L’universalità Romana e l’unità della stirpe
La Tradizione Romana, nella sua integralità vivente, rappresenta la centralità mediatrice tra Oriente e Occidente, la sintesi suprema di due tradizioni e di due atteggiamenti che si presentano polarmente antagonisti e inconciliabili. Di qui la nota frase di Kipling che amaramente ammette l’invalicabilità della barriera tra Est e Ovest, l’opposizione di due mentalità divergenti, di due coscienze di vita, culmini distanti tra cui si agita la zona graduata degli eclettismi e delle contaminazioni.
In realtà Oriente e Occidente presentano due tipi tradizionali estremamente riconoscibili per alcuni caratteri stabili fissi e costanti: nell’uno domina l’atteggiamento statico, ascetico, l’immobilità plastica, l’irrigidimento esterno, lo sforzo centripeto unitario che attenua e annulla la vibrazione periferica per fissare una specie di tipicità interiore valorizzatrice di sviluppi spirituali tanto più enormi e profondi quanto più l’apparenza esterna si chiude non in uno schema plastico, come avvenne nell’Ellade, ma in una serie espressiva determinata da un canone metafisico di trascendenza. Nell’altro invece, cioè in Occidente, prevale il tono plastico, il ritmo espressivo polimorfo che segue, sviluppa e accentua la diffusione interiore, centrifuga, creativa nell’esteriorità delle forme di cui ognuna coglie la labilità tematica della vita in una flessione indefinita d’individualità divergenti aventi ciascuna la propria legge e l’autonomia del moto costitutivo.
Se si volesse esprimere questa opposizione in una formula lata che, pur distanziando i due tipi ne fissasse le determinazioni più appariscenti, si potrebbe dire che l’Oriente va dal mondo a Dio mentre l’Occidente si effonde da Dio al mondo così che ciò che nell’uno è centripeto, assoluto e unitario nel secondo è centrifugo, relativo e pluralistico. Questo schema netto, brutale e reciso, polarizzando le due tradizioni e le due coscienze di vita, servirà a comprendere meglio l’essenza, la funzione e i caratteri della Tradizione Romana che rappresenta la sintesi suprema dell’Oriente e dell’Occidente in una forma nuova stabile e metafisicamente assoluta, che è appunto il Fascismo Sacro, cioè il potenziamento di tutte le possibilità umane e superumane in un ciclo vastissimo, l’universalità Romana.
Quando noi diciamo Oriente intendiamo, sopprimendo intenzionalmente qualsiasi variazione o sfumatura più o meno rilevante, ciò che è transmediterraneo mentre è Romano quel che da Roma emana e in Roma si compie non per limitarsi, nazionalizzarsi e chiudersi in un alveo infecondo, ma per permeare dovunque, diffondersi, universalizzarsi, mantenendo il suggello inconfondibile che caratterizza la Romanità integrale e integratrice: lo spirito sacro e divino, la fissità tradizionale, l’affermazione costante di un superamento totalitario che fa dell’uomo non uno scopo, un termine, ma un mezzo per un fine più alto, la realizzazione del divino nel mondo e oltre il mondo. Ciò ha espresso Nietzsche in una delle sue oscure approssimazioni a un mondo sacro che per una specie di formalismo estetico voleva fingere d’ignorare: Was groß ist am Menschen, das ist, daß er eine Brücke und kein Zweck ist: was geliebt werden kann am Menschen, das ist, daß er eine Übergang und ein Untergang ist. «Quel che vi è di grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: ciò che si può amare nell’uomo è che egli è una transizione e una distruzione». Transizione dall’umano al divino, distruzione dell’umano nel divino con la santificazione dell’esistenza concepita come un dono eroico e non come un ricatto, secondo la norma d’intransigenza dottrinale assoluta espressa nel nome di Roma dal Fascismo Sacro.
Ciò che noi dobbiamo fascisticamente difendere ed esaltare è dunque la Tradizione di Roma, la cui universalità appare, anche ai più intellettualmente miopi, nelle espressioni più superficiali e più esterne di cui essi non comprendono il significato profondo da ricercarsi in quella che coraggiosamente chiameremmo l’intimità templare della stirpe romana. A ciò alludono sempre le affermazioni dei poeti latini, di quelli realmente integralmente romani, quando siano letti e compresi non scolasticamente ed esteticamente soltanto ma per rintracciarvi gli elementi essenziali di una metafisica della razza, base imprescindibile per la difesa e la conservazione della Romanità fascista. Ecco perché nel fissare preliminarmente la posizione assoluta della Tradizione Romana nei confronti dell’Oriente e dell’Occidente tra i quali Roma è arbitra e mediatrice sovrana, ci riferiamo a un poeta dell’età augustea, a Ovidio il quale pone sulle labbra di Romolo, nel momento in cui premendo sul vomere traccia col solco la cinta sacra, queste parole fatidiche e augurali:
Longa sit huic aetas dominaeque potentia terrae
Sitque sub hac oriens occiduusque dies
colle quali l’universalità di Roma è espressa come sintesi dell’Oriente e dell’Occidente in una terra destinata ad essere dominatrice per mezzo delle armi, se è necessario, ma sempre e solo per il trionfo dello spirito di Dio.
