che Dio consenta quando tu consenti;
ché, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto,
vittima fassi di questo tesoro,
tal quale io dico; e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c’hai offerto,
di maltolletto vuo’ far buon lavoro.(7)
Nelle parole di Beatrice, Dante spiega che il libero arbitrio, attributo specifico delle creature intelligenti, è il più grande dono che Dio, nella sua sconfinata generosità, fa all’essere umano e la cosa che maggiormente apprezza in lui. Il patto iniziatico è l’atto con cui l’uomo rinuncia a questo tesoro rimettendolo volontariamente nelle mani del suo Signore e facendone sacrificio. Comprendere l’alto valore di quest’impegno è fondamentale perché esso sia accettato e chi lo stringe dovrebbe essere cosciente che in tal modo si vincola a non far più uso del proprio libero arbitrio (riappropriandosi di qualcosa dopo averla donata si comporterebbe altrimenti come un ladro).
Se dal punto di vista principiale il patto è stipulato tra l’iniziato e Dio, in concreto si estrinseca al cospetto dell’organizzazione iniziatica, aderendo alla quale si è guidati in un percorso d’armonizzazione integrale della propria esistenza(8).
Tale cammino è evocato dalla discesa agli Inferi e dalla risalita del Purgatorio nel corso della quale Dante è mondato dai sette peccati capitali. Nel canto XXVII del Purgatorio, giunti sul gradino più elevato della scala, Virgilio si accommiata da Dante dopo avergli restituito il suo libero arbitrio:
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su ‘l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
e disse: “Il temporal foco e l’etterno
veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte
dov’io per me più oltre non discerno.
Tratto t’ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte.
Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce;
vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce.
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch’io te sovra te corono e mitrio”.(9)
Virgilio, fissando intensamente Dante, gli dice che dopo averlo accompagnato con ingegno e arte nella visione del fuoco eterno e nella risalita del Purgatorio sono giunti laddove la sua ragione non può spingersi oltre. Dante si trova finalmente al sicuro, fuori da ogni difficoltà, e Virgilio lo invita a prendere come guida la sua spontanea volontà, non attendendo più le sue indicazioni né i suoi cenni: il suo arbitrio è libero, retto e giusto, e sarebbe errato non assecondarlo, cosicché Virgilio lo incorona e lo consacra signore e pastore di se stesso.
Dal raffronto di questi passi emerge come il sacrificio del libero arbitrio sia richiesto all’uomo che ha smarrito la propria condizione centrale nel suo stato d’esistenza, simbolicamente rappresentata dalla cacciata dal Paradiso Terrestre, in quanto “strumento” difettoso e condizionato dalle tendenze dell’ambiente, dalle miopi tendenze individuali e dai vizi. Purché tale rinuncia sia effettiva può iniziare il processo di purificazione sopra evocato, allora, verso la fine dello stesso, lo strumento del libero arbitrio gli verrà restituito essendo divenuto per lui una bussola infallibile atta ad indicargli in ogni occasione la corretta strada da imboccare.
In che consiste l’attività iniziatica?
Le finalità dell’organizzazione iniziatica per quanto concerne l’evoluzione spirituale dei suoi affiliati sono magistralmente condensate nella terzina seguente del canto XXVI dell’Inferno:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”(10)
In ambito iniziatico il lavoro personale comporta l’attualizzazione dei proponimenti espressi nel patto; incentrati su un dono, quello del libero arbitrio, si arguisce come tali intenti trovino la loro sublimazione nella maturazione di un’attitudine di profonda generosità, che costituisce la radice e la cornice a tutto il lavoro ulteriore, sia esso attinente alla vita attiva sia a quella contemplativa.
Nella sua opera La vita tradizionale è la sincerità, lo Sheikh Tâdilî afferma: «La nobiltà del carattere (makârim al-akhlâq) è tutto il tasawwuf» e, poco oltre: «L’uomo nobile marcia verso il successo!»(11). Il termine makârim, qui reso con nobiltà, ha la stessa radice del nome divino al-Karîm, il Generoso, il che lascia intuire come la generosità sia la parte interiore e la radice della vera nobiltà(12).
