Le sanzioni, tanto di moda in tempo di guerra, sono quell’insieme di provvedimenti punitivi, fondamentalmente di tipo economico, adottati contro uno stato che non adempia agli obblighi stabiliti e non rientri nei parametri democratici fissati a livello internazionale. Una pena predisposta dall’ordinamento giuridico per rafforzare l’osservanza della legge da parte di singoli individui o di intere comunità umane. In teoria, una norma di salvaguardia e garanzia della convivenza civile, che però finisce per trasformarsi in una fonte di soprusi, vessazioni, ingiustizie e tirannie, quando il potere che stabilisce le leggi risulta illegittimo e privo di fondamento.
Del resto, già il solo fatto che le (inique!) sanzioni si basino sull’attacco al portafoglio del “reo” è indice di una visione mercantilistica della realtà e di una mentalità da borseggiatori, fornendo così il migliore identikit possibile di quelli che sono gli autentici promotori di tali provvedimenti. Infatti, solo in un mondo dominato dalla visione materialistica, in cui l’unico fine dell’essere umano risulta essere il benessere materiale ed il guadagno economico, poteva essere concepita una punizione di questo tipo. Per una mentalità dove il possesso e la ricchezza sono tutto quello che conta e la massima aspirazione, aggredire sul piano economico il proprio nemico rappresenta la peggiore punizione possibile.
Per rendersi pienamente conto dell’assoluta modernità — e non è un complimento né tanto meno una notazione positiva! — di tali misure e provvedimenti, sarà sufficiente ricordare in cosa consistessero invece le pene e i castighi presso le società fondate sui valori spirituali e sulla visione sacra della vita.
Le comunità di fedeli presso gli stati organici conobbero, semmai, l’istituto della scomunica (o l’essere banditi), la quale andava a coincidere con una vera e propria maledizione che impedisse ogni “contatto” con Dio, con la conseguente esclusione dai sacramenti e l’espulsione dalla comunità ecclesiastica. Come si vede, quanto di più immateriale si possa immaginare, ma dalle conseguenze non certo meno pesanti da un semplice embargo alimentare. Erano, infatti, previste delle apposite cerimonie ed una precisa ritualità nel comminare condanne di questo tipo, intendendo in questo modo sottolineare l’importanza e la gravità della decisione che si era costretti a prendere. Di fatto, nella scelta venivano coinvolte forze non solo di carattere umano, per cui la scomunica conservava la sua validità anche al di là della vita terrena, comportando la dannazione eterna. L’efficacia giuridica della scomunica, in ogni caso, veniva a decadere in presenza del sincero pentimento da parte del condannato, non potendo le decisioni degli uomini prevalere sulla misericordia divina, incontrando il loro potere giurisdizionale un limite terreno e umano, oltre il quale c’è Dio.
Ad intervenire in modo determinante e decisivo, in questo caso, non era la semplice teologia o la massa di norme giuridiche, quanto piuttosto l’interiorità vissuta in adesione alla tradizione. Non la mera materialità ma la profonda spiritualità, che ne assicurava la validità e il fondamento. Niente a che vedere, come si vede (al di là degli illegittimi ed arbitrari provvedimenti ai fini di egemonia politica), con le odierne comminazioni punitive, dove un essere discentrato e senza spina dorsale può tranquillamente fingere di obbedire ad un provvedimento che non lo coinvolge interiormente; trovando questi sempre il modo di aggirare l’ostacolo e di svicolare senza subire eccessivi danni.
Infatti, ce lo vediamo un moderno “peccatore” — come può essere un presidente di una potenza mondiale o un capo di stato, un ricco corruttore o un ministro venduto per denari, un giornalista asservito o uno “scienziato” senza dignità — ad implorare il perdono e l’assoluzione di fronte ad una qualsiasi autorità religiosa. Come del resto possiamo facilmente immaginare quale sarebbe stata la reazione di un Antico Romano o di un — più prossimo a noi — Pellerossa, ad un ricatto di tipo economico o commerciale!