Nel tempo del massimo allontanamento dal Centro, com’è quello attuale, per l’uomo che cerca di resistere alla corrente del degrado non sono molte le possibilità di incontrare una guida sicura o un saggio consigliere. Certo, non è da escludere in assoluto l’incontro con qualcuno più avanti di noi nella ricerca, che ha già percorso un tratto del sentiero; ma questi colloqui non saranno mai risolutivi, accentuando semmai la sete di conoscenza e la necessità di approdare a terre ferme e a condizioni di stabilità, che permettano di dedicare il proprio impegno e le proprie energie a ciò che conta veramente.
Qualunque risulti essere il ruolo che ci è stato assegnato, qualunque sia la parte che ci tocca recitare e il personaggio che ci tocca interpretare nel mistero della vita, qualunque sia la missione che dobbiamo portare a compimento per dare un significato pieno e autentico alla nostra esistenza, diventa imprescindibile e di fondamentale importanza fare tesoro degli insegnamenti della sapienza universale, che ci sono giunti attraverso i testi sacri delle varie tradizioni e il fulgido esempio degli emblematici rappresentanti di queste; non a caso rappresentati spesso immersi in profonda contemplazione, dimentichi di tutto quello che avviene intorno a loro, con tutta l’attività rivolta interiormente.
Forse non ci rendiamo pienamente conto o non diamo il giusto valore alla preziosa opportunità che ci è concessa: il privilegio e il dono di poter lavorare su di noi per correggerci e modificare il nostro stato; a differenza dei danteschi “sciaurati, che mai non fur vivi”: vili abietti e uomini da niente che non si pongono nemmeno il problema di reagire all’annientamento cui sono destinati, e colpevolmente smarriti nelle tenebre dell’ignoranza; unicamente proni ed efficienti, per mascherare il vuoto che li domina, nel vile ed impotente stratagemma dell’avvelenamento dei pozzi, nell’inversione e il capovolgimento della Verità, illudendosi così di impedire ad altri di attingere l’Acqua pura, la “bevanda d’immortalità”, a loro preclusa.
Quelli che un tempo occupavano i posti di comando e di guida, per primi, dovevano praticare su loro stessi la più grande restrizione, perché tale austera disciplina è sempre stata la condizione necessaria, senza la quale il potere rapidamente svanisce e l’autorità viene meno. Dietro ogni autentico potere e dietro ogni vera autorità devono esserci l’autodisciplina e la concentrazione mentale, piuttosto che la capacità di suggestionare o piegare con la forza — violenta o economica, poco importa — che sempre conducono a tragiche conseguenze e a inevitabili insuccessi.
Di un sovrano della tradizione indù (Rama) si dice che eccellesse in ogni virtù, essendo «di sereno carattere in tutte le circostanze, di fortuna o sfortuna, mai inutilmente adirato; egli ricordava anche una sola cortesia, ma dimenticava cento ingiurie; era istruito nei Veda e in tutte le arti e le scienze di pace e di guerra, come l’ospitalità, la politica, la logica, la poesia, l’ammaestrare i cavalli e gli elefanti e nel tirar d’arco; egli onorava quelli di età matura, non guardava al suo proprio vantaggio, non disprezzava nessuno, ma era sollecito del benessere di ognuno; accudiva suo padre e sua madre ed era devoto ai fratelli». Testimoniando la retta condotta di vita e la bontà, otteneva la piena fiducia di uomini e dei, diventando rifugio luce e spada, dando prova di fedeltà assoluta e compiendo prodigi di soccorso e conoscenza.
Nello spirito nobile e aristocratico, ovviamente, tali qualità agiscono al massimo grado e in assoluta purità, ma ciò non esime chiunque dall’adottare, in proporzione al proprio rango ed alla propria dignità, un comportamento equivalente e sulla medesima linea di tendenza, trattandosi pur sempre di “Arte Regia”, quando si governa se stessi. Cercare, per esempio, l’approvazione e il consiglio delle proprie azioni da parte di coloro che reputiamo persone sagge ed equilibrate, è un metodo sicuro per superare le personalissime inclinazioni legate al sentimento e all’interesse soggettivo, affidandosi al giudizio disinteressato del fratello e camerata, perché la verità emerge spesso dal conflitto delle diverse vedute. E proprio a Rama si raccomandava: «usa gentilezza anche più grande, e frena i sensi; evita tutto il piacere e l’ira; mantieni la tua armeria e il tesoro; personalmente e per mezzo di altri renditi bene edotto degli affari di stato; amministra la giustizia liberalmente per tutti, cosicché il tuo popolo possa esser contento. Cingiti, figlio mio, e intraprendi il tuo compito».
