I contro-poteri
Narra Erodoto (Storie V, 92) che il tiranno Periandro, al fine di consolidare il suo dominio su Corinto mandò un ambasciatore a Trasibulo, tiranno di Mileto, per chiedere quale fosse il modo migliore per reggere la città. Trasibulo condusse l’ambasciatore in un campo e, senza dire una parola, incominciò a tagliare con la spada tutte le spighe che vedeva più alte delle altre, distruggendo così la parte migliore del raccolto. Periandro, ricevuto e compreso il messaggio, incominciò così una sanguinaria persecuzione contro gli uomini più eminenti della città.
Ogni società non dominata da un potere assolutista ha conosciuto l’esistenza di istituzioni dotate di propria legittimità e sovranità che operavano in maniera autonoma per garantire la tutela dei propri associati. Organizzazioni territorial-cetuali in grado di esercitare un’autorità che non temeva quella del sovrano ma che era spesso in dialettica con essa, in un rapporto di collaborazione-conflitto nel quale ognuna delle parti non rinunciava a salvaguardare le proprie prerogative. Il lungo periodo che va dall’“autunno del medioevo” alla fine del Settecento vede un progressivo consolidamento degli Stati nazionali, con una concentrazione della sovranità e burocrazia e legislazione sempre più centralizzate: tramite assunzione di compiti amministrativi e di polizia generale sempre più nelle mani di entità politiche centrali si riesce così a scomporre quel reticolo di corpi intermedi che, forte di privilegi, giurisdizioni e immunità particolari avevano sempre costituito un ostacolo a ogni pretesa assolutistica (si veda su questo quanto già scritto nel capitolo II).
Sono questi i contro-poteri, soggetti giuridici autonomi, attualmente scomparsi ma che per secoli limitarono ogni prevaricazione da parte di chi troppo potere aveva (oggi, in un’ottica “mercantile” abbiamo lobbies e società multinazionali, ma la loro influenza, pur esercitandosi nel campo del politico si pone a un livello di mera contrattualità e convenienza economica). La teorizzazione fattane da Montesquieu (Esprit des lois, XI, 4) è soprattutto la presa di coscienza di uno stato di fatto nonché la consapevolezza della fragilità di questo equilibrio. La costituzione di uno Stato si mantiene stabile se i poteri sono bilanciati, se esistono corpi che frenano e limitano l’influenza di un monarca o delle plebi: “affinché non si possa abusare del potere occorre che le cose siano disposte in modo tale che il potere sia limitato dal potere”.
Quella di Montesquieu non è la separazione dei poteri come la si intende oggi (con il potere esecutivo, legislativo e giudiziario formalmente separati perché in mano a persone differenti, anche se in realtà facenti parte di un corpo unico e separato dalla popolazione) ma piuttosto la constatazione, basata sull’esperienza, che la presenza di centri di potere realmente alternativi possa essere la migliore contromisura al sorgere di un governo assoluto di tipo dispotico, sia esso monarchico o democratico. I successivi sviluppi avverranno proprio in tal senso, con l’affermazione di un potere democratico esclusivista che richiamandosi al principio della volontà generale, non ammetterà l’esistenza di realtà istituzionali diverse da sé. Ogni interesse parziale viene escluso, privato di legittimità e se possibile eliminato: si tratta del coronamento dell’assolutismo, di una proclamata rappresentanza generale che in nome di interessi collettivi diventa monopolio nell’esercizio del potere e dell’autorità. Situazione che richiede, per essere risolta, una sola via d’uscita. L’unico modo con cui limitare il Potere assolutista sarà nella costituzione di nuovi nuclei di potere in grado di porsi come alternativa, per garantire gli interessi particolari di categorie non tutelate.