L’importanza di questa virtù è ribadita pure da Abdul-Hâdî che, rifacendosi agli insegnamenti dello Sheikh Elîsh el-Kebîr, scrive: «l’arte di dare è il principale Arcano della Grande Opera»(13). Nel suo articolo egli presenta la prospettiva dell’iniziato ormai liberato da ogni sentimentalismo, che ha colto l’identità tra l’io e il non-io. Quest’uomo è cosciente dell’Unità universale e ha penetrato i segreti dell’arte di donare «nel disinteresse assoluto, nella perfetta purezza dell’anima al compiere l’atto, cioè dell’intenzione, nella completa assenza d’ogni speranza in un ritorno, in una qualunque ricompensa, foss’anche nell’altro mondo». Abdul-Hâdî sostiene che «Oggi è impossibile fare del bene all’umanità senza alcun retropensiero utilitario» e quindi che «La vera carità comincia con l’animale; continua con la pianta, ma allora essa esige le scienze dell’iniziato. Queste scienze conducono all’Alchimia, che è la carità umana verso le pietre e i metalli, cioè verso la natura inorganica. L’apogeo di questa carità è il dono di Sé ai numeri primitivi, giacché allora si sostiene l’Universo con il suo soffio ritmato»(14).
Da tutto ciò si arguisce come sia importante non confondere il lavoro iniziatico con un attivismo esagerato in ambito rituale o con lo studio libresco, giacché si tratta di una questione di gusto e d’imparare a leggere il libro della propria coscienza(15).
Non possiamo a questo proposito fare a meno di riportare due passi dello Sheikh ad-Darqâwî: «Se desideri che il tuo cammino s’accorci perché tu arrivi rapidamente alla realizzazione, praticherai le opere di carattere “necessario” e quelle “surerogatorie fermamente raccomandate”; apprendi dalla scienza esteriore ciò che è indispensabile per servire Dio, ma non attardartici, giacché non ti è richiesto d’approfondirla; è la scienza interiore che devi approfondire; e combatti la bramosia; allora vedrai meraviglie»(16) e «Proprio nella misura in cui l’anima abbandona le passioni, si rafforza l’effusione dello Spirito da parte del suo Signore, in guisa che le nozze dello Spirito e dell’anima si moltiplicano, al pari dei loro frutti, ossia le scienze infuse e le azioni che ne derivano. Il godimento di ciò non può che indurre l’uomo a contrastare l’anima [passionale] e a domarla, malgrado le sue repulse, sgarberie ed esecrazioni, giacché un comportamento simile gli è facilitato da tutto quel che vi vede di “luci”, di “segreti”, di “profitti” spirituali»(17).
Il lavoro personale rivolto all’esercizio delle virtù crea nell’essere i presupposti per il lavoro interiore focalizzato sul fine immutabile, ossia la Conoscenza, secondo le parole dantesche: «impossibile è essere savio chi non è buono»(18). Esso si compie attraverso successivi e continui cambiamenti; in un susseguirsi di soluzioni e coagulazioni che portano l’iniziato a insediarsi in stati via via più elevati, che dev’essere pronto ad abbandonare se vuole elevarsi ulteriormente. Egli deve comprendere i doveri del proprio stato e adempierli nel modo migliore e più completo possibile, solo a quel punto potrà passare a uno stato successivo superiore. Se non v’è cambiamento non può esservi avanzamento e ogni organizzazione iniziatica degna di questo nome interviene per favorirlo attraverso consigli, allusioni, interdizioni, ordini, preghiere e invocazioni(19), che sono come i catalizzatori di questo processo alchemico. In tale contesto i riti sono dei supporti, che possono consentire risultati miracolosi, solo quando scaturiscano e siano accompagnati da un desiderio ardente, ma che diventano addirittura dannosi se praticati altrimenti; lo Sheikh Tâdilî è esplicito al riguardo: «Sappiate (ancora), fratelli miei, che quando il faqîr che fa il dhikr non ha in lui la volontà (irâdah), il nome di Sufi è una metafora per quanto lo concerne e il suo dhikr è pericoloso»(20).