Di qui il carattere esemplare tipologico della stirpe romana, il rinnovamento spirituale del mondo nel suo aspetto più recondito, quello sacro, la cui espressione più esterna, più a tutti appariscente, ma non meno significativa, è l’espansione costante progressiva che tramutò il piccolo Latium in un Impero ove, costituita materialmente e socialmente la base universalistica col raggiungimento della potenza esterna, inserirà il novus ordo col simbolo plenario della Croce. Si tratta non di una successione ma di un superamento continuo, di una Romanità ascendente che realizza i vecchi simboli, rinnova i germi sacri per mezzo di una traslazione di potenza consapevolmente accentratrice nell’emblema sacro del Fascio Littorio torreggiante tra cielo e terra. In Roma si compie questo miracolo di pacificazione tradizionale tra Oriente e Occidente, tra staticità e dinamismo, tra Contemplazione e Azione, tra Dio e il mondo, onde Dante, l’interprete massimo del Fascismo Romano, fa scaturire l’Aquila dal fastigio finale del versetto biblico in cui si esalta l’attributo massimo divino, la Giustizia, Diligite justitiam qui judicatis terram! E Roma così trionfa universalmente nel segno di Giove che è l’ascia bicuspide inserita nel tronco del Fascio Littorio, affermazione della stirpe romana destinata all’unificazione dell’Oriente e dell’Occidente per la salvezza del mondo e l’avvento del regno di Dio.
Il segreto della stirpe romana deve ricercarsi non nella storia che è soltanto un’esplosione esterna, tangibile, materiale e quindi secondaria e derivata, ma nello spirito tradizionale, nella metafisica dei simboli, nel mistero dei segni, nel deposito della scienza sacra ove s’incide eternamente il suggello di Roma mediatrice tra due mondi, custode della verità divina, affermatrice della vera potenza che trae dal dominio delle contingenze il seme perenne della vita eterna. In questo senso la missione della stirpe romana assume un carattere sacro e ben altrimenti fecondo che non limitandosi a un punto di vista ristretto e particolaristico in aperto contrasto collo spirito universale di Roma che domina come urbe sull’orbe, cioè come centro assoluto e nel medesimo tempo polo costante d’orientazione per l’Occidente di cui essa costituisce appunto, per esprimersi islamicamente e con un termine arabo che aderisce perfettamente a quanto significhiamo, il punto stabile (qibla) secondo cui si giustifica lo sviluppo integrale dell’Occidente. Errano quindi profondamente coloro che si ostinano a credere che Roma sia soltanto la capitale d’Italia e che sia di base a un gretto nazionalismo accentratore: Roma è la capitale del mondo perché nella tradizione sua si accentrano tutte le possibilità di sviluppo integrale dell’umanità, dando a quest’ultimo termine un valore assoluto di attualizzazione dinamica del divino in tutte le sue forme e in tutti i suoi gradi.
Il Fascismo Romano deve fare sì che la nostra stirpe abbia coscienza della sua missione sacra e che difenda ed esalti il valore di una tradizione completa nelle due direzioni estreme rappresentate dai termini tipici Oriente e Occidente, Contemplazione ed Azione, Dio e uomo, mondo e Sopramondo, staticità della norma e dinamismo di sviluppo, spirituale e temporale, Croce e Scure Littoria. Se adoperiamo la parola “stirpe” più dell’altra d’uso corrente, “razza”, vi è un motivo: stirpe è termine autenticamente latino e romano e indica la parte inferiore del tronco con la radice, quindi la base, l’origine, il seme, il nucleo originario, mentre d’altra parte esprime anche tutto lo sviluppo arboreo e umano. In questo senso il termine latino vale a significare i due aspetti della Tradizione che da un lato è fissità di norma, staticità di principi e dall’altra è possibilità indefinita di sviluppo, dinamismo realizzatore: la stirpe è depositaria di tutta l’ortodossia tradizionale che deve conservare e difendere contro qualsiasi contaminazione. Essa dunque si opporrà alle immistioni, alle denaturazioni, ai facili eclettismi così cari a coloro che non conoscono né la propria tradizione né quella di altri popoli e tendono a fornicare pietosamente in un dominio che non appartiene loro.
Si è parlato e si parla bilateralmente di Fascismo e Cattolicesimo come di due termini o antitetici o per lo meno differenti da mantenere o ricomporre: nulla di più contrario all’universalità Romana che non ammette opposizioni ma che anzi le concilia tutte nell’unità della sua funzione accentratrice. Si deve parlare invece di cattolicità fascista indicando con quest’espressione il suggello dominatore della Romanità che rimane incontaminata nella sua funzione di raggruppamento di popoli e d’idee in un solo alveo che li unifica senza mescolarli e li accentra mantenendone distinte le traiettorie. Si pensi al centro di una circonferenza, il nome divino di Roma, e ai vari raggi separati ma convergenti che d’ogni punto della periferia tendono tutti verso lo stesso punto senza intralciarsi o confondersi, mantenendo ciascuno la sua fisionomia particolare, il suo sviluppo definito e inconfondibile. Diciamo popoli e idee ben sapendo che son queste a plasmar quelli e non viceversa, ché, se fosse il contrario, sarebbe la materia a foggiar lo spirito; ciò che è in aperto e stridente contrasto coi fondamenti teorici prammatici e spirituali del Fascismo che si oppone sistematicamente a qualsiasi visione materialistica della storia in nome di una idealità di sviluppo che è nel medesimo tempo concretezza di realizzazione.
Il problema della stirpe, nei riguardi di una metafisica fascista tendente alla conservazione dell’ortodossia tradizionale, s’impernia intorno a due poli che sorreggono un asse unico, la missione vera ed eterna di Roma: da un lato mantenere in tutto il suo rigore la purezza dei principi tradizionali salvandoli da immistioni illegittime e insidiose, dall’altro far sì che questi principi permeino, si diffondano tra popoli e idee accentrando gli uni e le altre verso un punto unico di confluenza che è la Romanità sacra spirituale e trionfatrice d’ogni eterodossia e d’ogni barbarie.
Guido De Giorgio (da Prospettive della Tradizione, Il Cinabro, Catania, 1999)