Sono quei contro-poteri che Bertrand de Jouvenel definisce “potenza sociale” e “interesse frazionario costituito”, ovvero nuclei “d’interessi e di affetti” che si costituiscono spontaneamente nella società e che l’istinto autoritario giudica egoistici e illegittimi, tentando ogni volta di dissolverli (1). Sono stati diversi nel corso del tempo quegli interessi frazionari che hanno avuto la forza di porsi come freno al Potere, anche se la loro attività di autodifesa – pur venendo considerata egoistica – ha sempre contribuito alla creazione di un equilibrio sociale. Gli interessi (non stiamo parlando solo di quelli economici) che non vengono garantiti è giusto che si difendano: è un fenomeno naturale e spontaneo che non dovrebbe essere criminalizzato. Questi poteri particolari se già in passato si sono trovati in un rapporto conflittuale con il potere dominante, allo stato attuale (nel caso in cui esistessero) non avrebbero più alcuna legittimità formale, venendo a collidere con il cosiddetto interesse generale e dovrebbero perciò, per sopravvivere, condurre un’esistenza nascosta, defilata, marginale. Cosa del resto coerente sia con l’ideologia totalitaria del democratismo, sia con lo spirito dei tempi, che vede come irrazionale ogni valore che non faccia riferimento a logiche di utile economico. Prospettive che possono solo peggiorare, con i nuovi temi dell’inclusività, della socialità e della trasparenza resi ormai quasi obbligatori. Ma possono presentarsi anche circostanze più favorevoli che, in base ai principi di adattamento già esposti, dovranno costituire il terreno per l’impostazione di ogni nuova strategia. Lo sfaldamento dell’era dell’Acquario porta anche frammentazione e decentralizzazione, elementi da sfruttare per tentare la ricostituzione di nuovi contro-poteri, uguali nelle loro finalità a quelli passati ma differenti come struttura e modalità d’azione.
Furono proprio i fautori della cosiddetta Aquarian Conspiracy che videro nella costituzione di networks autonomi e interconnessi (simili alle reti di collegamento del cervello) un primo nucleo organizzativo per intraprendere i loro progetti di rivolgimento sociale. Allo stesso modo noi concepiamo la formazione dei contro-poteri come nuclei che, con una struttura organizzativa decentralizzata e autonoma, potranno agire in maniera più agile ed efficace.
In un ambiente completamente ostile, senza alcuna possibilità di riconoscimento o collaborazione di sorta con i poteri costituiti dovrà formarsi una nuova aristocrazia, determinata, preparata, inaccessibile, che sappia mantenersi viva e operante per combattere, costruire e discriminare, fornendo un’alternativa che sarà valida in ogni caso, anche solo come testimonianza, affinché i contemporanei e i posteri sappiano che esiste sempre una possibilità di sfida che è già di per se stessa vincente in quanto rifiuto del servilismo e del compromesso nonché conquista di una forma esistenziale più compiuta.
Ecosistema
Giunge quindi il momento dell’aggregazione. Come questa debba avvenire è intuibile, tramite un riconoscimento, una simpatia e una comunanza di ideali, secondo il noto detto similia similibus congregantur. Individui consapevoli, motivati e opportunamente formati secondo le linee guida viste in precedenza, troveranno a un certo punto spontaneo il passo successivo, il riunirsi in gruppi, in società di elementi affini, con una medesima visione del mondo e una volontà univoca, un consenso non dettato da discussione ma da intima vocazione, da certezze vissute e sentite senza intermediazioni. Perché “esiste una parentela dei cuori e degli ingegni” che “persuade senza bisogno di parole e ottiene senza bisogno di meriti”: è una dote privilegiata dell’eroe l’armonia con i suoi simili (2).
Ma dobbiamo avvertire che tutti questi individui ritrovatisi affratellati, questo insieme omogeneo, non avranno però diritti nei confronti del Grande Collettivo, che non ne riconoscerà l’esistenza o peggio li considererà una minaccia, un antigene, un corpo estraneo da eliminare. Ancora una volta il privilegio, la legge privata, l’auto-nomia, verranno combattuti, la libertà come diritto alla diseguaglianza sarà soffocata come nemica mortale. A questo punto ogni tipo di resistenza diverrà lecito.