Qual è dunque l’attitudine corretta nel lavoro interiore? Molti potranno essere sorpresi nello scoprire che la “ricettività” è «un costante sforzo d’assimilazione, che è proprio qualcosa d’essenzialmente attivo, e anche al grado più alto che si possa concepire»(21). Essa presuppone uno stato di “pace interiore”, d’“attenzione” e di “presenza”.
A proposito del lavoro interiore, R. Guénon afferma che l’azione è solo la parte più esteriore dell’attività, quella «dipendente propriamente solo dal dominio corporeo», inoltre «ciò che è più attivo è anche, e con ciò stesso, ciò che è più vicino all’ordine puramente spirituale, mentre l’ordine corporeo è quello in cui predomina la passività; ne deriva la conseguenza, paradossale solo in apparenza, che l’attività è tanto più grande e più reale quanto più si esercita in un dominio lontano da quello dell’azione»(22).
Abdul-Hâdî afferma: «Ora, la condizione indispensabile addirittura per il primo bagliore dell’“Illuminazione esoterica” (El-Ishrâq), è proprio un posto esclusivamente riservato a Dio nel proprio foro interiore. È indifferente che questo posto sia grande o piccolo, ricco o povero, ma è di capitale importanza che sia assolutamente puro e senz’alcuna mescolanza. È molto difficile, nell’attuale disordine della vita, realizzare la sincerità e la Solitudine divina assoluta, anche solo per la durata di un minuto di sessanta secondi»(23).
***
Nelle pagine che precedono abbiamo messo in luce due questioni importanti da risolvere per chi intenda intraprendere un cammino di conoscenza; ve ne sono altre. Ad esempio, a seguito di quanto indicato nell’incipit di quest’articolo, dov’è citato il passo evangelico «Cercate e troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto»(24) ci si può chiedere: cercare che cosa? chiedere a chi? bussare a quale porta?
Qui emerge la necessità di una prima chiarificazione mentale attraverso un processo di discriminazione. A questo proposito non v’è nulla da inventare, poiché tutto quanto c’era da scrivere è già stato scritto, ci riferiamo in particolare al testo di R. Guénon(25) Aperçus sur l’Initiation(26) e, più in generale, a tutta la sua opera, in cui si possono trovare gli elementi utili a compiere tale lavoro.
Albano Martín De La Scala
Tratto da: www.letteraespirito.com
[1]. R. Guénon, Le Roi du Monde, Éditions Traditionnelles, Paris, 1950, cap. VIII. Le note che si riferiscono alla citazione sono dello stesso Guénon.
[2] L’inizio di quest’età è rappresentato segnatamente, nel simbolismo biblico, dalla Torre di Babele e dalla “confusione delle lingue”. […]
[3] Quest’espressione è mutuata dalla dottrina taoista; d’altra parte, noi qui prendiamo la parola “intenzione” in un senso che è assai esattamente quello dell’arabo niyah, che abitualmente si traduce così, e questo senso è d’altronde conforme all’etimologia latina (da in-tendere, tendere verso).
[4] Quanto abbiamo appena detto permette d’interpretare in un senso molto preciso queste parole del Vangelo: «Cercate e troverete; chiedete e riceverete; bussate e vi sarà aperto». – Ci si dovrà naturalmente riferire qui alle indicazioni che abbiamo già dato a proposito della “retta intenzione” e della “buona volontà”; e si potrà così completare agevolmente la spiegazione di questa formula: Pax in terra hominibus bonæ voluntatis.
