Quando Lucio Battisti cantava: «E vola sulle accuse della gente/a tutti i suoi retaggi indifferente/sorretto da un anelito d’amore/di vero amore», il suo successo non era dovuto solo al giovanile entusiasmo dei suoi ascoltatori, ma anche al fatto che molti di loro ritrovavano in quei versi l’eco di un modo di porsi alternativo nei confronti del potere costituito e delle sue soffocanti imposizioni e limitazioni. Quel canto descriveva una condizione e faceva vibrare delle corde effettivamente presenti presso alcuni caratteri, rispondendo a un’esigenza viva e diffusa di differenziazione e di autonomia di pensiero.
Qualcuno penserà che si dia eccessiva importanza ad una canzone, però è innegabile che la musica e il canto hanno sempre rappresentato la voce più autentica dei popoli e degli uomini d’ogni epoca, esprimendosi già nei poemi sacri, dove la poesia è essenzialmente ritmo e danza. Ma non erano solo le conoscenze e gli insegnamenti superiori a venir trasmessi attraverso il canto, accompagnando questo fino alle più semplici azioni quotidiane della vita, nell’epos e nei canti di assalto di marcia e di guerra, nelle salmodie e nelle preghiere dei templi e dei riti religiosi, nei lavori dei campi o delle botteghe, nelle serenate degli innamorati e nelle nenie per addormentare i neonati, nelle danze di guarigione, fino ai canti dei carrettieri, accordati al ritmo degli zoccoli e ai sonagli e finimenti del cavallo. Tutto questo trovando poi la sua catalogazione nel folklore che, come lo spillo che trafigge la farfalla, lo ha imbalsamato negli studi etnologici, o confezionato in una versione per turisti; come accade con la Danza del Sole degli Indiani d’America, eseguita in favore delle macchine fotografiche, oramai dimentichi, non solo della sua connessione con la vita reale della comunità d’appartenenza, ma anche degli autentici significati iniziatici e rituali che essa veicolava.
Tornando però al canto di rivolta e di ribellione, forse l’unico rimasto ancora utile e sensato in una società omologata verso il basso e sconsacrata come la nostra, c’è sempre il rischio di cadere nella sindrome del “bastian contrario”; specie quando il potere ci molesta con le sue campagne mediatiche e i suoi decreti legislativi, costringendoci ad ingombrare la nostra anima (destinata a ben altro!) con insensate preoccupazioni, provando a rovinarci la vita con limitazioni materiali della libertà, ronzandoci fastidiosamente nell’orecchio i suoi provvedimenti restrittivi e le sue ipnotiche suggestioni; com’è avvenuto con le recenti narrazioni su vaccini e green pass, teorie gender e orgoglio omosessuale, conflitto fra Russia e Ucraina, cambiamento climatico e transazione ecologica; fino alla truffaldina assegnazione del ruolo di carnefice e di vittima nel conflitto israelo-palestinese.
Sembrerebbe proprio che non ce ne vada bene una, e che noi non si aspetti altro che schierarci contro il Potere, solo per il gusto di cantare una canzone diversa da quella che è sulla bocca di tutti. Ma chi ha intrapreso il cammino della propria ricostruzione interiore ed ha acquisito una visione lucida e chiara della realtà, dispone di difese interiori che rafforzano la vigilanza, grazie agli insegnamenti tradizionali che suscitano l’aderenza impersonale a principi e idee superiori, imparando al contempo a riconoscere la natura ed il carattere di coloro che ci circondano e con cui entriamo in relazione; per cui diventa automatico pensare e agire in piena autonomia, specie se si è dotati del coraggio (anche fisico!) necessario per sottrarsi alle influenze ed ai condizionamenti esterni, di cui è vittima la gran massa di imbelli e inetti, che rinunciano a vivere per paura di morire.
In questo, ci viene in soccorso e ci conforta l’esempio e l’insegnamento di Ezra Pound, riguardo all’essere disposti a rischiare per le proprie idee (cioè, per il proprio modo di essere, per la propria visione del mondo e per i propri riferimenti ideali culturali e spirituali), contro l’evidente contrarietà di tutto il mondo moderno, e a rischio di ritrovarsi da soli – ma in piedi – dalla parte “sbagliata” della barricata.