Montesquieu, difensore delle aristocrazie nei confronti delle volontà assolutiste, nell’Esprit de lois (XI, VI) a tal proposito osservava:
“Ci sono sempre in uno Stato delle persone che si distinguono per nascita, ricchezza o onori; ma se fossero confusi tra il popolo e se non avessero che la stessa voce degli altri, la libertà comune sarebbe per loro una schiavitù e non avrebbero più alcun interesse a difenderla, perché la maggior parte delle risoluzioni sarebbe contro di loro. La parte che hanno nella legislazione deve dunque essere proporzionata agli altri vantaggi che hanno nello Stato: questo accadrà quando formeranno un corpo che abbia il diritto di fermare le iniziative del popolo, come il popolo ha il diritto di fermare le loro.”
Concezione questa già in difficoltà all’epoca, di fronte alle nuove idee di Rousseau sul “contratto sociale” e la “volontà generale”, che tendevano a escludere e delegittimare ogni realtà autonoma o corpo intermedio. Nello scenario attuale si mantiene una certa continuità – in quanto il diritto di formare soggetti giuridici è un potere riservato al sovrano, sia esso un singolo o un’assemblea – e il problema rimane, imponendosi con più forza nella misura in cui aumenta la pervasività degli Stati nei confronti dei propri associati, con imposizioni sempre più stringenti, nella sfera economica come in quelle esistenziali del pensiero, dell’educazione, delle scelte di vita. I pochi margini di libertà rimasti sono dovuti non a uno scrupolo degli apparati di potere ma solo all’incapacità pratica dei medesimi di controllare e normare tutto. Percorsi differenti vengono preclusi, sacrificando il meglio, l’eccellenza, la vera diversità in nome del livellamento, di una sorta di giustizia artificiale che vuole portare tutti a pensare, sentire e agire alla stessa maniera. La natura profondamente antivitale di un simile atteggiamento va denunciata e combattuta. Si potrà incominciare a considerare l’attuale sistema di potere come un governo d’occupazione, un’istituzione che si è imposta con la forza e nei confronti della quale non si dovranno avere particolari doveri. Il meccanismo i cui ingranaggi si muovono per stritolare coloro che li fanno muovere è proprio quello che costituisce la realtà attuale: valga quindi un principio di non collaborazione, per cui non si alimenterà tale meccanismo, cercando anche di rallentarlo o di fermarlo se possibile. Se finanche il tirannicidio è stato considerato lecito in tutte le epoche, ancora più giusta accettabile e praticabile sarà la resistenza a un regime impersonale che tenta di compromettere la vita dei suoi associati. Ogni forma comunitaria dovrà avere questa primaria finalità. Resta da chiarire quale debba essere la modalità organizzativa in grado di meglio rispondere a tali necessità, la più adatta a muoversi nel mutato contesto antropico e politico dell’era presente.
Se la concessione di una personalità giuridica è fuori discussione, così come qualsiasi tipo di riconoscimento di legittimità da parte dei poteri dominanti, l’unica via da percorrere è quella dell’informalità, della segretezza.
Segretezza che non significa necessariamente illegalità in quanto, almeno all’inizio, l’unico obiettivo sarà la sopravvivenza e la buona salute (in tutti i sensi) dei propri associati. Inoltre lo schema gerarchico-piramidale delle società segrete, pur avendo tra gli aspetti positivi il fatto di poter occultare i propri fini e rappresentanti, non è però da ritenersi il più affidabile, avendo tra i suoi inconvenienti l’eventualità che il vertice possa essere eliminato, infiltrato o corrotto, senza contare che un vero centro decisionale dovrebbe essere autenticamente qualificato per poter esercitare la propria autorità, in caso contrario generando solo altra confusione e affannose lotte per la preminenza.