[5] Nell’Islam, quest’orientazione (qiblah) è come la materializzazione, se così si può dire, dell’intenzione (niyah). L’orientazione delle chiese cristiane è un altro caso particolare che si riferisce essenzialmente alla stessa idea.
[6] Alcune delle concezioni erronee riguardanti l’iniziazione sono mirabilmente descritte nell’articolo di J. C., Alcune osservazioni a proposito dell’opera di René Guénon, pubblicato a seguire nella presente rivista, lavoro che troviamo sotto molti aspetti complementare al passo di R. Guénon che fa da incipit ai nostri articoli.
[7] Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, V, 19-33.
[8] In cambio del libero arbitrio l’organizzazione iniziatica garantisce ai propri membri una “copertura” che ingloba tutti gli aspetti della vita. Anche le malattie, manifestazione di un disequilibrio psichico, rientrano in quest’ambito (cf. R. Guénon, Aperçus sur l’Initiation, Éditions Traditionnelles, Paris, 1946, cap. XIV, Des qualifications initiatiques: «nello stato attuale dell’umanità, nessun individuo è perfettamente equilibrato sotto tutti gli aspetti; […] se vi sono degli individui che sono qualificati per l’iniziazione, lo sono malgrado un certo stato di disequilibrio relativo che è inevitabile, ma che precisamente l’iniziazione potrà e dovrà attenuare se essa produce un risultato effettivo, e addirittura far scomparire»).
[9] Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, XXVII, 124-142.
[10] Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXVI, 118-120.
[11] Sheikh Tâdilî, La Vie Traditionnelle c’est la sincérité, Éditions Traditionnelles, Paris, 1971.
[12] Ricordiamo l’hadîth del Profeta dell’Islâm: «Sono stato inviato per completare la nobiltà del carattere (o i caratteri nobili)».
[13] Abdul-Hâdî, L’univeralité en Islam, La Gnose, n. 4, aprile 1911.
[14] Abdul-Hâdî, ibid. Interessante l’osservazione di R. Guénon riferita al viaggio di Dante: «occorre aver percorso i tre regni, che rappresentano le diverse modalità dell’esistenza nel nostro mondo, prima di poter passare ad altri stati, le cui condizioni sono del tutto diverse» (cf. R. Guénon, L’Ésotérisme de Dante, Gallimard, Paris, 1957, cap. VIII, Les cycles cosmiques, dove in nota: «Faremo osservare che i tre gradi della Massoneria simbolica hanno, in certi riti, parole di passo che rappresentano anche rispettivamente i tre regni, minerale, vegetale e animale; inoltre, la prima di queste parole è a volte interpretata in un senso che è in stretto rapporto con il simbolismo del “globo del mondo”»).
[15] A questo proposito riteniamo che tutto quanto v’era da dire sia già stato scritto dalle autorità tradizionali del passato e che l’opera di R. Guénon ne rappresenti l’ultimo capitolo e il sigillo.
[16] Al-‘Arabî Ad-Darqâwî, Lettres d’un maître soufi, Arché, Milano 1978, Lettera V.
[17] Al-‘Arabî ad-Darqâwî, ibid., Lettera XXV, pubblicata integralmente in Lettera e Spirito n. 1.
[18] Dante, Convivio, IV – xxvii.
[19] Si pensi ai “Segni, Parole e Toccamenti” attribuiti a ogni Grado massonico.
[20] Sheikh Tâdilî, ibid.
[21] R. Guénon, Iniziazione e passività, pubblicato nella presente rivista.
[22] R. Guénon, Contro il quietismo, pubblicato nella presente rivista.
[23] Abdul-Hâdi, Pages dediées à Mercure, in La Gnose, nn. II.1-2, gennaio-febbraio 1911.
[24] Luca, 11, 9.
[25] Sulla funzione di R. Guénon rimandiamo all’articolo di J.C., Alcune osservazioni a proposito dell’opera di René Guénon, che segue.
[26] R. Guénon, Aperçus sur l’Initiation, cit.