Del resto, è nota la stretta relazione fra il macrocosmo e il microcosmo, fra l’immensità dell’universo (il Principio) e la parte più intima e profonda del cuore umano (il Sé); ed è ripetuto in continuazione che in un paese senza re tutto va male: pioggia non ne cade, non vi sono feste né prosperità, né salvezza; un regno senza re è come un fiume senza acqua, una selva senza erba, un gregge di vacche senza un guardiano; un re è padre e madre e abbraccia il benessere di tutti gli uomini e di tutte le creature. Nei testi tradizionali si ribadisce che quando regna un sovrano giusto e degno gli uomini vivono mille anni, e le piogge cadono regolarmente, e i venti spirano sempre favorevoli, e non vi è carestia, né pestilenza, né invasione di bestie feroci o di nemici; ma tutti gli uomini sono contenti e felici. Alla nascita di un simile sovrano il cielo e la terra danno manifestazione di gioia; gli alberi e gli arbusti fioriscono e fruttificano, i laghi si riempiono, e dal cielo scendono fiori e si odono musiche celesti.
Quando l’eroe tradizionale, il campione dello Spirito, porta a termine la sua missione impresa o fatica, tutti accorrono a lui (attratti) come l’acqua di un fiume va verso il mare, e, in virtù della disciplina che egli ha eseguito, tutte le cose sono obbedienti a lui. È il pericolo e il dolore, non la gioia e la sicurezza che spingono gli uomini a grandi gesta, e ogni uomo deve raccogliere quello che egli stesso semina, liberandosi dai ceppi dell’individualità, perché l’apparente separatezza è temporanea e irreale, ed è la causa di ogni pena. Il desiderio di mantenere l’illusorio sé individuale è la fonte di ogni dolore e di ogni male. È detto: «Astenersi da colpe, acquistare virtù, purificare il proprio cuore: questa è la religione dei Buddha». E in se stesso il raggiungimento dello stato di Buddha è un grande incentivo: paragonabile alla difficile ascesa alla cima di un albero, per raccoglierne il frutto. Buddha divenne un asceta in seguito alle visioni di vecchiezza, malattie, morte e sofferenza, abbondonando ogni delizia, là dove dolore e morte non erano neanche nominati. A giudizio degli dei, che operarono per strapparlo a quella condizione di immobile passività, il Grande Essere non doveva più languire in mezzo ai piaceri del palazzo, ma doveva procedere nella sua missione, fino a proclamare: «La mia mente si è distaccata;/il desiderio si è estinto».
Se da tutto questo si riesce a compiere la logica traslazione e applicazione sul piano individuale, si comprenderà pienamente quale deve essere il compito che ognuno ha da svolgere nel governo del proprio personalissimo “regno”. Il male più grande è causato dalla mancanza di padronanza di sé, piuttosto che dalla spada o da un serpente o da un nemico implacabile; e questo è l’effettivo lavoro preliminare che deve essere fatto da subito. Anche se il nostro io è afflitto dall’ostinazione tipica delle menti deboli e senza volontà, per cui dilapidiamo tutte le energie e sprechiamo ogni istante che ci è concesso per rincorrere chimeriche illusioni e realizzare progetti che, alla lunga, ci danneggiano.
E non sarà certo un semplice richiamo mentale e retorico ad una presunta differenziazione esoterica, o ad una svuotata religiosità exoterica, che potrà trarci d’impaccio e orientarci nei giorni che ci restano da vivere, perché è stato detto che “l’omaggio agli dei è buono se secondato dallo sforzo dell’uomo”; senza il quale ogni possibilità viene meno e tutto è vanificato. Consultare milioni di pagine e immagazzinare dati ad una velocità inconcepibile per l’essere umano è cosa che la cosiddetta Intelligenza Artificiale riesce a fare molto meglio di noi, e non sarà certo il “fai da te” o la frequentazione dei tanti magic shop presenti sul mercato a farci progredire di un centimetro sulle vie dello Spirito.
Del resto, nessuno può svolgere il “lavoro” per noi; così come nessun essere nato e creato può vincere la naturale tendenza alla dissoluzione, che gli è propria; una condizione di permanenza così è impossibile. Il mondo in cui ci si arrovella e barcamena e gli stili di vita da cui siamo sommersi ci svuotano di ogni forza, come il sole che d’estate succhia le energie di tutte le cose. E questo spreco, questo dispendio, questa dissipazione ci conducono inevitabilmente — disarmati! — al momento dell’abbandono di questo corpo, per quanto bello altero e ben curato esso sia, con la stessa pena che prova un ricco signore quando lascia la sua sontuosa dimora.
Sempre in un testo della tradizione indù la Morte spiega a un suo interlocutore il vero motivo per cui essa avrà (quasi) sempre l’ultima parola: «La virtù è una cosa, il piacere un’altra; queste due tirano un uomo per vie diverse. Bene procede chi cerca virtù: va male chi segue il piacere. Queste due, sapienza e ignoranza, portano a punti opposti. (…) Anche il dotto non sfugge all’illusione, come cieco guidato da un altro cieco; mentre lo stolto nulla capisce: solo a questo mondo egli pensa e così torna sempre in mio potere. Ma quegli è grande, che pensa solo a quell’Uno, che i molti non sentono e non sanno. Mirabile è chi conosce il Brahman, non partecipabile, non facilmente raggiungibile».