Se trecento anni di società segrete ci hanno insegnato qualcosa è invece che: 1) per tirare le fila bisogna nascondere non solo la mano ma anche i fili medesimi, lasciando agire per inerzia e con illusione di libertà ciò a cui si è dato un movimento iniziale; 2) il miglior modo per organizzarsi è in maniera diffusa, invisibile, in modo da non fare neppure supporre la propria esistenza, dando a ogni agente un margine di autonomia nel raggiungere gli obiettivi; 3) i migliori elementi sono quelli che considerano il loro agire come una missione, un combattimento di cui l’aspetto materiale è solo una parte minore, contingente, riflesso di qualcosa che trova la sua vera ragion d’essere in dominî di ordine sovrasensibile.
Una ferrea determinazione e la volontà di azione perfetta che da questa deriva potranno contribuire a formare elementi pronti, capaci, dotati di quella giusta dose di discrezione in grado di garantire un’autonomia ortodossa e sempre aderente ai principi. L’aver tanto insistito sulla formazione individuale è proprio finalizzato a questo, affinché nel frastornante caos acquariano si riesca sempre a mantenere intatto quel nucleo di salute che è anche libertà e sovranità così come consapevolezza nell’azione. Perché il modello che abbiamo in mente non è nemmeno una sezione di partito o un parlamento dove si discute e si stabilisce la verità con un voto, dove si dialoga su tutto mercanteggiando con compromessi ciò che è giusto o sbagliato. Quello che proponiamo è simile a un grande sistema nervoso, invisibile, diffuso, i cui membri saranno tra di loro uguali solo nella misura in cui avranno conquistato una nuova dimensione esistenziale, avendo abbandonato ogni retaggio del mondo servile e mercantile per riconoscersi in quei valori trascendenti che elevano la natura umana fornendole visioni inaspettate e possibilità altrimenti inaccessibili. Uniformità che è anche parità di diritti, secondo la massima quod omnes tangit, ab omnibus approbetur (3), ma che esclude il democratismo, la massa amorfa, la concessione, per accettare solo l’uguaglianza della vetta, della perfetta realizzazione di ciò che si è compiuto e trova nel risultato il suo diritto (4). La foresta è sana non solo quando è composta da alberi sani, ma anche quando tutti i suoi abitanti lo sono. Si postuli quindi l’esistenza di un certo numero di questi individui, organizzati tra di loro in una rete associativa, senza un vertice, senza un centro, ma comunque con la capacità di agire nel migliore dei modi sempre in conformità a principi, per istinto e formazione, infallibilmente. Da ogni rete una rete di reti, ovunque un oppositore che già conosce, che già opera.
Questo insieme, che potremo definire l’“Ecosistema”, sarà da considerarsi come una “complessità organizzata”, ovvero un complesso di elementi in reciproca interazione avente come finalità primaria la sopravvivenza propria e dell’insieme. I suoi componenti avranno tutti una spiccata identità, quell’unicità ricavata dal pieno sviluppo della natura propria – dell’equazione personale – e saranno pertanto dotati di quella libertà che non implica il fare ciò che si vuole, ma l’aderire invece a precise norme di condotta, a qualità comuni che guidano e coordinano con naturalezza senza imporre. Di fronte alle utopie New Age di un’umanità babelicamente unificata e connessa in una grande rete di eguali, noi rispondiamo con l’ideale di una nuova polis di individui qualificati e validi, un macrocosmo che trova la sua forza nell’unicità microcosmica di coloro che lo compongono: una città ideale in cui tutti dovranno avere un volto definito. Questa polis invisibile, queste “barricate misteriose”, nel suo essere contemporaneamente comunità e società dovrà confrontarsi necessariamente con la più vasta realtà comune, l’insieme indifferenziato e senza identità che si è definito