Certo, l’opporsi per partito preso, abbandonandosi agli irrigidimenti ideologici, alle ossessioni morbose e alle maniacali fobie sarebbe un chiaro sintomo di squilibrio e di instabilità. Ma se lo schierarsi contro non è dettato da reazioni irrazionali, mosse dal sentimento e dal rancore, bensì dal legittimo rifiuto delle evidenti vessazioni e ingiustizie, promosse per giunta da esseri che già nei tratti somatici (essendo la fisiognomica un infallibile strumento di conoscenza!) mostrano la più completa inaffidabilità, non si può che diventare sospettosi e guardinghi verso tutto ciò che da costoro proviene; dissentendo d’istinto dai loro proclami, e contrastandone convintamente macchinazioni e intrighi.
A maggior ragione quando ci si trova di fronte all’unanime e supina sottomissione da parte dell’opinione pubblica (che “oculos habent et non vident”), testimoniandone l’artificiosa falsità. Esiste infatti una legge implacabile secondo la quale, di fronte alla menzogna elevata a sistema, al sopruso, all’arbitro, alla violenza e all’ingiustizia, sorge per reazione spontanea e immediata, presso un tipo umano particolare, per quanto minoritario (quello che Julius Evola definì “uomo differenziato”, altri “spiriti nobili”, e in ambito religioso si arriva a chiamare “eletti”), un riflesso radicale e una risposta assoluta contro la corruzione e il pervertimento delle più elementari leggi di natura e delle basilari regole di convivenza civile.
Quando si andava al cinema per vedere un film comico o di paura, prima che Netflix rendesse inutili tali scomode escursioni, era normale abbandonarsi alle risate incontrollate o alle espressioni di panico, per via dell’effetto contagio subito da tutti gli spettatori, con la medesima e vicendevole reazione potenziata e rafforzata dalla vicinanza fisica. Poi, per ricreare a casa questo “effetto gregge”, nei programmi televisivi si è affermato l’uso americano delle risate registrate a commento di determinate scene, per lasciare l’impressione al telespettatore di star partecipando ad un rito collettivo. Fondandosi su un conformismo di base che annulla la singola personalità e la rende parte di un vasto pubblico uniformato ed omologato sulla stessa lunghezza d’onda e con le medesime reazioni. Ed è proprio su una simile trappola psicologica che si basano le campagne di manipolazione di massa, che consentono al potere di veicolare qualsiasi messaggio, anche il più assurdo e dannoso per coloro che ne sono vittime.
Il farsi plasmare e indirizzare dall’istinto e dai sensi è cosa che accomuna l’uomo all’animale, agendo in entrambi i medesimi meccanismi che, proprio perché meccanici, agiscono superficialmente, non scendono in profondità e non coinvolgono minimamente la volontà e la capacità di reagire controbattere e opporsi a simili attacchi; rendendo impossibile la comprensione del mondo circostante e lasciandosi condizionare passivamente dalle mode (come si sa, destinate tutte a passare di moda!), dai costumi imposti dall’esterno, dalle regole e dai dogmi del politicamente corretto. La virilità, essendo la passività un’espressione propria dell’elemento femminile (non a caso molto interessato alle mode e alle apparenze), si manifesta in primo luogo nel porsi attivamente di fronte a quanto ci arriva dal mondo esterno, nel sottrarsi all’imitazione inconsapevole della folla, alle influenze collettive e alle regole del gregge; senza lasciarsi condizionare dall’utile e dal guadagno, ottenuti al caro prezzo della rinuncia a sé.
Essere se stessi significa, a rigor di logica, non diventare l’altro, nemmeno in vista di un calcolato interesse. E il servilismo nasce proprio dal desiderio di possesso materiale e di avanzamento professionale, di notorietà e prestigio sociale, a costo di fingere per tutta la vita e interpretare un ruolo che non ci appartiene. Il servilismo ha poi bisogno dell’esibizionismo. Chi non è centrato in sé ed assume una forma imposta dall’esterno ha la necessità di esibire e mostrare questa adesione e fedeltà alle indicazioni del Potere (come accade regolarmente ai convertiti), mostrando, ancora una volta, una natura prettamente femminea. E questo si riscontra sia nell’ostentazione “militante” di un giornale politico, sia nell’esibizione di insegne divise o tatuaggi che mostrino un’appartenenza: quanto più esteriore e superficiale tanto più sbandierata.
Contro questa umiliante deriva, è possibile aspirare a un altro esito e destino solo aderendo a un superiore retaggio, percorrendo il luminoso sentiero tracciato da altri lungo i secoli all’insegna della libertà interiore.