mondo lemurico; nei confronti di quest’ultimo vi sarà solo un’adesione formale, ridotta al minimo, al rispetto della legge e delle norme di convivenza civile, ma sempre secondo il principio della non collaborazione (riservandosi a seconda dei casi le forme di disobbedienza e protesta più appropriate) dedicando le proprie migliori energie e doti all’altro ambiente, secondo un rapporto di simbiosi in cui ogni elemento, in maniera complementare, concorrerà a formare una totalità di valore maggiore alla semplice somma delle parti. Una città diffusa, senza mura, non direttamente identificabile e attaccabile, ma non per questo inconsistente o disgregata nel disordine delle forze contrastanti; piuttosto un’associazione di simili che si riconoscono tra loro e scambievolmente si conferiscono dignità e diritti (5). Aiuto reciproco, istruzione, sostegno e formazione i doveri dell’appartenenza, perché la libertà è una conquista, una costruzione, con il legame, la “fatica senza fatica” di concorrere alla vita della comunità al meglio delle proprie possibilità, senza ambizione ma con spirito di servizio, per contribuire a un’impresa che, al di là dei limiti individuali, unisce tutti coloro che sentono l’esistenza di qualcosa che li trascende e li supera.
Renzo Giorgetti
Tratto da: Com’è difficile cavalcare la tigre, Solfanelli, Chieti, 2020, pp.127-134.
B. de Jouvenel, Il Potere – Storia naturale del suo sviluppo, Rizzoli, Milano, 1947, p.294.
2 B. Gracián, Oráculo manual y arte de prudencia, Huesca, 1647, cap.44.
3 Formula che, presa dal diritto giustinianeo e riutilizzata dal 1295 per le convocazioni del Parlamento inglese, lungi dall’esprimere ideali democratici è da intendersi come riformulazione della tradizionale tendenza aristocratica e feudale alla limitazione del potere monarchico.
4 Il democratismo nasce come adattamento di una ben diversa istituzione: l’assemblea degli uomini in armi. Ne troviamo testimonianze in Omero e anche qualche sopravvivenza in epoca storica (ad esempio nella rhetra spartana). I guerrieri si radunano in formazione militare, formando un cerchio. Nello spazio così costituito si intraprende il dibattito pubblico, in cui ognuno dei partecipanti, considerati come eguali, ha diritto alla libera parola. L’esperienza democratica avrebbe, almeno come vago riferimento, questo modello, degenerando però ben presto nella volgarizzazione demagogica, nel misconoscimento dei valori precedenti e nella loro sostituzione con quelli più economici e mercantili della nuova epoca dell’economia monetaria, dei commerci e dei viaggi per mare.
5 Ci potrà anche essere un’indipendenza della normazione al fine di ordinare questo nuovo “spazio sociale” in maniera consona ai principi ritenuti fondamentali. Tramite un vincolo ricondotto a un’obbligazione liberamente assunta dai singoli membri del gruppo, questa polis ristretta potrà regolarsi in autonomia e agire allo stesso modo al fine di tutelare l’esistenza propria e dei suoi associati.
Si potrebbe anche prendere in considerazione l’idea di avere una propria valuta, o meglio una serie indefinita di valute, da scegliere e variare a seconda delle circostanze. Le criptovalute – trionfo dell’era mercantile e astro nascente dell’era acquariana – sarebbero i migliori strumenti di una simile scelta, con la loro decentralizzazione e la possibilità di scambio diretto, peer–to–peer, superando l’intermediazione bancaria e statale. Scelta non priva di incognite, come la volatilità dei cambi, l’accettazione come forma di pagamento, problemi di sicurezza e privacy, così come un’invasività fiscale sempre più minacciosa e teoricamente in grado di compromettere l’anonimato delle transazioni. Anche per questo l’aggiornamento tecnologico non sarà mai da trascurarsi, ulteriore campo di battaglia in cui essere sempre presenti, possibilmente a cavallo di una tigre.